Kerala rosso

Francesco Cecchini


Il 26 aprile 2020, il Ministero della Salute e del Benessere della Famiglia ha confermato un totale di 26.496 casi, 5.804 recuperi e 824 decessi in India . Si pensa che il numero di contagi sia molto più elevato poiché i tassi di test in India sono tra i più bassi al mondo.
La situazione del coronavirus è stata raccontata lo scorso 16 aprile da Arundhati Roy in un’ intervista a Democracy Now, che ha parlato in generale e ha raccontato della situazione drammatica in India, innanzitutto a Delhi, scrivendo tra l’ altro: Beh, non appena è stato annunciato il blocco, i trasporti sono stati chiusi. Era l’ultima settimana di marzo. Alle persone che vivono praticamente di giorno in giorno non erano stati pagati i loro stipendi . I proprietari di quegli edifici dove schiacciate in una stanza vivono da 5 a 10 hanno richiesto subito il pagamento dell’ affitto . Quindi la gente ha dovuto andarsene. Ed è stato uno spettacolo surreale, mentre non c’era traffico per le strade, ma improvvisamente la disuguaglianza, l’orrore, la vergogna di come si viveno nella nostra società si sono manifestate. E ho capito che queste persone iniziavano a camminare per centinaia di chilometri verso i loro villaggi. ..

Comunisti in Kerala


Il link con l’ intervista è il seguente:
https://www.democracynow.org/2020/4/16/arundhati_roy_coronavirus_india
La situazione in Kerala è differente dal resto dell’ India. Il governo del Kerala non è gestito dal BJP di Narendra Modi, ma da una coalizione di partiti comunisti e di sinistra, il Left Democratic Front, composto principalmente da CPI(M), Comunist Party of India (Marxist) e, CPI, Comunist Party of India.
Il Kerala ha un paio di punti deboli: un lungo confine permeabile, a nord con il Karnataka e ad est con il Tamil Nadu, e , innanzitutto, molti keraliti lavorano all’estero e ritornano a casa. La popolazione del Kerala è straordinariamente mobile, con un gran numero di persone che studiano e lavorano in tutto il mondo.
Il capo dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha suggerito cinque punti per combattere il coronavirus : Prevenzione, Preparazione, Sanità pubblica, Leadership politica e Coinvolgimento del popolo. Il Kerala ha messo in pratica questi suggerimenti, che sono anche punti chiave della propria esperienza passata. Il Kerala ha già affrontato nel 2018 – 2019 il virus Nipha e, inoltre, vi sono le grandi alluvioni e il monsone estivo che provocano malattie come il dengue, l’influenza e il tifo. La pronta risposta del Kerala è il risultato delle sue esperienze passate e degli investimenti economici, politici e culturali in situazioni di emergenza.
Il Kerala investe più denaro in salute che in qualsiasi altra parte dell’ India e ha uno dei più alti tassi di alfabetizzazione nel paese, rendendo più semplice la diffusione di informazioni pubbliche e aggiornamenti sul coronavirus.
Il governo comunista ha democratizzato il potere fino ai consigli dei villaggi, il che ha permesso ai programmi di sensibilizzazione della comunità di funzionare in modo efficace e alla comunicazione di informazioni di fluire dal centro a tutti i cittadini.
La parola d’ ordine per sconfiggere il coronavirus è stata break the chain, spezzare la catena ed è stata compresa e accolta bene dai keraliti che hanno capito che per interrompere il contagio, combattere la pandemia, dovevano evitare i contatti pericolosi.


In armonia con il fatto che benessere socio-economico rimane una delle strategie più stimolanti attuate dal governo, le pensioni sono state anticipate di due mesi, è stato rinviato il pagamento delle bollette dell’ acqua e dell’ elettricità, sono stati dati prestiti ale famiglie bisognose, sono stati aiutati i fornitori di servizi essenziali.
Sono state analizzati i percorsi delle persone che tornate dall’estero. Il Kerala ha istituito centri di assistenza Covid-19 in ogni distretto per ospitare gli stranieri in quarantena bloccati in un territorio sconosciuto.
Sono state messe in atto misure preventive come il pattugliamento dei confini, il controllo con test ai keraliti di ritorno dall’estero per impedire la trasmissione della comunità.

KK Shailaja Teacher, Ministro della Sanità del Kerala, promuovendo la campagna rompere la catena


Sono stati assicurati i rifornimenti di cibo ai meno abbienti, compresi i pasti gratuiti di mezzogiorno per gli scolari. E’ stata presa cura di coloro che per problemi di salute mentale hanno difficoltà con le misure prese contro il coronavirus.
Vi sono dottori, infermieri e paramedici in ogni villaggio. Qundi c’ è un forte esercito di operatori sanitari per combattere l’ epidemia.
Al lavoro di medici e infermieri si è aggiunto l’aiuto dato dai volontari: quasi 300mila persone di età comprese tra i 18 e i 65 anni si sono dati da fare coordinati dal governo centrale e dalle amministrazioni locali che, di volta in volta, ne hanno richiesto gli interventi laddove necessari. La “Forza sociale di volontari (Sanndhasena)” ha soprattutto organizzato Cucine comunitarie che quotidianamente distribuiscono pasti a tutti coloro che ne hanno bisogno.
E così via.
Il risultato è il seguente. 6 nuovi casi di coronavirus sono stati segnalati alle 8:00 del 26 aprile in Kerala, secondo i dati diffusi dal Ministro della Sanità, KK Shailaja Teacher. Ciò porta il totale dei casi segnalati di coronavirus nel Kerala a 457, 338 sono guariti e 4 sono morti, il tutto su una popolazione di quasi 35 milioni. Il che fa del Kerala un modello in tutto il mondo. Un merito va oltre al Primo ministro Pinarayi Vijayan del Partito Comunista d’India che ha dato le direttive, al Ministro della Sanità, K.K. Shylaja, che ha coordinato efficacemente tutti gli amministratori locali al fine al fine di individuare con la massima tempestività i pazienti positivi mettendoli in quarantene e isolandoli dalle persone sane.
Nel mondo assieme a Cuba, il Vietnam e il Nicaragua è il Kerala, che sta combattendo meglio il coronavirus

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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