Dorothea Lange fotografando


Francesco Cecchini

“Mentre forse esiste un posto in cui il fotografo non può dirci
nulla più di quanto non possiamo vedere con i nostri occhi, c’è
ne un altro nel quale ci mostrerà quanto poco i nostri occhi
possono vedere.”
Dorothea Lange
DOROTHEA LANGE FOTOGRAFA.
Dorothea Lange nasce a Hoboken, New Jersey, il 26 maggio
1895, da immigrati tedeschi. Si ammala a 7 anni di poliomelite
e rimarrà zoppa tutta la vita. Dorothea commenta ciò
affermando: “La miglior cosa mi sia capitata, mi ha formato,
guidato, aiutato e umiliato”. Il padre, un avvocato, divorzia dalla
madre che Dorothea ha 12 anni. Con la madre va nel Lower
East Side, da una vita agiata ad una povera. Nonostante le

difficoltà economiche , Dorothea si istruisce. Nel 1911 frequenta
una scuola per diventare insegnante, ma è attratta dalla
fotografia, lavora in diversi studi fotografici e si iscrive alla
Columbia University. Diventa apprendista di importanti fotografi.
Alla Columbia segue le lezioni di Clarence White, che le
insegna che il valore di una fotografia non corrisponde al
soggetto ma a come viene ripreso. Dorothea dedica gran parte
della propria attività fotografica al ritratto. Nel 1918 parte con
un’amica per un viaggio alla scoperta del mondo ma giunte a
San Francisco vengono derubate e costrette a fermarsi.
Dorothea trova lavoro in un negozio di stampa fotografica.
Incontrare la fotografa Imogen Cunningham e un mecenate,
Jack Boumphrey, finanzierà il suo primo studio fotografico.
Dorothea fotografa su commissione la borghesia della città. Nel
1920 sposa il pittore Maynard Dixon, con cui ha due figli. Il
rapporto con Imogen Cunningham influenza la fotografia di
Dorothea, che segue i principi del gruppo F/64 e si concentra
su immagini di paesaggi e forme naturali. Durante una delle sua
tante gite in montagna alla ricerca di paesaggi, Dorothea,
sorpresa da una tempesta, capisce che deve concentrarsi sulla
fotografia di persone.
In un pomeriggio del marzo del 1936 Dorothea Lange visitò un
campo di raccoglitori migranti di piselli vicino a Nipomo, in
California. Fece una serie di foto di una donna di trentadue anni
seduta sotto una tenda improvvisata con i suoi figli. Una di
queste immagini divenne presto nota come Migrant Mother ed è
stata definita la più famosa fotografia documentaristica degli
anni ’30. “Quando Dorothea ha scattato quella foto, è stato il
massimo”, ha ricordato Roy Stryker, capo del progetto
governativo che ha assunto Lange. “Per me, era il ritratto di
Farm Security Administration. Le altre erano meravigliose, ma
quella era speciale.” Dopo la sua pubblicazione nel 1936,
Migrant Mother divenne un simbolo senza tempo e universale di
sofferenza di fronte alle avversità.

Migrant Mother foto di Dorothea Lange

Migrant Mother è Florence Owens e così racconta Dorothea
Lange l’incontro: ” Ho visto e avvicinato la madre affamata e
disperata, come attratta da una calamita. Non ricordo come le
ho spiegato la mia presenza o la mia macchina fotografica, ma
ricordo che non mi ha fatto domande. Ho fatto cinque
esposizioni, lavorando sempre più vicino dalla stessa direzione.
Non le ho chiesto il suo nome o la sua storia. Mi ha detto che
aveva 32 anni. Ha detto che vivevano di verdure congelate dai
campi circostanti e di uccelli uccisi dai bambini. Aveva appena
venduto le gomme della sua auto per comprare da mangiare. Lì
sedeva in una tenda inclinata con i suoi figli rannicchiati intorno
a lei, e sembrava sapere che le mie foto avrebbero potuto
aiutarla, e così mi aiutò. C’è stato una sorta di aiuto reciproco.”
LA MOSTRA.
Alla Barchessa di Villa Giovannina, a Carità di Villorba dal 30
novembre si svolgerà la mostra “Storie a Scatti.Dorothea
Lange, American Exodus”, un progetto espositivo ideato da
Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino in

collaborazione con l’associazione culturale mandr.agor.art di
Maria Francesca Frosi e con il Comune di Villorba, grazie
all’impegno del sindaco Marco Serena ed , assessore alla
cultura-Eleonora Rosso. La mostra viene considerata la
continuazione di quella di Tina Modotti, fotografa e
rivoluzionaria sempre tenuta un anno fa alla Bachessa di Villa
Giovannina. Tra l’altro Tina Modotti ritornando dal Messico a
San Francisco in tempi brevi e diversi incontrò e fece amicizia
con Dorothea Lange e sembra che Dorothea consigliò a Tina
l’acquisto della macchina fotografica Graflex, che divenne un
occhio spietato sulla miseria e la sofferenza messicana, come
lo fu per Dorothea Lange sul dramma americano degli anni 30
del secolo scorso.
Nelle 80 immagini della mostra Dorothea Lange, pioniera della
fotografia sociale, immortala le storie e i volti di uno dei più
drammatici esodi della storia.

Giapponesi internati

Dopo l’attacco di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, il
presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt ordinò che tutti
i giapponesi residenti negli Stati Uniti, anche quelli nati in
territorio americano, dovessero essere trasferiti nei “campi di
ricollocamento del periodo di guerra”. Almeno 120mila persone
d’origine giapponese, per almeno i due terzi nate negli Stati
Uniti, furono costrette ad abbandonare le loro case, il loro
lavoro e le loro proprietà. Vennero rinchiuse in dieci campi, tra
cui il più noto è quello di Manzanar, ai piedi della Sierra
Nevada, in California, dove più di diecimila persone furono
costrette a vivere in condizioni estremamente critiche. Dorothea
Lange fu incaricata dall’amministrazione Roosevelt di
documentare l’“evacuazione” e il “ricollocamento”. Anche se era
contraria all’ordine esecutivo, accettò l’incarico perché credeva

che un “ritratto fedele delle operazioni sarebbe stato utile in
futuro”. I comandanti militari che esaminarono le sue foto si
resero conto che il punto di vista critico di Lange traspariva a
pieno dalle immagini. Le foto furono sequestrate e
immagazzinate nei National archives, dove rimasero fino al
2006.

LA MOSTRA, VISTO IL SUCCESSO DI PUBBLICO,
RIMARRA’ APERTA FINO AL 19 GENNAIO 2020

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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