Un approfondimento sulla proliferazione di reti di vicinato e di cura collettiva; ne sono nate oltre 500, un numero impressionante di spazi di solidarietà organizzati per affrontare una crisi sociale che ha travolto le misure insufficienti delle autorità.

Le reti di solidarietà e di mutualismo si moltiplicano in tutto lo Stato spagnolo, specialmente in quei territori in cui era già presente un tessuto sociale preesistente e nelle grandi città. La Comunità di Madrid, la Catalogna e i Paesi Baschi sono i tre territori con la più grande proliferazione di iniziative comunitarie organizzate dalle reti di vicinato, anche se spiccano la creazione e il consolidamento di spazi di solidarietà in Galizia, in Andalusia, nelle Asturie, in Navarra e in Cantabria, nonché in città come Valencia, Saragozza, Granada o Siviglia.

La dimensione della crisi sociale causata dalla chiusura di gran parte dell’economia ha destabilizzato i servizi sociali già saturi, con mancanza di risorse e personale dopo decenni di tagli. Di fronte ad aiuti insufficienti e lenti ad arrivare e alla burocrazia delle amministrazioni, centinaia di collettivi, associazioni di quartiere e nuove forme di organizzazione nate nel contesto della pandemia sono scese in campo per fare fronte alla crescente domanda di cibo, cura o assistenza emotiva per gli anziani.

DOVE SONO I SERVIZI SOCIALI?

All’inizio di maggio, un’attivista del quartiere di San Blas (Madrid) arringava i vicini in coda di fronte a una dispensa alimentare solidale: «Questo punto di distribuzione è una denuncia per i servizi sociali, una denuncia da parte di tutte quelle persone che non verranno assistite perché non rientrano nel profilo burocratico dei servizi sociali».

Tra i profili che stanno rimanendo esclusi dagli aiuti, ha dichiarato questa attivista, ci sono persone che percepiscono il reddito minimo integrativo, che non sono presenti negli elenchi censuari, che non hanno documenti o che sono in fase di regolarizzazione.

«Ci stanno chiudendo il rubinetto, perché siamo la denuncia della barbarie che viene commessa in questo distretto, così come in altri.» Situazioni simili si verificano in altri quartieri precarizzati della capitale, come Vallecas, Villaverde, Usera, Carabanchel, Arganzuela o Lavapiés.

Kena Yuguero Albasanz fa parte della Rete di Solidarietà Popolare Latina-Carabanchel di Madrid, un collettivo che di fronte alla passività del Consiglio Comunale si è dedicato a soddisfare le esigenze alimentari del quartiere. Nella rubrica di El Salto “Quando torneremo ad incontrarci”, Kena ha dichiarato che con il cibo proveniente dall’ONG Banco degli Alimenti e le donazioni dal vicinato, oltre 20 residenti lavorano instancabilmente dalle 9:00 di mattina per consegnare cibo alle famiglie più vulnerabili.

Tra le persone che fanno parte di questa rete, ci sono persone con problemi economici perché «non hanno ricevuto il pagamento dell’ERTE [Expedientes de Regulación Temporal del Empleo – Misure di Regolamentazione Temporanea dell’Impiego, una sorta di Cassa Integrazione Straordinaria e Temporanea – ndt] o non hanno ancora ricevuto il sussidio di disoccupazione che gli spetta, persone che hanno sconfitto il Covid-19 o hanno dovuto lasciare lavori precari perché avevano un parente contagiato».

Come è accaduto in gran parte dello Stato spagnolo, la filosofia stessa di queste reti, legate all’autogestione e alla vicinanza con le persone colpite, ha permesso in molte occasioni di articolare una risposta più rapida ed efficiente di quella offerta dalle autorità locali di fronte all’ondata di bisogni non soddisfatti.

Un discorso di indipendenza e autonomia che è stato mantenuto dalla creazione della rete Carabanchel-La Latina [dai nomi di due quartieri nel centro-sud di Madrid – ndt] nel 2014: «Il tema è essere determinati, osservare il problema, individuare la soluzione e non fermarsi a vedere chi è che firma il documento, chi lo porta o quando lo porta. Di cosa abbiamo bisogno, riso, olio, latte, necessità di base, vediamo chi può aiutarci… i vicini. Cos’altro abbiamo? Una distribuzione di alimenti. Cosa resta da fare? Redigere le liste …».

I tentativi del Comune di Madrid di capitalizzare questo lavoro si sono scontrati con le reti di quartiere.

Venti di queste hanno rilasciato un comunicato il 13 aprile nel quale denunciavano come la giunta retta dal Partido Popular e Ciudadanos cercasse di mettere un “cappello politico” sul lavoro svolto nei quartieri senza il loro aiuto, «cercando di nascondere ciò che sta accadendo realmente»: uno slittamento sistematico dai servizi sociali, saturi «per mancanza di organizzazione e personale», a queste reti di vicinato.

Nella sola dispensa solidale del Teatro di Quartiere di Lavapiés vengono servite 600 famiglie. E, secondo la rete stessa, “non è sufficiente”: ci sono altre 500 famiglie in lista d’attesa, 300 delle quali vivono per strada. E questa è una delle quattro iniziative di vicinato nel quartiere di Lavapiés. Nella Villa de Vallecas, la dispensa solidale serve 800 famiglie, con due locali, otto volontari e 4.500 euro di donazioni settimanali.

Secondo i dati della Federazione delle Associazioni di Vicinato di Madrid (FRAVM), sono nate o si sono consolidate 58 reti di mutualismo create da associazioni di vicinato e collettivi di quartiere che assistono più di 20.000 persone. Con risorse proprie e 6.179 volontari, le reti non si limitano ai quartieri più colpiti della capitale, ma raggiungono molte città e paesi della Comunità Autonoma di Madrid.

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RETI DI MUTUALISMO ASSISTENZIALE

L’altro snodo principale di questa ondata di sostegno e cura mutualistica organizzata dai quartieri è l’area metropolitana di Barcellona, la regione più colpita dalla pandemia insieme a Madrid. Alla fine di aprile, 21 reti di solidarietà a Barcellona hanno firmato un manifesto per denunciare come il Dipartimento dei Servizi Sociali della città stesse assegnando alle reti di sostegno mutuo i casi che non erano in grado di gestire. Con la crisi sociale causata dal coronavirus, queste reti hanno registrato una crescita esponenziale: dal servire 1.100 persone prima della pandemia, sono passate a dover gestire le esigenze di 5.500.

Silvio Covolo, del Sindacato di Quartiere di Poble Sec, ha spiegato a El Salto la differenza tra il lavoro svolto da queste reti di quartiere e gli aiuti tradizionali erogati dai comuni e da altre organizzazioni: «Mentre aspettano il pacco alimentare, una compagna spiega che cos’è il sindacato di quartiere, che la rete non è assistenzialismo ma una rete solidale di mutualismo».

In molti casi, queste reti arrivano là dove gli aiuti ufficiali non giungono. È la storia della Rete di Cura Antirazzista di Barcellona, un’organizzazione formata da una decina di collettivi di migranti che, in collaborazione con le reti di supporto mutuo di vari quartieri dell’area metropolitana di Barcellona, si fanno carico della distribuzione di cibo e risorse di base alle famiglie migranti che si sono ritrovate escluse dagli aiuti di Stato. Famiglie che nel contesto della crisi sanitaria e dell’isolamento «non hanno entrate e non hanno la garanzia dei sussidi di base», dicono in un comunicato.

Un lavoro che spesso si scontra con le contraddizioni proprie dello stato di emergenza. Questo collettivo, infatti, è stato multato in diverse occasioni dalla Guardia Urbana mentre distribuiva il cibo. La pressione sociale ha indotto il Consiglio Comunale a promettere la revoca delle multe.

Queste reti non si limitano alla sola distribuzione di cibo. In Catalogna sono molte le iniziative sociali che incentrano il proprio lavoro sugli anziani. È il caso della rete di sostegno mutuo di Sant Pere de Ribes i Olivella, nella regione di Garraf [a sud di Barcellona – ndt], dove hanno aperto una linea telefonica per l’assistenza psicologica ed emotiva per anziani e persone che ne hanno bisogno. Questo è anche il caso di Amics de la Gent Gran [Amici degli Anziani – ndt], un’associazione senza scopo di lucro con due decenni di storia che ha concentrato il suo lavoro sull’accompagnamento delle persone anziane in questi tempi di reclusione e di aumento della solitudine.

Numerose sono le iniziative nate da precedenti esperienze che con l’inizio della crisi si sono concentrate sull’individuazione dei bisogni del vicinato e sul cercare di risolverli con le risorse limitate disponibili.

Questo è il caso della rete di supporto del quartiere Benimaclet (Valencia). Nata dall’Assemblea Femminista del quartiere e da Cuidem Benimaclet [Curiamo Benimaclet – ndt], questa rete si basa sull’idea del mutualismo tra vicini, di «mettere al centro gli assistiti». Gli attivisti di questa rete, con il sostegno delle attività locali, accompagnano gli anziani e li aiutano nelle attività quotidiane, come fare la spesa, andare in farmacia o portare fuori la spazzatura. Iniziative simili a questa si sono moltiplicate su tutto il territorio dello stato spagnolo.

Altri posti in cui le reti di assistenza hanno prosperato maggiormente sono i Paesi Baschi e Navarra, dove fin quasi dall’inizio dello stato di emergenza erano già presenti, nelle città e nei paesi, decine di spazi a sostegno delle persone o dei gruppi più vulnerabili che potevano avere difficoltà a far fronte alle dure condizioni imposte dallo stato di emergenza.

È il caso, tra molti altri, della Rete di Assistenza Altza, a San Sebastian/Donostia [Città dei Paesi Baschi. La denominazione ufficiale comprende la doppia versione in spagnolo e in basco – ndt], che si dedica a fornire assistenza agli anziani, ai malati o alle persone in difficoltà che non possono uscire di casa. Da questa rete di quartiere assistono «i vicini che hanno più difficoltà in questa situazione», gli anziani, i familiari a carico, le persone contagiate e in quarantena che non possono fare acquisti di base, andare in farmacia o buttare la spazzatura. Secondo uno dei promotori, si tratta di una rete «completamente informale», organizzata telematicamente, all’inizio solo tra i giovani vicini ai quali si sono aggiunte tre generazioni di abitanti del quartiere.

Un altro progetto nato nei Paesi Baschi è la cassa di resistenza Bizi Hotsa.

Alla fine di aprile, questa coalizione di collettivi femministi, associazioni di donne, collettivi antirazzisti e anticapitalisti, reti cooperative basche, sindacati e reti cittadine, ha proposto di raccogliere 60.000 euro per soddisfare le necessità urgenti della popolazione più vulnerabile nel quadro della crisi sanitaria, compresa l’assistenza legale per le donne vittime di violenza machista e per coloro che devono litigare con la documentazione e la burocrazia richieste dagli aiuti sociali proposti dai diversi governi autonomici.

Inoltre, questa cassa di resistenza intende finanziare 13 progetti «che stanno già dando una risposta, dalla strada e dal basso, alla situazione di emergenza che le istituzioni non stanno affrontando» per quanto riguarda gli alloggi, il cibo, la salute e l’igiene, la violenza machista e le pratiche di «empowerment di fronte alla repressione».

L’economia sociale e solidale ha anche molto da dire sulla situazione di emergenza sociale creata dal Covid-19. In occasione del suo 25° compleanno, la Rete di Reti di Economia Alternativa e Solidale (REAS), organizzazione che funge da nucleo per iniziative che mirano ad un sistema alternativo di economia e di relazioni con il lavoro nello Stato spagnolo, ha lanciato una Guida alle iniziative di economia solidale di fronte alla crisi per il Covid-19.

È un nuovo strumento di collaborazione che mostra una vasta gamma di iniziative di «denuncia, resistenza e alternative» che vengono realizzate in molti territori dello Stato e in diversi settori come l’ambiente, il consumo, l’assistenza, la cultura, l’istruzione, la finanza, la difesa legale, i contesti lavorativi e produttivi.

Questa guida include iniziative sociali e di mutualismo lanciate nelle ultime settimane, come lo sciopero degli affitti (che coinvolge già più di 16.000 persone e dispone di una cassa di resistenza per aiutare le famiglie che aderiscono allo sciopero), così come proposte che provengono da altri paesi europei con problemi simili. Tra le iniziative che spiccano ci sono quelle legate al consumo locale, come il mercato all’ingrosso interno per l’agricoltura biologica, uno spazio virtuale «che vuole essere un punto d’incontro tra i produttori e i commercianti dell’agricoltura biologica per garantire l’accesso agli alimenti biologici che non vengono venduti per la chiusura di ristoranti, hotel e mense».

In questa iniziativa si inserisce Baserriko Plaza [dal basco “fattoria” – ndt], un gruppo volontario che ha creato uno strumento per permettere ai contadini e alle contadine e a diversi operatori informatici di poter rispondere alla crisi del Covid-19. Un altro strumento, considerato chiave dalla REAS, è il Laboratorio per la costruzione di circuiti per il consumo locale e responsabile nei quartieri, un’iniziativa pensata per «la costruzione collettiva» di mappe virtuali che rendano visibili le imprese locali e sostenibili «dove poter soddisfare le esigenze di base durante questa crisi sanitaria, senza necessariamente dover ricorrere alle grandi catene alimentari, appoggiando quindi le reti economiche radicate nel territorio».

La crisi sanitaria e l’isolamento, con linee guida per il distanziamento sociale che sono destinate a restare, hanno portato molti collettivi a reinventarsi. Molti altri sono nati e si sono uniti per rispondere a una crisi sociale più ampia di quella del 2008.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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