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In Polonia l’interruzione di gravidanza è limitata per legge a soli tre casi (stupro, gravi malformazioni del feto, rischi di salute per la madre), eppure sono tantissimi gli ospedali e le cliniche del paese che scelgono di vietare l’aborto “in toto” appellandosi all’obiezione di coscienza. Una scelta che, però, più che alla morale dei singoli medici risponde alle strategie politiche conservatrici del governo

In Polonia il numero degli obiettori di coscienza è altissimo, da una media del 90% fino a toccare l’apice del 99% in alcune regioni. Come leggere questi dati? Cosa implicano queste cifre, fredde e matematiche, nella vita di milioni di persone, nella vita di milioni di donne? Quale relazione si costituisce tra due sistemi di diritto, l’uno che dovrebbe garantire alle donne un servizio sanitario senza discriminazioni, l’altro che consente invece alla classe medica di agire in conformità con la propria coscienza?

Klauzula sumenia è appunto il nome con cui si è soliti indicare l’articolo 39 del “Medical Profession Act” polacco, il quale stabilisce che «un medico può astenersi dall’eseguire prestazioni mediche incoerenti con la propria coscienza». Al di là della questione generale legata all’obiezione di coscienza, che ha diverse e contraddittorie implicazioni etico-politiche nonché uno sviluppo storico variegato, il problema è la sua strumentalizzazione. Tomasz Gryzb, studente di medicina, attivista e candidato alle elezioni regionali del 2018 per il partito Razem nella circoscrizione del Podkarpackie (la regione dove c’è la più alta percentuale di medici obiettori di coscienza del paese) sostiene: «Nell’attuale clima politico, non solo le proposte di legge si fanno sempre più conservatrici e restrittive ma anche la stessa interpretazione legislativa è più malleabile. Si è creata una sorta di “arbitrarietà normativa” sempre più deleteria per la vita delle donne, per cui il personale medico può rifiutarsi con facilità di fornire un numero sempre maggiore di prestazioni. Da quando l’ultimo ospedale della zona ha firmato l’obiezione di coscienza, nella regione in cui vivo l’aborto è totalmente bandito», afferma sempre Tomasz Gryzb. Il Podkarpackie, sud-est della Polonia, è una delle regioni più povere e maggiormente conservatrici del paese (alle elezioni locali del 2018 il partito cattolico-nazionalista Prawo i Sprawiedliwość ha ottenuto il suo miglior risultato rispetto alle altre circoscrizioni, distaccando di gran lunga liberali e socialdemocratici) e questo si riflette anche nell’atteggiamento della classe medica verso la questione dell’interruzione di gravidanza. Infatti, nonostante la legge impedirebbe che un’intera istituzione eserciti obiezione di coscienza (semmai, sarebbe tenuta a garantire comunque i servizi medici previsti dal quadro normativo), accade sempre di più che ospedali e cliniche in quanto entità collettive decidano di non mettere a disposizione il servizio abortivo. Purtroppo, è pratica ormai consolidata e ricorrente di molte strutture mediche dichiararsi luoghi in cui “non si commettono omicidi”: un vero e proprio abuso dell’obiezione di coscienza, che però raramente viene riconosciuto come tale.

In Podkarpackie, stando ai dati degli ultimi anni, la totalità di ospedali e cliniche ha appunto deciso di non offrire il servizio dell’interruzione di gravidanza. Si tratta di una caso limite, ma abbastanza in linea con la tendenza nazionale: secondo la Federazione polacca per le donne e la pianificazione familiare, infatti, in tutto il paese la percentuale di ospedali disposta a praticare la pratica abortiva è inferiore al dieci per cento. Non solo: le strutture che, invece, decidono di garantire il servizio (ricordiamo, negli esigui casi in cui è consentito per legge) sono spesso contestate da picchetti dei movimenti pro-life e anti-abortisti che presidiano le entrate alle cliniche, mostrando ai passanti foto molto crude di feti insanguinati (le quali, tra l’altro, non c’entrano nulla con la realtà della pratica abortiva).

Una situazione del genere implica che le donne polacche siano spesso costrette a confrontarsi con percorsi pesanti e dolorosi all’interno del sistema sanitario nazionale, nonché con spostamenti lunghi e costosi. Si verifica cioè una sorta di “migrazione interna” per ricercare una struttura che possa offrire il servizio di interruzione di gravidanza, con tutta l’incertezza che questo comporta. I viaggi verso gli ospedali del nord del paese sono tragitti che pesano sulle scelte e sulle possibilità economiche delle persone che magari provengono dalle parti più povere, come il Podkarpackie, ed evidenziano quanto la possibilità di far appello ad un proprio diritto si sia trasformato in un mero e semplice privilegio di classe.

Non stupisce dunque che, anche per quei tre casi in cui sarebbe legalmente concesso, la maggior parte delle donne si rivolga a cliniche e strutture estere. Il fenomeno del cosiddetto “abortion tourism”, che sia diretto verso Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia o addirittura Bielorussia, è qualcosa di estremamente consolidato sin dall’introduzione delle legge sull’aborto del 1993, mentre non è inusuale trovare su riviste e giornali polacchi degli annunci velati ma sufficientemente chiari (“Ottieni indietro il tuo ciclo”) per gli aborti clandestini, associazioni quali Women on Waves e Women on Web poi, attraverso le proprie piattaforme web consentono di farsi recapitare a casa (controlli postali permettendo) pillole abortive da assumere in autonomia.

Ma il problema dell’obiezione di coscienza non è relativo solo all’interruzione di gravidanza presso le strutture ospedaliere. Dal 2017, infatti, una legge perfettamente in linea con le politiche ultra conservatrici del PiS rende necessaria la prescrizione medica per accedere alla pillola del giorno dopo, che prima era possibile comprare autonomamente in farmacia. Un provvedimento che, come racconta il giornalista Piotr Pacewicz, è stata preceduto da una campagna di disinformazione attuata in prima persona dal Ministro della Salute Konstanty Radziwiłł: quest’ultimo è passato dal sostenere che la pillola danneggi la salute della donna, all’affermare che le giovani polacche la usino più volte al mese, fino alle dichiarazioni pesanti e sconcertanti in cui affermò pubblicamente che non l’avrebbe prescritta a sua figlia nemmeno in caso di stupro. In pochi mesi, dunque, è diventata prassi comune per i farmacisti ricorrere all’obiezione di coscienza anche per la prescrizione della contraccezione d’emergenza, se non addirittura della pillola anticoncezionale, nonostante l’Accademia polacca delle Scienze abbia sostenuto che si tratti di azioni illegittime. Come se non bastasse, alcuni gruppi di farmacisti, “coalizzatisi” nel gruppo Association of Catholic pharmacists , hanno rivendicato il diritto di appellarsi alla propria coscienza per non vendere prodotti anticoncezionali tout court.

Tuttavia, pure in merito a tale questione, qualcosa si sta muovendo. Esiste infatti una realtà composta da medici non obiettori che hanno avuto e hanno il coraggio di schierarsi dalla parte del diritto di scelta: Lekarze Kobietom(Medici per le donne) è una rete informale di dottori e studenti di medicina polacchi, che ha il preciso obiettivo di limitare i danni delle restrizioni introdotte in merito alla contraccezione d’emergenza introdotte nel 2017. Nata su iniziativa della psichiatra Aleksandra Krasowska, riunisce volontari e volontarie da varie regioni del paese. «In Polonia la percentuale di obiettori, anche per la contraccezione d’emergenza è altissima», spiega Natalia, medica e attivista di Lekarze Kobietom, «e c’è quindi il rischio di non riuscire a trovare in tempo un medico che firmi la ricetta. La cosa più utile è stata allora “mappare” su tutto il territorio le cliniche e gli studi pronti a farlo. Abbiamo attivato un sito web dove le donne possono chiedere consigli, ma soprattutto ottenere sostegno per procurarsi la pillola del giorno dopo. Indirizziamo chi ci contatta verso i dottori della nostra rete, disponibili a fornirla direttamente o comunque a firmare una prescrizione». Un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito dallo stato, ma che invece viene portato avanti da un gruppo di attivisti. Sul loro sito si rivolgono direttamente alla paziente in modo diretto e concreto: «Cara paziente! se hai avuto la sfortuna di trovare un dottore che si rifiuta di prescriverti la pillola, riferendosi all’obiezione di coscienza, chiedi una giustificazione scritta (il medico è obbligato a farlo secondo l’articolo 39 dell’atto professionale dei medici). No Panico!…vediamo come possiamo aiutarti». Un’altra iniziativa interessante è rappresentata dal “Punto di prevenzione intima” di Poznan, l’unica clinica ginecologica in tutta la Polonia dove i medici assicurano esplicitamente di non praticare l’obiezione di coscienza. In tale clinica, a qualsiasi ora, è possibile dunque ottenere la prescrizione per la contraccezione di emergenza, oltre a visite e informazioni ginecologiche. Aperta nell’ottobre del 2018 è diventata presto un simbolo e punto di riferimento per tutta quella parte della società civile che si schiera in favore della libertà di scelta, senza farsi intimidire dalle pesanti critiche che i media le hanno indirizzato.

Se far valere un proprio diritto si trasforma in un’azione quasi sovversiva, se la norma diventa l’eccezione, se rispettare la legge sulla salute del corpo delle donne diventa in realtà trasgressione di un codice implicito e eticamente approvato, quale sistema di finzione si sta mettendo in atto? Negli ultimi anni la “svolta cattolico-conservatrice” in Polonia sembra insinuarsi e pervadere sempre più a fondo la quotidianità e intimità di milioni di persone, mentre lo stigma aborto e “non-riproduzione” si fa sempre più visibile e palpabile: dalle immagini scioccanti dei pro-life, ai libri di “educazione sessuale” che in realtà hanno come unico orizzonte la riproduzione all’interno della famiglia patriarcale, alle parole dure di esponenti di chiesa e governo. Occorre dunque guardare all’aumento del fenomeno dell’obiezione di coscienza senza ridurlo a una scelta intima e morale degli individui, bensì trattandolo come un fenomeno sociale che risponde a una precisa struttura normativa.

La sensazione, cioè, è che le iniziative del PiS, o in generale di chiunque voglia eliminare in toto il diritto all’interruzione di gravidanza, non rispecchino in realtà il volere della popolazione e, forse e paradossalmente, neanche il volere della maggioranza della classe medica. Ci sono infatti sondaggi che indicano come la maggioranza dei/delle cittadini/e sia contro le politiche di restrizione dei diritti riproduttivi. Secondo le indagini svolte da Federa nel 2018 il 92% delle persone intervistate è contro l’interferenza dello stato nelle decisioni individuali sulla riproduzione mentre il 69% delle persone intervistate è a favore della libera scelta sull’interruzione di gravidanza fino alla dodicesima settimana, e la partecipazione massiva alle Black Protest del 2016 sembra esserne la rilevante conferma. In altre parole, l’obiezione di coscienza non risponde necessariamente a una convinzione morale, anzi spesso sono altri i fattori che influenzano tale decisione. Basti guardare al fenomeno dell’aborto clandestino, per cui centinaia di medici che nel proprio lavoro pubblico si dichiarano obiettori, poi praticano in gran segreto interruzioni di gravidanza, talvolta nelle stesse strutture in cui sono impiegati. E non stiamo parlando di aborti su base volontaria (illegali), ma anche di quelli legali, che potrebbero essere praticati alla luce del sole, ma che invece i medici spesso preferiscono attuare clandestinamente.

«Il fatto è che l’obiezione aumenta lo stigma sociale non solo sulle donne», spiega ancora l’attivista e medica Natalia, «ma anche sul personale sanitario. Praticare aborti significa spesso andare contro il direttore della struttura, essere malvisto dai colleghi, o sentirsi dare dell’assassino dai manifestanti pro-life che sostano fuori dagli ospedali». Le pressioni della Chiesa, la diffidenza dei propri superiori sul lavoro e un contesto in cui è difficile stabilire con chiarezza quando è possibile praticare un aborto legalmente vanno a delineare un quadro per cui, oggi in Polonia, l’obiezione di coscienza risulti più un atto di precauzione verso possibili ripercussioni,che una genuina decisione di principio. Insomma, più che una scelta dovuta alla propria coscienza, una scelta in tutto e per tutto politica.

Testo pubblicato sul blog Le parole per dirlo, le parole per farlo, creato a seguito di un progetto del bando Fuori Rotta 2018, e quarto di una serie di interventi usciti su DINAMOpress. OnTheJanion è un collettivo nato in seguito a un viaggio di indagine sui movimenti femministi in Polonia. Ne fanno parte: Francesco Brusa, Alice Chiarei, Mara Biagiotti e Francesca Bonfada

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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