Ad un mese dall’inizio della quarantena, un approfondimento sulla situazione nel paese latinoamericano: dalle misure in ambito sanitario del governo peronista di Alberto Fernández, entrato in carica quattro mesi fa, alla crisi sociale ed economica, dalle politiche pubbliche di redistribuzione fino alle trame comunitarie e all’autorganizzazione nei quartieri. Non si fermano violenza patriarcale, femminicidi e abusi di polizia, mentre nei quartieri popolari aumentano fame e miseria.

Il primo caso confermato di Covid-19 in Argentina risale al 3 marzo: un uomo di 43 anni che presentava i sintomi della malattia, rientrato con un volo dall’Europa due giorni prima. Da allora sono 3.031 i casi di positività registrati nel paese, e 142 il numero dei morti. Per ora il 71,2% dei positivi ha a che vedere con casi importati, cioè persone che hanno contratto la malattia fuori dall’Argentina, o scaturiti dal contatto stretto con persone infette provenienti da paesi con focolai, e solo il 19% dei casi riguarda trasmissione comunitaria del virus. Il restante 9.8% rappresenta i casi ancora da definire.

Le cifre, a un mese e mezzo da quel primo caso ed esattamente un mese dopo l’inizio della quarantena, dimostrano la tempestività con cui il presidente Alberto Fernández e il governo hanno affrontato il problema.

Non si può dire lo stesso delle allarmanti gestioni di altri governi della regione, come sta accadendo in Ecuador dove l’epidemia è fuori controllo, a Guayaquil i corpi dei morti sono stati abbandonati per strada mentre il governo paga le rate del debito piuttosto che finanziare la sanità pubblica e misure di reddito di base; oppure il Brasile, dove Bolsonaro continua a sminuire il problema e negare la situazione drammatica della pandemia, piuttosto che in Cile o in Colombia dove le politiche neoliberiste hanno devastato i sistemi di salute ed i governi non stanno offrendo alcuna risposta alla fame ed alla durissima crisi sociale in corso.

A fronte dei governi della regione che hanno assunto posizioni negazioniste in alcuni casi in assenza di politiche sociali in generale, il governo argentino ha mostrato invece una attenzione differente ai problemi di salute e alla disuguaglianza sociale, mostrando volontà di coordinamento con le autorità sanitarie nazionali e internazionali, ed anteponendo la salute pubblica agli interessi dell’accumulazione di capitale.

Delineando la complessa situazione del paese in ambito economico-finanziario, e segnalando la contesa attorno alla redistribuzione della ricchezza, analizziamo le scelte politiche del presidente progressista che è arrivato al governo con il Frente de Todos da un punto di vista sanitario e da quello delle politiche sociali, nel pieno di una crisi drammatica che accompagna la pandemia, che ha già creato 23 milioni di nuovi poveri in America Latina.

Foto di Gastón Bejas.

La pandemia in Argentina si iscrive infatti all’interno della profonda crisi economica e sociale che il paese ha vissuto durante gli ultimi quattro anni con il governo Macri, che ha lasciato un paese  indebitato con il FMI e sull’orlo del default.

Ma gli ultimi anni sono stati caratterizzati anche da un ciclo di lotte sociali straordinariamente esteso, dal movimento femminista alle organizzazioni delle economie popolari, dai popoli indigeni fino ai sindacati più conflittuali: uno spazio delle lotte determinante per la sconfitta del progetto neoliberale macrista alle scorse elezioni, che ha portato alla vittoria un governo che assume la sfida del  cambiamento in una drammatica situazione.

Il paese vive giorno dopo giorno le conseguenze delle politiche di austerità, dei tagli alla spesa pubblica, dell’inflazione altissima e della pesante svalutazione della moneta causate dalla gestione precedente: conseguenze devastanti sulla vita di milioni di persone che hanno portato all’attuale situazione dove oltre il 30 per cento degli argentini vive sotto la soglia di povertà.

Non vogliamo nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere con una tale emergenza durante il governo precedente, che aveva addirittura cancellato il Ministero della Salute derubricando lo stesso a semplice Segreteria (insieme ad altri 9 ministeri).

Tra fine febbraio ed inizio marzo il governo era alle prese con la rinegoziazione del debito con il FMI. La stessa Kristalina Georgieva, Direttrice Generale del Fondo, ammetteva in quei giorni la sofferenza delle economie periferiche indebitate dai piani di ristrutturazione neoliberali. Il debito pubblico dell’Argentina, secondo la stessa missione tecnica del Fondo, era insostenibile.

Il debito estero era addirittura raddoppiato nei quattro anni del governo Macri. Gli incontri sono poi stati sospesi a causa dell’insorgere della pandemia ad inizio marzo, ma sono tornati in agenda proprio in questi giorni. Il Ministro dell’Economia Martín Guzmán ha presentato la proposta di ristrutturazione del debito, nella quale in sostanza l’Argentina accetta di farsi carico del debito – disattendendo le richieste dei movimenti e di una parte dello stesso governo che sostiene con forza l’annullamento di un debito contratto in modo illegittimo – proponendo un taglio degli interessi ai creditori, che passerebbero approssimativamente dall’8% al 2%, attestandosi così sui livelli di altri paesi della regione, per negoziare mantenendo una posizione di credibilità rispetto agli stessi mercati finanziari.

In attesa della ripresa delle negoziazioni, i movimenti sociali rivendicano una rottura con la logica del debito, proponendo diverse soluzioni, dall’audit fino alla sospensione del pagamento.

Come recitavano striscioni di tanti cortei e manifestazioni, il “debito dello Stato è nei confronti del popolo, non del Fondo Monetario Internazionale”. Una battaglia che sarà lunga, ma decisiva per il futuro del paese.

Foto di Valentina Fusco.

ACHATAR LA CURVA: L’ARGENTINA AFFRONTA LA PANDEMIA 

Quello che fino a due mesi fa era un concetto astratto e del tutto estraneo al senso comune, oggi è l’imperativo assoluto nell’Argentina di Alberto Fernández che, ricordiamo, è entrato in carica solamente il 10 dicembre scorso. “Appiattire la curva”. Ovvero prevenire oggi per non farsi trovare impreparati domani. Perchè se è vero che oggi, a due mesi dall’apparizione dei primi focolai di Covid-19 al di fuori della Cina, la strategia di mitigazione del contagio attraverso il lockdown è stata adottata quasi ovunque, è altrettanto importante ricordare che molti paesi lo hanno fatto solo in seconda o terza istanza, quando le conseguenze drammatiche di una sottovalutazione dell’epidemia non lasciavano ormai più spazio ad alternative.

Proprio nell’ottica di mitigare la diffusione del virus, al fine cioè di ritardare e abbassare il picco dei contagi per non saturare il sistema sanitario,  sono state intraprese misure graduali sempre più restrittive di distanziamento sociale.

Dapprima sono state interrotte le iniziative culturali di massa (12 marzo), a cui ha fatto seguito la sospensione delle lezioni nelle scuole di livello primario e secondario (15 marzo); successivamente è stato deciso di chiudere le frontiere e sospendere i voli (16 marzo) e interrompere il campionato di calcio (17 marzo). Infine, la quarantena obbligatoria è stata annunciata il 19 marzo, entrando in vigore dalla mezzanotte del 20, quando i casi confermati di Covid-19 erano solo 128.

Una parentesi sulle scuole, necessaria anche per comprendere l’adattamento delle direttive sanitarie alla specificità del paese, permette di osservare che le strutture scolastiche sono comunque rimaste aperte, nonostante la sospensione delle lezioni, per svolgere la funzione di mensa. Infatti, per molti bambini, ragazze e ragazzi di quartieri popolari e settori vulnerabili della società, la scuola garantisce l’unico pasto caldo della giornata, per cui oltre a essere un presidio educativo è anche un presidio alimentare in contesti di indigenza, povertà estrema e denutrizione.

Il governo argentino, approfittando dell’arrivo tardivo del contagio in America Latina, ha avuto la possibilità e la capacità di leggere le diverse strategie, facendo tesoro di errori altrui e cercando di evitare quanto più possibile incertezze e passi falsi.

Lo ha fatto, e lo sta facendo, non senza scelte criticabili, margini di miglioramento e reclami ancora inascoltati di ampi settori della società – in particolare alcune categorie di lavoratori e lavoratrici a partita iva e la popolazione migrante con visto temporaneo – affrontando l’emergenza con rapidità e senza cadere nella dicotomia salute-economia in quanto alle priorità e alle scelte da intraprendere. Lo ha fatto, finora, adattando e risignificando ove necessario le linee guida dell’OMS, sulla base delle specificità territoriali, sociali, economiche e culturali del paese.

Ne sono un esempio le eccezioni all’obbligo di isolamente e di quarantena previste per le tantissime donne vittime di violenza domestica, o la campagna di sensibilizzazione per l’isolamento sociale obbligatorio #Quedate En Casa (Rimani a casa), che è diventata #Quedate En Tu Barrio (Rimani nel tuo quartiere) nelle villas e i quartieri popolari urbani, laddove il sovraffollamento e le precarie condizioni igienico-sanitarie rendono impossibile il rispetto delle norme di distanziamento sociale. L’esercito, che non viene utilizzato per pattugliare le strade come in altri paesi dell’America Latina, è stato inviato a distribuire pacchi alimentari nei quartieri popolari.

Il discorso pubblico di Fernández è basato sull’importanza della presenza dello Stato e sulla centralità delle politiche pubbliche dal punto di vista sociale e sanitario, in contrapposizione alle politiche del precedente governo neoliberista; appellandosi al senso di responsabilità collettiva e solidarietà sociale.

Al tempo stesso, emergono anche i limiti delle possibilità del sistema pubblico di assistenza e redistribuzione, laddove deve fare i conti con questioni strutturali, ma anche con rapporti di forza all’interno di un più ampio campo di contesa sulla redistribuzione della ricchezza nel paese, del modello agro-esportatore e delle finanze. Le politiche pubbliche del governo Fernandez, tanto per quanto riguarda le misure sanitarie di contenimento del contagio quanto quelle sociali ed economiche di contrasto alla crisi, vanno comprese all’interno di tale contesto di contesa aperta dal ciclo di lotte degli scorsi anni.

Foto di Gastón Bejas.

LE MISURE DEL GOVERNO TRA PREVENZIONE E REDISTRIBUZIONE

Dal punto di vista della salute pubblica, le politiche governative sono state soprattutto di prevenzione, essendo ridotte le capacità di finanziamento del sistema sanitario; tutte le misure intraprese sono orientate a potenziare le strutture sanitarie pubbliche, ma soprattutto a prevenire un alto numero di malati ospedalizzati, che non sarebbero assolutamente gestibili. Dal punto di vista sanitario, in Argentina vige un sistema tripartito: il pubblico, il privato, e il misto, cui si accede tramite una copertura assicurativa vincolata alla categoria professionale di appartenenza.

Il sistema sanitario pubblico è quello che più di tutti ha sofferto tagli a causa delle politiche neoliberali del governo precedente, per cui oggi negli ospedali c’è un deficit di personale, di strumentazioni e di materiali di protezione individuale.

Il 18 aprile è morto il primo medico a causa di una infezione di Covid 19. Come denunciato da un articolo pubblicato dal sito di informazione indipendente  Anred, la situazione negli ospedali è molto complicata: l’Argentina, secondo i dati resi noti dal Ministero della Salute, è il paese con più alto numero al mondo di contagiati tra il personale medico, essendo attualmente 374 su poco meno di tremila contagiati nel paese (il 14 per cento del totale).

Dal punto di vista della situazione economica, le misure sono volte a arginare la crisi partendo dai settori più vulnerabili della società: è stato quindi previsto l’Ingresso Familiare di Emergenza, un bonus del valore di 10.000 pesos (poco più di 120 euro, quasi il doppio della spesa minima mensile stimata per l’alimentazione). Inizialmente previsto per circa 4 milioni di lavoratori e lavoratrici delle economie popolari, l’ IFE (ingresso familiare di emergenza) è stato richiesto da 11 milioni di persone, e sono stati stanziati i fondi per circa 8 milioni di persone al momento. Tra le altre misure, incentivi economici al personale sanitario e alle forze armate; sospensione dei tagli di luce, acqua e gas per sei mesi in caso di morosità; inoltre è stato attivato un fondo di credito per le piccole e medie imprese, ed il governo si farà carico parzialmente dei salari delle imprese private in crisi.  Sono stati proibiti per decreto licenziamenti e sospensioni per 60 giorni – il che ha generato uno scontro con parte del settore imprenditoriale del paese – ma in molti casi le aziende stanno comunque licenziando e tagliando gli stipendi tra il 20 e il 50 per cento, causando situazione molto difficili per lavoratori e lavoratrici e le loro famiglie.

Nell’ambito di questo conflitto uno dei fronti più accesi è stato quello con  Paolo Rocca, presidente del consiglio direttivo e amministratore delegato della holding italo-argentina Techint, multinazionale cui fanno parte oltre 100 società nel mondo, uno dei gruppi economici più ricchi e potenti del paese, padrone del mercato dell’acciaio e uno dei principali appaltatori di opere pubbliche e private sul territorio argentino.

Techint in piena pandemia – era il 27 marzo – ha licenziato 1450 dipendenti considerando “non essenziale” l’attività che stavano svolgendo. Molto probabilmente un gesto di sfida al governo, in rappresentanza del settore industriale, a seguito delle misure di emergenza decretate dall’esecutivo pochi giorni prima, misure che insieme all’isolamento sociale, preventivo e obbligatorio disponevano la chiusura delle fabbriche e di tutte le attività produttive non considerate essenziali.

La reazione del presidente Fernández non si è fatta attendere. Il 31 marzo con un nuovo decreto vengono infatti proibiti i licenziamenti e le sospensioni per 60 giorni (art.2 DNU 329/2020). Nel frattempo, mentre in Argentina Rocca e la Techint portano avanti un braccio di ferro con il governo sulla pelle di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie, in Italia, la Dalmine s.p.a. del gruppo Tenaris, parte della holding dei fratelli Rocca, promuove un’immagine di impegno e collaborazione sul fronte dell’emergenza Covid-19, accelerando la produzione di componenti per le bombole utilizzate per l’ossigeno nelle terapie intensive degli ospedali italiani. Due facce della stessa medaglia che però confermano, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, che gli industriali, tanto in Italia come in Argentina, sono promotori esclusivamente dei propri interessi particolari.

Non a caso, al di là della facciata collaborativa, lo stesso disinteresse per la salute dei lavoratori è ben evidente se guardiamo a quanto sta avvenendo in Italia ed in particolare nelle fabbriche in Lombardia. Tenaris infatti, con 1700 lavoratori impiegati negli stabilimenti del bergamasco, è una delle aziende che si sono opposte alla chiusura nonostante la provincia di Bergamo sia stata tra le più colpite dal Covid-19.

Tornando all’Argentina, Fernández in diretta televisiva a reti unificate ha voluto dare un segnale chiaro agli industriali e alla logica del profitto in una situazione di emergenza come la attuale, dicendo: “Saró duro con chi licenzia. Per molti di questi imprenditori si tratta qui di guadagnare meno, non di andare in perdita. Quindi ragazzi, vi tocca, è arrivato il momento di guadagnare meno”. Aggiungendo infine attraverso un tweet: “Nessuno si salva da solo. Bisogna essere solidali, mettersi al posto dell’altro e aiutarlo. Alcuni miserabili si dimenticano di quelli che lavorano per loro e nella crisi li licenziano. Non lascerò che lo facciano”. Alla luce di tutto questo, seppur la politica di Alberto Fernandez stia avendo un grande sostegno popolare e le sue politiche stanno mettendo al centro l’importanza dell’intervento pubblico delegittimando i tagli e le privatizzazioni esaltati dalle destre e dal governo precedente, la situazione nel paese rimane comunque molto complicata da diversi punti di vista.

Foto di Gastón Bejas.

QUEDATE EN TU BARRIO: CHE SUCCEDE NEI QUARTIERI POPOLARI?

Le disuguaglianze sociali esistenti si stanno aggravando ancora di più, la’umento dei prezzi e della disoccupazione accompagna le situazioni più critiche nei diversi territori urbani e rurali dove le sfide per la sopravvivenza avvengono in una condizione di spoliazione di risorse, spazi e ricchezza. Dallo smantellamento del pubblico alla disoccupazione, dalla devastazione ambientale alla miseria crescente, tanto il governo come i movimenti sociali e le organizzazioni popolari stanno affrontando una situazione davvero complicata.

Per molti settori sociali in Argentina ed in America Latina è difficilmente sostenibile l’obbligo di quarantena e il distanziamento sociale a causa delle condizioni urbanistiche, igieniche e sanitarie di tante aree urbane e metropolitane: per esempio quando le case sono sovraffollate, autocostruite e nei territori mancano servizi essenziali come luce, fognature e acqua corrente. Nei territori indigeni, nei quartieri popolari, nelle villas, nelle aree informali delle grandi metropoli sono state sperimentate delle forme di quarantena comunitaria o di quartiere, con erogazione di fondi dedicati alle attività di risanamento e miglioramento delle infrastrutture di quartiere, politiche pensate assieme tra organizzazioni sociali e governo.

Ma la situazione di miseria, fame e povertà è drammatica, come denunciato da un reportage pubblicato dalla rivista Crisis sulle situazioni nell’area metropolitana di Buenos Aires e in diverse altre province del paese: l’insostenibilità della situazione è testimoniata dalle organizzazioni sociali così come dalle forze di polizia, che temono saccheggi e proteste per fame. Se le organizzazioni sociali operano per evitare che l’inefficienza statale porti a situazioni disastrose per i settori popolari, nonostante il dialogo (denso di tensioni) tra governo e movimenti per la gestione della situazione nei territori, la fame avanza e una lunga quarantena potrebbe diventare drammatica per i settori più colpiti dalla perdita di possibilità di lavorare e di poter alimentare le proprie famiglie.

Sono le organizzazioni sociali, le reti di solidarietà, mutualismo ed autogestione, le organizzazioni femministe e le reti che vengono dal movimento piquetero, le comunità cattoliche di base e le parrocchie a sostenere la riproduzione della vita con le mense popolari.

Le reti autogestite di distribuzione di beni di prima necessità, le trame delle economie popolari, le cooperative nei territori, che negoziano con il governo, gestiscono il welfare territoriale, si confrontano con le situazioni più difficili che in periodi di crisi diventano normalità.

Come denunciano molte organizzazioni, nonostante i finanziamenti statali ottenuti dalle mense popolari autogestite nei territori, la situazione non è sostenibile sul medio periodo: in molti territori, molte famiglie stanno aprendo le proprie case trasformandole in “comedores” informali per fare fronte al bisogno di cibo nei quartieri popolari, laddove in poche settimane è aumentato a dismisura il numero di persone in fila nelle mense autogestite.

In prima fila, le donne, il lavoro di cura, l’autogestione delle trame comunitarie che in condizioni difficili garantiscono quella riproduzione sociale che il neoliberismo prima e la pandemia poi stanno mettendo profondamente in crisi.

Fondamentale nel tessuto culturale, produttivo ed economico del paese la presenza della popolazione migrante nel paese, che si trova oggi a vivere condizioni particolarmente difficili. Sono 2 milioni e 200 mila gli stranieri sul territorio argentino secondo le stime ONU del 2017, mentre ogni anno ci sono circa 200 mila richieste di regolarizzazione (fonte Ministero dell’Interno). Oggi i requisiti per avere accesso ai sostegni economici del governo prevedono che i richiedenti abbiano il documento di residenza da almeno 2 anni, il che taglia fuori moltissimi lavoratori e lavoratrici migranti dell’economia popolare o informale, che in questo contesto di isolamento sociale e blocco delle attività economiche, non hanno nessuna fonte di ingresso, ritrovandosi in una condizione ancor più precaria e di vulnerabilità.

In diverse aree del paese, inoltre, decine di esperienze di autogestione del lavoro, cooperative delle economie popolari e fabbriche recuperate stanno producendo alcool in gel e mascherine, contribuendo ad affrontare l’emergenza sanitaria.

E’ il caso dell’unico centro di produzione di farmaci autogestito del mondo, occupato e recuperato dai suoi lavoratori nel 2018, l’ex Roux Ocefa, poi diventato Farmacoop, sta producendo alcool in gel per sostenere il fabbisogno nazionale. Sul fronte del tessile invece, dalla cooperativa autogestita formata da decine di lavoratori migranti Juana Villca nell’area metropolitana di Buenos Aires, fino alla cooperativa Textiles Pigué, fabbrica tessile recuperata dal 2003 nella provincia di Buenos Aires, sono tantissime le esperienze autogestite che stanno producendo a prezzi solidali mascherine per invertire la rotta delle speculazioni e dell’aumento dei prezzi che ha accompagnato l’inizio della pandemia.

Textiles Pigué ha addirittura riorganizzato un intero comparto dell’impresa che era dedicato alla produzione di una linea di prodotti sportivi, per produrre mascherine e materiale per il personale sanitario. Sulla rivista Autogestion, Roly Villani segnala come il settore cooperativo ed autogestito stia dimostrando di saper reinventare la produzione se necessario, mostrando dinamismo e solidarietà : così 66 cooperative tessili della Rete Tessile  hanno deciso in pochissimi giorni di produrre mascherine e prodotti sanitari.

Foto di Gastón Bejas.

LA VIOLENZA NON VA IN QUARANTENA: DAGLI ABUSI DI POLIZIA AI FEMMINICIDI 

Il dispiegamento delle forze di polizia nelle città e nei differenti territori ha portato ad una significativa militarizzazione dello spazio pubblico che ha fatto registrare decine di casi di violenze poliziesche, abusi e violazioni dei diritti umani. Sebbene fatti del genere accadono quotidianamente in Argentina, durante la quarantena la limitazione della circolazione e la militarizzazione delle città hanno reso il problema ancora più evidente: sono stati denunciati tutti i giorni casi di abusi in occasioni di controlli per la quarantena.

Il caso più grave quello di Florencia Magalí Morales, 39 anni, fermata domenica 5 aprile mentre usciva in bicicletta per fare la spesa dalla Polizia della provincia di San Luis che l’ha portata in commissariato. Poche ore dopo, la polizia ha annunciato il suo suicidio in cella.

Ma nessuno crede alla versione ufficiale: la famiglia e gli amici denunciano che la morte di Magalì sia invece frutto della violenza poliziesca, e il Tribunale ha aperto un processo per stabilire le cause della sua morte.

Nella capitale federale, ogni giorno vengono denunciati casi di violenza contro senza tetto, migranti, ragazzi e ragazze dei quartieri popolari, trans e travestiti, umiliati e picchiati dalle forze dell’ordine. Decine di casi sono stati filmati dalle case e diffuse sui social, in alcuni casi i responsabili sono stati sospesi, mentre il governo del macrista Larreta della Città Autonoma di Buenos Aires ha investito ingenti risorse, appena il governo nazionale ha dichiarato la quarantena, in proiettili e armamento antisommossa della polizia in caso di proteste o saccheggi come denunciano diverse organizzazioni sociali.

L’Osservatorio per il diritto alla città denuncia che le risorse spese nella formazione di una nuova unità antisommossa speciale da parte del governo cittadino si sarebbero potute investire per garantire condizioni di sicurezza agli operatori sanitari.

Inoltre, così come avvenuto in tanti paesi del mondo, anche in Argentina vi sono state proteste e rivolte nelle carceri dovute all’assenza di condizioni minime di salute ed alla costante sovrappopolazione (per esempio secondo i dati pubblicati da Revista Crisis nell’area metropolitana di Buenos Aires vi sono 45 mila detenuti quando i posti nelle carceri sarebbero 24mila).

Ma la quarantena è anche segnata dalla violenza domestica: solamente nei primi dieci giorni di isolamento obbligatorio, sono stati 12 i femminicidi, 23 nei primi 30 giorni. Come risposta il movimento femminista ha lanciato il ruidazo lo scorso 30 marzo, una grande protesta dalle case e dai balconi, mentre il governo ha approvato una legge promossa dal Ministero delle donne e della diversità sessuale che stabilisce la possibilità di essere esonerati dalla quarantena in caso di violenze di genere per effettuare la denuncia rafforzando le linee di sostegno per vittime di violenza ed applicando il protocollo in caso di richiesta alle farmacie di una “mascherina rossa”. Misure necessarie, seppure insufficienti davanti alle violenze domestiche patriarcali in tempi di quarantena.

Foto di Gastón Bejas.

PROSPETTIVE DI LOTTA NEL TEMPO DELLA PANDEMIA 

Mentre il governo sta decidendo le prossime mosse ed è al vaglio il prolungamento della quarantena oltre il 26 aprile secondo modalità più flessibili, in previsione di un picco dei contagi a metà maggio, sui territori, in prima linea, ci sono le organizzazioni popolari, le donne, i migranti, i lavoratori e le lavoratrici della sanità, i lavoratori delle piattaforme, in gran parte migranti. Le rivendicazioni e le lotte sociali saranno decisive per imporre nuovi terreni di redistribuzione economica nella crisi.

I lavoratori e le lavoratrici delle piattaforme hanno lanciato uno sciopero per il prossimo 22 di aprile reclamando aumenti salariali e sicurezza sul lavoro.

Gli affiliati dei sindacati e delle organizzazioni di rider Agrupación de Trabajadores de Reparto (ATR), Glovers Unidos Argentina e Rappi y Furioses, hanno lanciato 24 ore di astensione dal lavoro reclamando aumenti salariali e condizioni di sicurezza dal punto di vista sanitario. “Siamo considerati essenziali, ma le nostre condizioni sono sempre più precarie e i tempi di lavoro si allungano nella pandemia, mentre le piattaforme si arricchiscono, noi dobbiamo pagare di tasca nostra alcool in gel, guanti e mascherine” denunciano, invitando alla lotta anche per solidarizzare con i lavoratori di McDonald’s che hanno visto la riduzione del salario del 50 per cento.

In questo scenario, le principali rivendicazioni dei movimenti sociali e delle organizzazioni popolari esprimono un programma di lotta che si connette a livello transnazionale con i dibattiti sull’urgenza di un reddito di base universale, che in diversi paesi latinoamericani ed europei è diventato tema centrale della discussione pubblica e delle rivendicazioni sociali. L’estensione dei sussidi esistenti e l’universalizzazione di misure di reddito sono state anche proposte dell’economista e deputato del Frente Patria Grande Itai Hagman.

I movimenti mettono al centro l’annullamento del debito con il FMI e i fondi privati, l’aumento delle spese sociali e sanitarie, lo stop ai tagli salariali portati avanti da molte aziende private e multinazionali, e dei licenziamenti che nonostante l’intervento tempestivo del governo stanno continuando in tutto il paese.

Nell’immediato, l’aumento dei fondi per combattere la fame e l’estensione universale del salario sociale, mentre la battaglia decisiva riguarda l’attuazione di misure radicali di redistribuzione della ricchezza con tassazione dei grandi patrimoni e delle transazioni finanziarie. Saranno queste le decisive questioni sociali dei prossimi mesi: battaglie politiche e rivendicazioni che si stanno generalizzando e risuonano a livello globale aprendo la possibilità di un programma di lotte transnazionale nella crisi.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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