(Brasília - DF, 27/08/2019) Presidente da República, Jair Bolsonaro e a primeira Dama Michlelle Bolsonaro, durante cerimônia de Comemoração ao Dia Nacional do Voluntariado. Foto: Marcos Corrêa/PR

La sistematica sottovalutazione della pericolosità del virus da parte del Presidente Bolsonaro, mostra la sua totale diffidenza nei confronti della scienza condita con una buona dose di machismo e disprezzo della disabilità

I brasiliani, sostiene il presidente Jair Bolsonaro, sono così duri che possono respingere questo fastidioso virus Covid-19, lo stesso che ha ucciso più di 192.000 persone in tutto il mondo, numero in continua crescita.

Paragonando la Covid-19 a una “influenzina”, il leader brasiliano ha manifestato, una volta di più, come governa il Paese sudamericano con una mistura tossica di diffidenza populista nei confronti della scienza, abilismo e di una buona dose di machismo, il tutto sostenuto in un fervore nazionalistico.

In primo luogo, Bolsonaro è stato riluttante rispetto al ricorso al pugno di ferro dello Stato per far rispettare le misure di chiusura per arginare la diffusione della Covid -19, come fatto dai leader di molti paesi decisamente meno autoritari. Per non essere scambiato per un leader preoccupato per la minaccia alle libertà civili causata dall’imposizione dalle misure di distanziamento sociale, Bolsonaro ha riso della necessità di misure estreme, sostenendo che “l’isolamento verticale” degli anziani o di altre persone vulnerabili fosse sufficiente.

Alcuni commentatori temono che i leader autoritari stiano usando la crisi dovuta al Covid -19 per imporre misure draconiane, mettere a tacere le voci critiche e rafforzare la base del loro potere. Avvertono che una volta che la crisi sanitaria si sarà placata, il consolidamento del potere sarà un’eredità duratura della pandemia. Esempi evidenti di ciò sono il primo ministro ungherese Orbán, che ha dichiarato uno stato di emergenza che gli ha permesso di prendere il potere e di governare per decreto, e il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, che si è conferito i poteri di emergenza per mettere a tacere chi diffonde “fake news”. Mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è ricorso al coronavirus per sospendere il lavoro dei tribunali, ritardando di fatto processo per corruzione a suo carico, altri governi, come quelli di Algeria e India, utilizzano la minaccia pandemica per reprimere le manifestazioni politiche. Altri ancora come Cina, Corea del Sud e Russia hanno sfruttato la pandemia Covid-19 per rafforzare la sorveglianza digitale (Roth, 2020). Lo stile della loro politicizzazione della pandemia non nega la scienza, ma mobilita l’evidenza scientifica per giustificare e applicare strumenti repressivi nella sorveglianza della pandemia.

La politicizzazione della pandemia da parte di Bolsonaro è invece curiosamente differente. È quindi una specie di autoritarismo riluttante. Anche se vorrebbe essere un dittatore, non può usare la paura della pandemia come hanno fatto i suoi “amici” autoritari in altri Paesi perché teme le conseguenze politiche della crisi economica. Non ha usato il Coronavirus per prendere il potere e reprimere la società e i suoi critici. Per essere chiari, Bolsonaro non apprezza in alcun modo la democrazia, né i controlli e i contrappesi al suo potere. Crede fermamente che un colpo di stato militare risolverebbe i problemi del Paese, ma al contempo è consapevole che gli manca l’appoggio militare per trasformare il Brasile in una dittatura a immagine e somiglianza dell’Ungheria di Orbán.

Ossessionato dalla sua sopravvivenza politica, Bolsonaro ha forgiato una falsa dicotomia tra quarantena ed economia. La ragione di ciò è evidente: un crollo dell’economia a seguito del distanziamento sociale ostacolerebbe il suo futuro politico.

I suoi tentativi di concentrare il potere nel governo federale e di usarlo per combattere le misure di distanziamento sociale e le altre politiche per controllare la diffusione di Covid-19 non hanno finora avuto successo. I provvedimenti per limitare la circolazione delle persone sono stati promulgati dalle autorità statali e comunali e approvati dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato. Anche alcuni membri del gabinetto di Bolsonaro hanno espresso preoccupazione per la sua opposizione alle politiche di chiusura, tra cui il ministro della Salute, che per ciò è stato bruscamente licenziato dal Presidente il 16 aprile.

La diffusione globale di Covid-19 ha introdotto un mutamento importante nella posizione del ramo legislativo rispetto al discorso autoritario di Bolsonaro, che era stato tollerato fino a quando le politiche economiche neoliberali erano rimaste in vigore. Ora Bolsonaro è isolato nella sua difesa della quarantena verticale e nella diffusione di menzogne sulla pandemia. L’attuale scenario caotico è intenzionale per uno che si affida al «caos come metodo» per sostenere la fedeltà dei suoi seguaci e diffondere disinformazione (Meyer e Bustamante, 2020). È difficile ignorare le caratteristiche necropolitiche di questo grottesco esercizio di potere. Come spiega il filosofo Achille Mbembe (2003, 40) nella sua critica alla nozione di biopotere e nell’elaborazione della nozione di necropolitica e di potere necropolitico, «nel mondo contemporaneo, le armi sono impiegate nell’interesse della massima distruzione delle persone e della creazione di mondi di morte, forme nuove e uniche di esistenza sociale in cui vaste popolazioni sono sottoposte a condizioni di vita che conferiscono loro lo status di morti viventi». I paesi che hanno ignorato o ritardato gli appelli all’isolamento sociale devono ora affrontare un numero crescente di morti. Come scrive un giornalista brasiliano, «è così che agiscono gli adepti della necropolitica: negoziando sul numero dei cadaveri per sostenere una narrazione politica costruita contro la scienza» (Filho, 2020).

Per evitare la diffusione incontrollata del virus e un crescente numero di morti in un paese densamente popolato, la cupola dell’esercito si è determinata a sovrapporsi a Bolsonaro in tutte le decisioni importanti, trasformando il presidente in un «monarca senza potere effettivo» e il generale Braga Netto in un «presidente operativo» (Rocha, 2020).

Leader messianico con un debole per le dichiarazioni esplosive che generano shock e soggezione mediatica, Bolsonaro ha attinto a un desiderio nazionalista e populista di posizionare se stesso e i suoi connazionali (i misogini non sono interessati alle donne come soggetti politici) come individualisti duri e fatti da sé.

Il Brasile ha persino assistito a un’ondata di manifestazioni “pro pandemia” da parte dei suoi sostenitori che proclamavano una nuova versione della “paura rossa”, affermando che il virus fa parte di un malvagio complotto comunista per destabilizzare il mondo e stimolare il cambiamento del regime politico.

In secondo luogo, Bolsonaro ha fatto un passo ulteriore nello sfruttamento di una profonda diffidenza nei confronti della scienza a cui si sono appoggiati anche altri leader come il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Anche se non è sorprendente che Bolsonaro metta in dubbio la legittimità dei consigli degli esperti riguardo al mantenere l’isolamento e il distanziamento sociale, si è circondato di una serie di personaggi le cui opinioni sono estreme, l’equivalente dei creazionisti e dei terrapiattisti. Il suo calcolo politico potrebbe essere astutamente razionale: essendo focalizzato esclusivamente sulla propria sopravvivenza politica, Bolsonaro potrebbe essere giustamente preoccupato da come il lockdown, la sospensione di ogni attività, potrebbe accelerare il collasso economico del paese, cosa da cui lotterebbe per “prendere le distanze” (politicamente e socialmente). Mantenere una forma di «ignoranza strategica» (vedi McGoey 2012) sul disastro della salute pubblica che si sta verificando nel suo paese potrebbe essere politicamente conveniente, anche se moralmente riprovevole. In ciò rientrerebbe la sconcertante dichiarazione di Bolsonaro che la fine della pandemia fosse all’orizzonte, quando il consenso tra gli esperti di salute pubblica è che il Brasile non abbia ancora sperimentato il peggio che questa pandemia ha in serbo. Come osserva giustamente McGoey (2012, 3), «la negazione di fatti sconvolgenti, la consapevolezza che conoscere il meno possibile è spesso lo strumento più indispensabile per gestire i rischi ed esonerarsi dalle colpe all’indomani di eventi catastrofici».

Il discorso politico di Bolsonaro è stato descritto come una vera e propria «guerra alla verità» dalla regista brasiliana candidata all’Oscar Petra Costa, definita «canaglia» da uno dei figli di Bolsonaro.

La negazione dei cambiamenti climatici alla base della sua politica ambientale, la sua visione revisionista della storia, una politica culturale basata su valori conservatori, religiosi e familiari e l’opposizione all’uguaglianza di genere sono alcuni degli elementi di questa visione post-verità. Ha anche lavorato instancabilmente, e in qualche modo paradossalmente data la sua posizione, per minare le istituzioni pubbliche. Per esempio, ha nominato un creazionista a capo della più importante agenzia brasiliana per il finanziamento della ricerca, ha nominato uno che nega l’esistenza del razzismo come responsabile della difesa dei diritti dei neri in Brasile e designato un rappresentante del latifondo agricolo ostile ai diritti degli indigeni a capo della Fondazione nazionale per i popoli indigeni destinata alla demarcazione delle terre indigene (Bustamante e Meyer, 2020).

Come se questo non bastasse, i membri chiave della sua cerchia ristretta si identificano con il movimento terrapiattista, che rinuncia a gran parte del consenso scientifico su cui si basa il nostro mondo. I terrapiattisti sono sostenuti nelle loro credenze dai cristiani evangelici. Sotto questo ombrello ideologico sta un vero e proprio bidone della spazzatura in cui si agitano teorici della cospirazione comunista, antivaccinisti, oppositori della libertà di espressione di genere, solo per dirne alcuni.

La posizione antiscientifica di Bolsonaro non va confusa con una posizione critica nei confronti della scienza, che è una caratteristica necessaria della governance democratica. Lui e i membri del suo governo hanno deliberatamente diffuso notizie false sulla Covid-19, come la promozione dell’idrossiclorochina come possibile trattamento o l’idea dell’isolamento verticale per promuovere l’immunità di gregge in contrapposizione al distanziamento sociale. Bolsonaro ha persino distorto una dichiarazione del direttore dell’OMS per difendere l’idea che i lavoratori possano tornare alla normalità.

Parte della sfida nell’interpretare la gestione della Covid-19 da parte di Bolsonaro è che, mentre la sua opposizione al distanziamento sociale è alimentata da un rifiuto della scienza e della competenza, paesi come la Svezia sono stati altrettanto riluttanti all’imporre il lockdown. Come dovremmo allora caratterizzare lo stile della governance di Bolsonaro e cosa significa ciò riguardo alla risposta del Brasile a questa travolgente crisi della salute pubblica, che molti osservatori concordano essere molto probabilmente più devastante di quanto i dati ufficiali stiano comunicando?

In conclusione, sosteniamo che lo stile di governance di Bolsonaro si basa su una miscela di abilismo e machismo tossico. L’abilismo si riferisce a una «rete di credenze, processi e pratiche che produce un particolare tipo di sé e di corpo (uno standard corporeo) che viene proiettato come perfetto, tipico della specie e pertanto essenziale e pienamente umano. La disabilità appare quindi come uno stato diminuito dell’essere umano» (Campbell, 2001, 44 citato in Campbell 2009, 5).

La retorica di Bolsonaro è fortemente investita nella sua idoneità fisica e morale, che può presumibilmente costruire un muro contro questa “influenzina”. L’abilismo, naturalmente, non si esprime semplicemente a livello individuale. Si irradia oltre e, in questo caso, porta con sé una forza simbolica come rappresentante della salute e della vitalità del popolo brasiliano. Dopo tutto, come ha proclamato Bolsonaro, i brasiliani sono la personificazione della preparazione alla pandemia: «Non prendono mai niente. Vedi un tizio che si butta nelle fogne, fa un tuffo e ne esce, no? E non gli succede niente».

L’abilismo è stata una realtà evidente di questa pandemia in molti Paesi. Il suggerimento iniziale che la pandemia avrebbe colpito “solo” gli anziani o le persone con condizioni pregresse veicola il doloroso messaggio che alcune vite contano più di altre. Come gli attivisti disabili si sono dati da fare per spiegare, sentire che le loro vite sono indifferenti o sacrificabili, o che potrebbero finir male nella lotteria del triage, ha fornito un’ulteriore prova del valore attribuito alle vite di individui considerati inferiori. Come spiega la filosofa Shelley Tremain (2020), mentre è comune mobilitare il linguaggio della vulnerabilità nei confronti della disabilità, nella nostra compassione per gli altri “vulnerabili”, dovremmo evitare di naturalizzare il termine “vulnerabilità”. Gli individui, spiega, sono «resi vulnerabili» dai sistemi e dalle istituzioni: «La vulnerabilità non è una caratteristica che certi individui possiedono o incarnano. Come la disabilità, la vulnerabilità è un apparato di potere naturalizzato che produce in modo differenziato soggetti, materialmente, socialmente, politicamente e relazionalmente».

Bolsonaro ha una storia vergognosa per quanto riguarda i diritti dei disabili. Durante la sua campagna elettorale, ha classificato le politiche create appositamente per i gruppi vulnerabili come “coitadismo” (autocommiserazione). I suoi pronunciamenti sono tradotti nella lingua dei segni, ma ha eliminato il Segretariato responsabile dell’educazione dei sordi. Il suo governo ha presentato un disegno di legge che non richiede più che le aziende rispettino l’obbligo di assumere dipendenti disabili. Inoltre, ha posto il veto all’espansione di un programma che avrebbe fornito un reddito di emergenza agli anziani e ai disabili a basso reddito durante il periodo di quarantena. Il programma era stato originariamente concepito per sostenere i lavoratori informali e i lavoratori autonomi durante la pandemia.

Il marchio della mascolinità tossica di Bolsonaro è intenso, rivaleggia persino con quello di suo fratello di sangue, Donald Trump. «Affronta il virus come un uomo, dannazione, non come un ragazzetto», ha affermato di recente. I veri uomini possono sopportare molto, a quanto pare, e non lascerebbero mai che un semplice virus interferisca con le loro vite importanti. Bolsonaro, che sostiene che il virus non ha possibilità di vittoria sul suo sé virulento, è stato testato due volte per la Covid-19. Ha rifiutato tuttavia di rivelare i risultati del test. Perché i veri uomini hanno diritto alla privacy!

In definitiva, sembra che i tratti maschili tossici di leader come Bolsonaro e Trump siano l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno per gestire una pandemia complessa e sfaccettata come la Covid-19. Come è stato sottolineato, i Paesi guidati dalle donne, tra cui la neozelandese Jacinta Ardern e la tedesca Angela Merkel, sono all’avanguardia in risposte coordinate che non si basano solo sull’evidenza, ma si fondano anche sull’empatia e su un’etica collettiva dell’assistenza.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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