Coronavirus e America Latina

Francesco Cecchini

L’America Latina sta soffrendo la più grave epidemia di dengue negli ultimi anni. Nel 2019, si sono registrati   il maggior numero di casi di dengue nella storia del continente: 3.139.335. Ora è arrivato anche il coronavirus. Belice è l’unico paese che ancora non ha casi di Covid-19.

COLOMBIA.

In Colombia la vera pandemia è il massacro di leader  dei diritti umani, indigeni ed ex guerriglieri.

L’Organizzazione nazionale indigena della Colombia (ONIC) ha denunciato che persone sconosciute hanno assassinato due leader indigeni in una zona rurale del comune di Bolívar, nel dipartimento colombiano della Valle del Cauca. I due indigeni erano stati messi in quarantena per  Covid-19. L’ONIC ha così dichiarato: “Oggi, due leader indigeni Embera sono stati assassinati  e altri due feriti. Ciò è avvenuto nel villaggio di Naranjal a Bolivar. La vera pandemia è il genocidio delle popolazioni indigene. ONIC ha aggiunto   che i due assassinati e i due feriti appartengono alla stessa famiglia ed erano a casa seguendo l’ordine di isolamento preventivo in Valle del Cauca che ha preceduto quello della quarantena per tutta la Colombia.  Come ha detto il senatore indigeno Feliciano Valencia i due indigeni assassinati si chiamano Omar ed Ernesto e quelli feriti José e Victor, tutti e quattro di cognome Guasiruma. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nel 2019 sono stati assassinati nel di partimento del Cauca almeno 66 indigeni sono stati assassinati.                                                                Nello stesso tempo il partito FARC, Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común, ha denunciato che domenica a Macarena nel distretto di Meta è stato assassinato l’ex guerrigliero Albeiro Antonio Gallego Mesa. Il partito FARC ha colto l’occasione per sottolineare che il 2019 è stato l’anno più violento per gli ex guerriglieri che accettarono l’ Accordo di Pace.

BRASILE

Il 24 marzo il Brasile ha registrato almeno 400 nuovi casi di contagio del coronavirus nelle ultime 24 ore, aggiornando il totale a 1.891 infezioni. Nove i nuovi decessi, per un bilancio complessivo di 34 vittime, ha riferito oggi il ministero brasiliano della Sanità. Trenta delle 34 vittime erano dello Stato di San Paolo, quattro di Rio de Janeiro.

Nonostante questa situazione il presidente di ultra destra del Brasile il fascistoide Jair Bolsonaro ha definito il coronavirus  una influenzetta e ha criticato l’isolamento. “Il virus è arrivato e a breve passerà “, ha detto il in una dichiarazione televisiva alla nazione. Bolsonaro ha inoltre criticato le misure adottate da alcuni governatori del paese, che, come nello stato di San Paolo che hanno dichiarato l’intera popolazione in quarantena.

Come è accaduto durante gli ultimi giorni di notte, in molte città del paese la dichiarazione di Bolsonaro è stata accompagnata da rumorosi cacerolazos, organizzati sulle reti sociali da persone che protestano quasi quotidianamente per disprezzo del governo contro la pandemia

Dopo il suo discorso si sono scatenate le reazioni negative. Significativo il durissimo il commento dell’ex presidente della Repubblica, Fernando Henrique Cardoso: “Il momento è serio, non c’è tempo per schermaglie politiche, ma opporsi agli infettivologi va oltre i limiti. Se non starà zitto, si prepari alla fine. Ed è meglio la sua che quella dell’intera popolazione. Sarebbe meglio che si correggesse e poi restasse in silenzio”.

ARGENTINA

L’Argentina ha commemorato l’anniversario del colpo di stato militare in quarantena. Per la prima volta dalla fine dell’ultima dittatura, la manifestazione di massa  di fronte alla Casa Rosada non si è avuta. La Plaza de Mayo a causa della quarantena in cui vive l’Argentina era completamente vuota lo scorso martedì. Come tante cose inimmaginabili in questa pandemia, nessuno avrebbe pensato che 44 anni dopo il colpo di stato militare del 1976 contro María Estela Martínez de Perón, non si sarebbe commemorare l’evento.

Il Presidente Fernández è riluttante, per garantire la quarantena, a mettere in atto una misura che potrebbe comportare l’impiego dell’ esercito nelle strade di un paese che ha subito nel secolo scorso la dittatura più sanguinosa del Sud America, con 30.000 desaparecidos, secondo le organizzazioni per i diritti umani. Lo stato d’assedio è stato in vigore in Argentina durante tutta la dittatura militare, dal 1976 al1983 e anche prima, poiché era stato decretato da Isabelita Perón nel 1974. Inoltre, in democrazia era stato invocato in tre occasioni, sempre da presidenti radicali: in 1985 e 1989 di Raúl Alfonsín; e da Fernando de la Rúa durante la grave crisi economica del 2001, con un bilancio di 39 morti.

“Non è possibile e vicino”, ha dichiarato Fernández di recente, sebbene non abbia chiuso la porta allo stato di assedio: “Se si dovesse arrivare, ciò farebbe molto male della società argentina”. Il leader peronista si impegnato in tutti i suoi interventi in questi giornia sensibilizzare la popolazione . “La gente deve capire che questa situazione non va risolta con uno stato d’assedio, ma con la fiducia sociale”.

Il presidente di Las Abuelas di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, si è dichiarata  martedì scorrso contro la dichiarazione dello stato d’assedio. “Lo stato di assedio è una cosa molto seria, è stata imposta in momenti molto tristi della nostra storia. Uno stato d’assedio ci porta sentimenti cattivi, brutti ricordi, è sempre stato in tempi tremendi”.

Inoltre, Estela de Carlotto ha respinto la richiesta di autorizzare i condannati per genocidio durante la dittatura, tutti a rischio di età a causa del coronavirus, a cambiare il regime carcerario agli arresti domiciliari. “Assolutamente no. Il crimine contro l’umanità non da alcun tipo di privilegio o diritto di cambiare la  situazione. Vogliono provocare pietà, perché vecchi. Sono vecchi ma pericolosi, perché non dimenticano. E l’hanno detto in tribunale. Non se ne pentono, lo farebbero di nuovo se necessario “.

Quest’anno la tradizionale marcia è stata sostituita da un’iniziativa che prevede di mettere sciarpe bianche sui balconi

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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