La lobby dei combustibili fossili vince ancora una volta e impedisce che il negoziato raggiunga un’intesa, un’altra occasione persa per fermare i cambiamenti climatici.

La Cop 25 di Madrid si è conclusa e nel peggiore dei modi.

Nonostante quasi due giorni di prolungamento e di plenarie per giungere a un accordo, l’incontro si è concluso sostanzialmente con un nulla di fatto. Si era detto che sarebbe stata la prima Cop con un movimento per il clima di portata mondiale che bussava alle porte, ma questo non ha permesso che le istanze venissero ascoltate. Anzi, gli organizzatori, nonostante i tanti comunicati di apertura nei confronti della galassia ambientalista non hanno avuto scrupoli a portare in commissariato attivisti di Fridays for Future che stavano facendo una performance creativa all’ingresso, in una delle tante proteste e manifestazioni di questi giorni.

L’articolo 6 degli Accordi di Parigi, relativo al mercato dei crediti al carbonio, meccanismo introdotto già ai tempi del Protocollo di Kyoto, è rimasto l’elemento divisivo centrale che ha impedito qualunque avanzamento.

Il mercato dei crediti al carbonio è particolarmente pericoloso: il meccanismo di regola la produzione di Co2 in questo modo: se un paese sviluppato dichiara di non essere in grado di ridurre le proprie emissioni nel territorio nazionale può comprare la possibilità di produrre emissioni di un altro stato (povero) e ridurre quelle attraverso interventi che, sempre secondo le dichiarazioni formali, non riuscirebbe altrimenti a fare nel proprio territorio. Il risultato del meccanismo perverso è che comprare crediti al carbonio in paesi del Sud del mondo è diventata una pratica coloniale da parte dei governi del Nord, che sta dando adito a processi di landgrabbing, violenza contro le popolazioni indigene oltre che di squilibrio della biodiversità (piantando, ad esempio, foreste in luoghi non adatti o, addirittura, deforestando e poi ripiantando alberi). Non è difficile riscontrare che a oggi il mercato del carbonio si è tramutato in una sorta di vendita forzosa di permessi per inquinare. Se questo non fosse abbastanza, per come è stato scritto l’articolo 6 a Parigi, la quantità di emissioni venduta è conteggiata sia dal paese che vende, sia dal paese che acquista, falsando ovviamente l’ipotetico bilanciamento tra paesi e rendendo ulteriormente inutile la pratica già di per sé pericolosa.

Si è trattato fino all’ultimo per eliminare, appunto il double counting ma non c’è stato verso. I paesi inquinatori si sono opposti fermamente, tra questi Australia, Brasile e Stati Uniti.

Inoltre non si è avanzato neppure in merito ai meccanismi loss and damage, che riguardano il sostegno finanziario ai paesi più esposti alle catastrofi climatiche, in particolar modo i paesi dell’Oceania che vedono il livello del mare innalzarsi drammaticamente, anche qui l’opposizione del governo statunitense è stata rilevante.

Questa conferenza era l’ultima prima della Cop 26 di Glasgow, che si svolgerà a 5 anni da quella di Parigi. Questi 5 anni erano quelli destinati, secondo l’Accordo di Parigi, per rendere operativi e vincolanti quegli impegni presi nel 2015 in forma volontaria. Nessun paese, Italia compresa, sta infatti rispettando quegli impegni.

Preoccupa fortemente il quadro che si sta delineando. Si arriverà all’incontro in Scozia senza alcun avanzamento rispetto a cinque anni fa, ma al contempo con una emergenza climatica ormai innegabile e sempre più devastante. Secondo la World Metereological Organization, si sta concludendo il decennio più caldo della storia del pianeta.

Nel suo comunicato stampa Greenpeace ha dichiarato che «ancora una volta la politica si è lasciata condizionare dagli interessi legati ai combustibili fossili e ha sbattuto la porta in faccia ai valori della società civile e alle conoscenze degli scienziati». Le ha fatto eco Jamie Henn, della Ong 350.org: «Una manciata di Paesi rumorosi ha dirottato il processo prendendo in ostaggio il resto del pianeta».

Greta ha twittato che la lotta continua, perché siamo solo all’inizio. È però innegabile constatare amaramente che, a poco più di un anno dalla sua nascita, un movimento globale di portata moltitudinaria non è riuscito a influenzare neppure minimamente i risultati di questa conferenza. Ovviamente sarà necessario proseguire con maggior determinazione e efficacia, ma pure riuscire a proporre nuove forme creative di lotta e di azione per ottenere quel system change che è scritto sui cartelli alle manifestazioni del venerdì in ogni angolo del pianeta. Il cambio di sistema e la fine del capitalismo estrattivista è quanto mai urgente e necessario e non sarà mai il risultato di una conferenza Onu.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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