Giulio Chinappi

Nella giornata di ieri, il parlamento europeo ha dato il via libera all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La Brexit potrebbe però portare alle reazione degli indipendentisti scozzesi e nordirlandesi.

Mercoledì 29 gennaio, il parlamento europeo ha votato in favore dell’accordo che porterà all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. I voti favorevoli sono stati 621, i contrari 49 e gli astenuti 13. L’uscita avverrà domani, ma in seguito proseguiranno i negoziati per determinare le nuove relazioni tra le parti.

Come i nostri lettori ben sanno, noi abbiamo sempre appoggiato la Brexit, e crediamo che il successo del Regno Unito da questo punto di vista possa segnare un passo importante ed un esempio per i Paesi che, in futuro, vorranno abbandonare la gabbia europea al fine di riconquistare la piena sovranità. Tuttavia, è noto come la Brexit sia stata avversata in particolare da Scozia ed Irlanda del Nord, verso le quali sono ora puntati i riflettori.

Subito dopo il via libera del parlamento europeo, infatti, è arrivata la risposta del parlamento scozzese, che ha votato a favore dell’organizzazione di un nuovo referendum sull’indipendenza da Londra, per 64 voti contro 54. Tuttavia, il referendum non potrà avere luogo senza l’avallo del governo britannico, ed il primo ministro Boris Johnson ha già espresso un’opinione sfavorevole, affermando che i risultati del voto del 2014 sono tuttora validi. Gli indipendentisti scozzesi, a loro volta, affermano che la Brexit rappresenta un nuovo elemento di tale importanza da rendere necessaria una nuova consultazione popolare. La posizione è condivisa anche da Nicola Sturgeon, primo ministro della Scozia e leader del Partito Nazionale Scozzese (in inglese Scottish National Party, SNP; in gaelico scozzese Pàrtaidh Nàiseanta na h-Alba, PNA; in scots Scottis Naitional Pairtie, SNP).

Ancora più difficile è la situazione dell’Irlanda del Nord, che si troverà nuovamente separata dal resto dell’isola, con il rischio di risvegliare il sentimento nazionalista favorevole alla riunificazione con Dublino. Nell’ultimo ventennio, in seguito all’accordo di pace del 1998, l’apertura del confine tra le due entità irlandesi ha contribuito al mantenimento della pace ed alla fine delle lotte violente in quei territori. Anche in Irlande del Nord, si incomincia a parlare di un referendum per decidere sull’appartenenza delle sei contee britanniche dell’Ulster a Londra o a Dublino. La soluzione prospettata per ora prevederebbe l’innalzamento di una barriera doganale non tra i due territori irlandesi, ma tra l’isola della Gran Bretagna e quella d’Irlanda, soluzione che comunque ha trovato molti oppositori.

Le uniche notizie positive per il governo Johnson arrivano dal Galles, dove Adam Price, leader del partito Plaid Cymru (in inglese The Party of Wales, ovvero il Partito del Galles), ha espresso un’opinione conciliante con la Brexit, nonostante le iniziali perplessità della formazione della sinistra gallese. Price ha ammesso che, negli ultimi mesi, il partito si è spaccato tra favorevoli e contrari alla Brexit, ma che oramai non ha più senso concentrarsi su una battaglia passata. “Semplicemente difendere lo status quo non è più sufficiente. È tempo di concentrarsi sulle nuove opportunità nel nuovo panorama”, ha concluso il leader politico gallese nel suo discorso tenuto presso l’Assemblea Nazionale del Galles, a Cardiff.

Certamente, la fine del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non è ancora dietro l’angolo. Altrettanto indubbiamente, i settori nazionalisti scozzesi e nordirlandesi, sia di destra che di sinistra, potranno sfruttare l’avvento della Brexit per rilanciare la lotta per l’indipendenza da Londra.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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