Se qualcuno avesse creduto che il Mose, il sistema di dighe sommerse che dovrà proteggere Venezia, potesse essere finito a fine 2021 deve ricredersi. Il super commissario Spitz ha annunciato che dopo la fine dei lavori servirà un altro anno di “avviamento” prima che l’opera possa essere attiva. Intanto contro la sua nomina si scaglia Italia Nostra: “Con lei rischio privatizzazione laguna”.

ATTUALITÀ 10 FEBBRAIO

Il Mose pronto a fine 2021? Macché, per vederlo operativo bisognerà aspettare il 2023. Ed eccola che da Venezia arriva l’ennesima doccia fredda legata alle barriere mobili che dovrebbero, un giorno, proteggere la laguna dalle maree. L’infausto annuncio arriva tra le righe dalla super commissaria del Consorzio Venezia Nuova, Elisabetta Spitz, nel corso del convegno “Acque alte a Venezia: la soluzione MoSE”, svoltosi sabato scorso a Venezia, presso l’Ateneo Veneto: “Sarà pronto il 31 dicembre del 2021, ma poi servirà un anno di avviamento”. Ed ecco che, con l’ennesima supercazzola, la data di messa in funzione della colossale opera costata già 6 miliardi slitta un po’ più in là, almeno quindi al 2023. La data di fine lavori e collaudi, insomma la data per le “chiavi in mano” all’ente che dovrà gestire l’opera (ma ovviamente non si è ancora fatto avanti nessuno) era stata confermata per l’ultimo giorno del prossimo anno. Ora invece veniamo a sapere che ci vorrà un altro anno per “avviare” l’opera. Una presa in giro. Il super commissario ha poi rinnovato la promessa che entro giugno il Mose sarà pronto per le “prove di emergenza”, sollevare cioè per la prima volta tutte e quattro le barriere insieme, e ha fissato in 100 milioni di euro annui il nuovo tetto che non si vorrebbe superare per quanto riguarda i costi di manutenzione. Ma come detto più volte questo piano di manutenzione e gestione ancora non c’è.

Infine ha gettato acqua sul fuoco delle polemiche dei costi e dei fondi che pare siano completamente prosciugati: “Stiamo affrontando tanti problemi, ma non sono problemi di soldi, quelli ci sono tutti”. Nelle scorse settimane infatti, oltre alle lamentele delle ditte che minacciavano di fermarsi per i pagamenti in ritardo, a Venezia correva voce di un rischio di privatizzazione, anzi “cartolarizzazione”, in ordine di ottenere dalle banche i liquidi necessari. Insomma pezzi di laguna in garanzia dei finanziamenti che passerebbero in mano dei privati se non dovessero essere onorati. Del resto, era stata proprio la nomina di Elisabetta Spitz a mettere in molti sul chi va là. La Spitz, infatti, era a capo dell’Agenzia del Demanio al tempo delle famose cartolarizzazioni dell’allora ministro Giulio Tremonti. “Fu una delle stagioni più buie per il patrimonio immobiliare pubblico italiano –  ha scritto Mariarita Signorini, Presidente nazionale Italia Nostra – . Non si contano i fallimenti politici ed economici di quegli anni (…). Ora PD e Movimento 5 Stelle riesumano questo autentico “boiardo di Stato” di provenienza immobiliaristica e tremiamo al solo pensiero delle conseguenze che questo potrà avere, soprattutto in riferimento alle opere di mitigazione e compensazione ambientale: non ci stupiremo di vedere beni pubblici o isole della laguna trasformati in resort di lusso proprio grazie ai soldi delle misure compensative del MOSE”.

https://www.fanpage.it/attualita/mose-la-presa-in-giro-continua-quando-sara-finito-poi-dovra-essere-avviato-attivo-nel-2023/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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