Satyajit Ray


Francesco Cecchini


Non aver mai visto un film di Satyajit Ray è come non aver mai visto il sole o la luna. Akira Kurosawa
La mia ammirazione per Satyajit è totale. Michelangelo Antonioni
Satyajit Ray (2 maggio 1921 – 23 aprile 1992) è stato un regista, sceneggiatore, grafico, compositore e autore di musica indiano ed è considerato uno dei più grandi cineasti del XX secolo. Satyajit Ray nacque nella città di Calcutta in una famiglia bengalese di casta kayastha, che assieme a quella bramina è considerata la più alta delle caste indù. Fu attratto dal cinema dopo aver incontrato il regista frances Jean Renoir e aver visto durante una visita a Londra il film neorealista di Vittorio De Sica Ladri di biciclette del 1948. Ray ha diretto 36 film, oltre documentari e cortometraggi. È stato anche scrittore, tra l’ altro scrisse My years with Apu, dove racconta l’ inizio della sua carriera di cineasta. E’ stato autore di numerosi racconti e romanzi, destinati principalmente a bambini e adolescenti. Ha conseguito una laurea honoris causa dall’Università di Oxford. Con LInvitto (Aparajito), secondo episodio della trilogia di Apu, Satyajit Ray ha vinto il Leone d’ oro a Venezia nel 1957. Nel 1992 gli fu riconosciuto l’ Oscar alla carriera.
“Durante il mio soggiorno di sei mesi a Londra, ho visto 99 film. Il mio primo viaggio fuori dal paese sarebbe stato così impresso nella mia memoria per sempre, per tutti i bellissimi film che ho visto. Ma l’unico film che ha avuto davvero un impatto nella mia mente è stato Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. L’ attrazione del film non può essere descritto in parole semplici. Ma ciò che mi ha attratto ancora di più è stato il fatto che qualunque cosa avessi mai voluto fare nei miei film, De Sica aveva fatto esattamente lo stesso, e con successo. Chi ha detto che le persone inesperte non possono essere fatte recitare? Chi ha detto che non si può sparare in mezzo alle piogge? Chi ha detto che il trucco è obbligatorio? Se la mia mente era alla ricerca di una direzione per tutto ciò che avrei voluto fare, se avessi mai realizzato un film, l’ avevo trovato in quel film di De Sica. Ho soggiornato nel continente per un altro mese, visitando Parigi, Venezia, Lucerna e Salisburgo. Quindi sono tornato a Londra e sono salito a bordo di una nave per tornare a casa. Fu in questo viaggio a casa che scrissi la prima bozza di Pather Panchali.” Satyajit Ray
Pather Panchali (Song of the little road/ Il lamento sul sentiero) del 1955 è il primo film della Trilogia di Apu, figlia del neorealismo italiano. Va detto che se il suo incontro con De Sica fu fondamentale, la cultura di Satyajit Ray è stata vasta. Nel suo libro Speaking of films parla del cinema sovietico, di Jean Renoir, Godard, Truffaut, Bresson, Buñuel, Antonioni e dei Cahiers du Cinema.
Sulla trilogia hanno anche influito due romanzi di Bibhutibhushan Bandyopadhyay, Pather Panchali e Aparajito. Bandyopadhyay è stato e rimane uno dei più originali scrittori della leteratura bengalese. In tutti tre i film vi è inoltre come musica il sitar magico di Ravi Shankar.
Le tre pellicole originali erano andate distrutte in un incendio nel 1993, ora però sono state restaurate da Criterion Collection, Accademy Film Archive con il contributo della cineteca di Bologna. La Trilogia di Apu, un cofanetto Criterion Collection / Blu Ray, sarà disponibile in Italia a partire dal prossimo 25 maggio. Nel cofanetto oltre i tre film vi dell’ altro, per esempio Estratti dal documentario del 2003 The Song of the Little Road, con interventi del compositore e musicista Ravi Shankar.
Il link con il trailer, solo immagini senza sonoro, della Trilogia è il seguente:
https://www.youtube.com/watch?v=lNiWPmXv69E
La bellezza delle immagini in bianco e nero da un’ idea del valore estetico dei tre film.
TRAME.
PATHER PANCHALI (Song of the little road/ Il lamento sul sentiero). 1955
In bengalese la parola Pather significa percorso e Panchali è un tipo di canzone popolare.
A Nischindipur, nel Bengala rurale, negli anni ’10, Harihar Roy guadagna molto poco come pujari, sacerdote, ma sogna una carriera migliore come poeta e drammaturgo. Sua moglie Sarbajaya si prende cura dei loro figli, Durga e Apu, e dell’anziana cugina di Harihar, Indir Thakrun. A causa delle loro risorse limitate, Sarbajaya si risente di dover condividere la sua casa con la vecchia Indir, che spesso ruba cibo dalla cucina già spoglia. A volte, gli insulti di Sarbajaya diventano offensivi, costringendo Indir a rifugiarsi temporaneamente nella casa di un altro parente. Durga è affezionata a Indir e spesso le dà il frutto che ha rubato dal frutteto di un vicino ricco. Un giorno, la moglie del vicino accusa Durga di aver rubato una collana di perle, cosa che Durga nega, e incolpa Sarbajaya per aver incoraggiato la sua tendenza a rubare. Come sorella maggiore, Durga si prende cura di Apu con affetto materno, ma non risparmia occasione di prenderlo in giro. Insieme condividono le semplici gioie della vita: sedersi in silenzio sotto un albero, guardare le foto nel bioscopio di un venditore ambulante, correre dietro l’uomo dei dolci che attraversa il villaggio e guardare un jatra (teatro popolare) interpretato da una troupe di attori. Ogni sera sono deliziati dal fischio di un lontano treno. Un giorno, scappano di casa per guardare treno, solo per scoprire al loro ritorno Indir, seduto morta. Incapace di guadagnarsi da vivere nel villaggio, Harihar si reca in città per cercare un lavoro migliore. Promette a Sarbajaya che tornerà con i soldi per riparare la loro casa fatiscente. Durante la sua assenza, la famiglia affonda più in profondità nella povertà. Sarbajaya diventa sempre più sola e amara. Un giorno durante la stagione dei monsoni, Durga gioca troppo a lungo nell’acquazzone, prende un raffreddore e sviluppa la febbre alta. Non è disponibile un’adeguata assistenza medica, la febbre peggiora e, in una notte di pioggia incessante e venti, muore. Harihar torna a casa e inizia a mostrare a Sarbajaya la merce che ha portato dalla città. Sarbajaya, che rimane in silenzio, cade ai piedi di suo marito e Harihar grida di dolore per aver perso la figlia. La famiglia decide di lasciare la loro casa ancestrale. Mentre iniziano a fare le valigie, Apu trova la collana che Durga aveva precedentemente negato di rubare e la lancia in uno stagno. Apu e i suoi genitori lasciano il villaggio su un carro trainato da buoi.
APARAJITO (The Unvanquished/ Linvitto). 1956
Il film segue la vita del giovane Apu, ragazzo di villaggio determinato a proseguire gli studi in città, prima che suo padre, e poi sua madre, morissero. Aparajito si apre a Varanasi, nella parte settentrionale dell’Uttar Pradesh, dove Apu e la sua famiglia si erano trasferiti alla fine di Pather Panchali. Varanasi è la principale città santa indù, sede di oltre duemila templi e santuari, costruita sul sacro fiume Gange Gange. La sequenza di apertura offre un quadro della vita frenetica dei ghat, i larghi gradini sulle rive del fiume, dove recitano i sacerdoti. Un uomo tutto muscoli agita un bastone e i morti vengono bruciati. Apu passa del tempo sui ghat ed qui che suo padre crolla a terra. Apu con una ciotola d’ acqua del fiume tenta di soccorrerlo, ma invano. Dopo la morte di Harihar, Apu e sua madre lasciano Benares per un villaggio nel Bengala. Apu ha però ambizioni e prende il treno per Calcutta dove lavora, studia all’università e riesce a laurearsi. Nella sua vita quotidiana di lavoro e studio si dimentica della madre che vive solo attendendo il suo ritorno. Quando Apu ritorna è troppo tardi, la madre muore poco dopo.
APUR SANSAR (The World of Apu/ Il Mondo di Apu) 1959
All’ inizio degli anni ’40 Apu è un laureato disoccupato che vive in una stanza in affitto a Tala, Calcutta. Cerca di trovare un lavoro, riuscendo a malapena a fornire tutoraggio privato. La sua passione principale è scrivere un romanzo, parzialmente basato sulla sua stessa vita, sperando di pubblicarlo un giorno. Un giorno incontra il suo vecchio amico Pulu, che lo spinge ad unirsi a lui in un viaggio nel suo villaggio di Khulna per assistere al matrimonio di una cugina, Aparna. Il giorno del matrimonio si scopre che lo sposo ha un grave disturbo mentale. La madre della sposa annulla il matrimonio. Secondo la tradizione indù prevalente, Aparna deve in ogni caso sposarsi altrimenti dovrà rimanere celibe per tutta la vita. Apu, dopo aver inizialmente rifiutato quando richiesto da alcuni abitanti del villaggio, alla fine decide di seguire il consiglio di Pulu e di venire in soccorso della sposa accettando di sposarla. Ritorna con Aparna nel suo appartamento a Calcutta dopo il matrimonio. Prende un lavoro come impiegato e una relazione d’amore inizia a sbocciare tra di loro. Tuttavia, i giorni felici della giovane coppia si interrompono quando Aparna muore mentre dà alla luce il loro figlio, Kajal. Apu è sopraffatto dal dolore e considera il bambino responsabile della morte di sua moglie. Evita le sue responsabilità di padre e viaggia verso diversi angoli dell’India, mentre il bambino viene lasciato con i suoi nonni materni. Nel frattempo, Apu getta via il suo manoscritto per il romanzo che aveva scritto negli anni. Alcuni anni dopo, Pulu trova Kajal che cresce selvaggio, male educato. Quindi cerca Apu, che lavora in una cava e gli consiglia di assumersi la sua responsabilità paterna. Alla fine Apu decide di con suo figlio. Quando ritorna dai suoceri, Kajal, dopo averlo visto per la prima volta nella sua vita, all’inizio non lo accetta come padre. Alla fin accetta Apu come amico e tornano insieme a Calcutta per ricominciare da capo una vita.
Apu e la morte. Aparna, dopo la vecchia zia Indir, la sorella Durga, il padre Harihare la madra Sarbajaya è l’ultima morte che Apu incontra nella trilogia.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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