Soccorso rosso. La domanda è: M5S potrà tornare a un livello di consensi che recuperi l’assetto tripolare del sistema politico? Rebus sic stantibus, probabilmente no, per alcuni dati strutturali

In Emilia-Romagna e Calabria è il day after. Due scenari da molti considerati di rilievo diverso, soprattutto per il timore di uno sfondamento leghista nella storica regione rossa. Ma un dato è comune: il tracollo M5S.

In Emilia-Romagna ha probabilmente contribuito la possibilità di voto disgiunto per Bonaccini. Ma in Calabria – con voto congiunto – la percentuale è tanto bassa da non superare la soglia per l’accesso al consiglio regionale. Secondo una lettura, si chiude la stagione del tripolarismo, e torna un bipolarismo centrosinistra-centrodestra. Se così fosse, potremmo veder rifiorire i temi del pensiero unico bipolarista. In primis, la legge elettorale maggioritaria e la governabilità a tutti i costi.

La domanda è: M5S potrà tornare a un livello di consensi che recuperi l’assetto tripolare del sistema politico? Rebus sic stantibus, probabilmente no, per alcuni dati strutturali.

Il primo dato è l’incontendibilità della leadership. Si parla degli errori di Di Maio, che sono molti e gravi. Ma la cosa che davvero colpisce è che Di Maio sia rimasto al suo posto mentre il Movimento affondava nei consensi. Un capo irresponsabile. Non sembra dubbio che in un “normale” partito, con un “normale” gruppo dirigente e “normali” procedimenti di formazione della volontà degli organi, Di Maio sarebbe stato da tempo rimosso e sostituito. Senza quindi giungere alla fatale dichiarazione subito dopo il voto umbro contro l’alleanza con il PD, per un ritorno alle origini e alla terza via né di destra né di sinistra. Una via che ha condotto al disastro nel voto del 26 gennaio.

Il secondo dato strutturale, in parallelo con il primo, è la mancanza di un vero gruppo dirigente. Assenza determinata dal concorso di due fattori: la selezione con metodi come le parlamentarie, regionarie e simili, che non consentono scelte consapevoli e mirate delle candidature; la previsione del limite di due mandati, che impedisce la valorizzazione di competenze acquisite sul campo. Si aggiunge la subalternità rispetto alla instant democracy della piattaforma Rousseau, palesemente inidonea per la costruzione di un progetto politico organico.

In fondo, assistiamo alla vendetta dell’art. 49 della Costituzione. Se i fondatori e costruttori del Movimento lo avessero letto, avrebbero capito la incompatibilità di quel che nasceva con il “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, che la norma contempla. E il nuovo nato non avrebbe manifestato le tare genetiche che ora conducono a un esito non privo di assonanze con quello che, agli albori della Repubblica, segnò la fine dell’Uomo qualunque.

M5S farà le sue scelte. Ma anche un ripensamento radicale sull’identità e sull’organizzazione potrebbe oggi arrivare tardi. È perduta l’occasione storica che il voto del 4 marzo aveva offerto, ed è improbabile che ve ne sia un’altra. Qui rileva il voto calabrese, che suggerisce come anche la cassaforte elettorale del Sud sia perduta. Altra conferma viene dalle scelte e dalle polemiche in atto a Napoli e in Campania per una suppletiva senatoriale tra qualche settimana, cui M5S va in corsa solitaria, e le regionali di maggio.

Il quadro delle convenienze dei soggetti politici cambia. Che fare, se si riapre un cantiere in chiave maggioritaria sulla legge elettorale? Non c’è dubbio, resistere. Ricordiamo che il voto emiliano non è solo vittoria di Bonaccini. È anche Lega al 32% e FDI quasi al 9. E il voto calabrese è centrodestra al 55%. Probabilmente, qualunque maggioritario consegnerebbe oggi il paese a una egemonia di destra, con ampi numeri per modificare la Costituzione in chiave presidenzialista. Già un proporzionale con soglia alta garantirebbe a un centrodestra vicino al 50% dei consensi di superare la maggioranza assoluta dei seggi.

Potremmo ricordare per l’ennesima volta come l’esperienza di altri paesi dimostri che nessun artificio maggioritario garantisce davvero la governabilità. Come nell’esperienza italiana il maggioritario abbia contribuito a destrutturare il sistema politico. Come un parlamento ampiamente rappresentativo sia il migliore elemento di stabilità per un paese diviso, e soprattutto confuso. Ma i fan del maggioritario per la governabilità a tutti i costi sono come la gramigna. Più si strappa, più ricresce.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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