di George Galloway

Anche se indossano giubbetti fosforescenti, i dimostranti francesi sono rimasti del tutto invisibili nei media prevalenti, provocando anche un silenzio assordante del movimento sindacale e del lavoro  e persino della cosiddetta “sinistra” al loro interno.

Anche se una testa o una vetrina rotte a Hong Kong o in Venezuela possono essere in testa alle notizie, e spesso lo sono, più di un anno di scontri settimanali, di movimenti di massa di lavoratori affrontati con estrema violenza dallo stato francese e dal suo presidente acutamente liberista Macron sono stati ignorati dalla stampa e dai giornalisti televisivi occidentali con studiata arroganza.

Non può esserci alcuna giustificazione razionale per questo. Hong Kong è a quasi 6.000 miglia (9.656 chilometri) dall’Inghilterra; Caracas a quasi 5.000 (8.047 chilometri). La Francia è a 31 miglia. Non costa poco inviare e mantenere troupe giornalistiche dall’altra parte del mondo. Le escursioni economiche di un giorno proliferano a Parigi.

Nessuna valutazione giornalistica può giustificare la quasi completa assenza di copertura di diffusi disordini in mezzo a un’enorme folla nel nostro vicino europeo più prossimo per un intero anno. In effetti, tale è l’antipatia tra l’élite inglese e quella francese (e viceversa) che, per mutuare un termine tedesco, ci si sarebbe potuto aspettare un senso di Schadenfreude a muovere la copertura britannica, a tutta birra! Ma nemmeno una briciola di ciò.

E questo è quanto, riguardo ai gilet gialli. Naturalmente quello che ora è successo è che l’intera classe lavoratrice organizzata della Francia è scesa in campo. Grandi sindacati – come la moderata CFDT e la militante CGT – con milioni di membri sta ora affrontando fisicamente il potere dello stato francese.

La causa diretta di questo nuovo sviluppo è la “riforma” delle pensioni di Macron. Oggi le riforme sono cose brutte, mentre in passato erano cose buone, essenzialmente facendo lavorare i francesi più a lungo per pensioni inferiori al momento della quiescenza.

Ma come nel caso dei gilet gialli – il cui casus belli originale è stata un’imposta sul carburante – si tratta ora di molto di più delle pensioni.

La classe lavoratrice francese ne ha abbastanza dell’austerità, è stanca della corruzione e degli eccessi del trono del pavone del presidente Macron, stanca della UE, stanca dell’intera classe politica. Precisamente la formula che ha determinato la vittoria della Brexit dalla nostra parte della Manica.

La classe lavoratrice francese – predisposta per secoli alla rivoluzione – è lungi dall’essere costituita da strasciconi in scarpine da ballo nelle proteste. Al contrario, la “polizia antisommossa” francese non fa prigionieri. Una forza irresistibile che incontra un oggetto inamovibile

Ma una cosa è la polizia a malmenare studenti o persino lavoratori comuni. Altra cosa è vedere la polizia introdursi tra i vigili del fuoco in pieno assetto di combattimento – assetto protettivo – come è successo in queste ultime due settimane. Nessuno ha visto due disciplinati servizi in uniforme darsele l’un l’altro sonoramente nelle strade di Parigi da… beh, mai.

La crisi appare in una spirale fuori controllo dallo stato francese; il Natale avrebbe potuto letteralmente essere stato cancellato. Il turismo è stato colpito duramente; personalmente conosco tre coppie che hanno cancellato le loro romantiche vacanze di Natale nella capitale francese. I trasporti in aereo, autobus e treno minacciano di finire bloccati. Uno sarebbe meno sorpreso di svegliarsi alla notizia che l’Assemblea Nazionale sia stata licenziata di quanto Luigi di Borbone lo fu nell’apprendere dell’attacco alla Bastiglia.

Considerata la minaccia quasi esistenziale montata contro uno dei pilastri gemelli della UE, si può cominciare a capire il silenzio quasi universale nelle capitali occidentali, non meno che la loro paura del potere dell’esempio.

Ma perché il silenzio a “sinistra”?

In parte è una sensazione di vergogna che i lavoratori francesi stiano il genere di resistenza che loro non avrebbero neppure sognato di considerare. Ma in parte è l’assenza di liberismo nella massa dei ranghi dei lavoratori francesi. Hanno scartato con sdegno la politica identitaria che infesta tanto ciò che passa per sinistra nella maggior parte dei paesi occidentali.

Non è questione di diritti dei gay, di emancipazione dei neri, di mode complimentose di neutralità di genere. Non è questione di richiedenti asilo o di contrasto del razzismo a difesa dei migranti o della Bolivia o del Venezuela o di opposizione alla fosca storia coloniale francese o alle guerre attuali della Francia in Africa. Si tratta della classe lavoratrice francese che affronta il sistema capitalista, a testa alta, e con vero sangue rosso nelle strade. Lavoratori francesi neri e (prevalentemente) bianchi, gay e (prevalentemente) etero, uomini e donne, che si auto-identificano  solo come lavoratori stanchi di essere derubati. E’ un po’ troppo… proletario per quella che è diventata la “sinistra”.

E così, come Nelson prima di loro alla Battaglia di Copenhagen, sollevano il loro cannocchiale  all’occhio cieco e dichiarano: “Non vedo navi”. La sinistra non vede vascelli da guerra, ma i lavoratori francesi sì. E non è una bella vista.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/yellow-vests-brass-necks/

OriginaleRT

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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