Umberto Vincenti


Per chi vuol farsi un’idea di come sia stata gestita l’emergenza Covid-19 in Italia non serve seguire l’indagine avviata dal pm di Bergamo Maria Cristina Rota.

Non se ne caverebbe molto e non se ne capirebbe molto: l’ipotesi astratta è (forse) epidemia colposa per il ritardo nell’introduzione della zona rossa ad Alzano.

Ma chi avrebbe dovuto decidere? Lo Stato o la Regione Lombardia? O lo avrebbero potuto fare tutti e due? Una duplice omissione allora? Ma poi, se ritardo vi fu, i vertici istituzionali furono veramente incauti? O non ne sapevano, non ne potevano sapere, molto di questo virus cinese e, quindi, non erano in errore o il loro errore era scusabile? Ma non finisce qui: ammesso pure che quest’omissione sia stata colposa, è mai credibile che essa da sola sia stata la causa di così tanti decessi? Insomma un guazzabuglio, con l’impunità come esito probabile e il principio di responsabilità destinato a restare una astratta declamazione o aspirazione.

Peccato perché a quel principio la Costituzione riconduce espressamente l’agere di tutti i decisori della Repubblica: dal Presidente del Consiglio ai Ministri, dai Presidenti di Regione ai pubblici amministratori in genere.

Vale la pena buttare l’occhio sugli articoli 95, 97, 121 della Costituzione: la responsabilità dei decisori pubblici è puntualmente affermata. Se non è il caso di addentrarci negli enigmi della giuridicità italiana, valutare politicamente l’operato di chi ha governato la pandemia in Italia è prerogativa, e dovere, di qualunque cittadino: la prima responsabilità dei governanti è verso i governati ed è dovere di questi ultimi controllare e, appunto, giudicare. Questa è la repubblica.

E non ci basta quel che ha detto il Presidente Conte, di aver agito «in scienza e coscienza»: di fronte a quasi 35.000 morti non era il caso di rispondere con una frase fatta, di sapore deontologico, nella sostanza inconsistente. Siamo facilitati in questa indagine perché abbiamo gran copia di filmati.

In quei giorni precedenti il dramma hanno parlato in tanti e le loro dichiarazioni sono in internet: c’è da scommettere che molti politici le vorrebbero cancellare; e però avrebbero dovuto prevederlo e soppesare le parole (e lo avrebbero dovuto fare anche i cosiddetti esperti). Allora proviamo a scegliere e a mettere in fila qualche dato a campione, riesumandolo proprio da internet, che ha il pregio di non dimenticare e di consegnarci parole che, se registrate, non sono tanto manipolabili, dopo.

Alla metà di gennaio tutte le televisioni, compresa la RAI, cominciavano a mandare in onda i filmati da Wuhan in rigorosa clausura, con strade deserte, severamente presidiate dalle forze dell’ordine e percorse da squadre di disinfestazione organizzate in formazione militare.

Più o meno in quei giorni anche in Italia qualcuno ardiva a segnalare il grave pericolo che avremmo potuto correre: il virologo Giorgio Palù raccomandava di esercitare un efficace controllo del traffico aereo con la Cina, invitando a considerare l’esperienza cinese al fine di prevedere ciò che sarebbe potuto accadere in Europa. Il 31 gennaio, seguendo l’OMS, il Consiglio dei Ministri dichiarava lo stato di emergenza sanitaria per sei mesi.

Contestualmente era disposto il blocco del traffico aereo da e per la Cina, ma non erano interdetti i voli indiretti.

Un filmato trasmesso qualche giorno dopo da Sky TG24 lo evidenziava: una ragazza italiana, intervistata in un aeroporto italiano, dichiarava – testualmente – che, nei fatti, il Governo non stava facendo alcunché perché era possibile rientrare in Italia dalla Cina senza alcun impedimento o controllo.

Nei successivi giorni di febbraio più di qualche politico locale invitava ad andare al ristorante come sempre e, anzi, tutta una giunta comunale si faceva riprendere a pranzare in un ristorante cinese al fine di dissuadere ogni discriminazione da parte della cittadinanza.

Il 16 febbraio i giornali diffondevano la notizia del primo decesso in Europa (in Francia) e il ministro della salute francese dichiarava che era tempo di attivarsi per attrezzare il sistema sanitario alla pandemia. Un’articolista chiosava che «non si può non partire da come l’emergenza è stata e continua ad essere gestita» in Cina.

Il 27 febbraio il segretario del PD, Nicola Zingaretti, si presentava ai Navigli di Milano per un aperitivo e dichiarava che, se i focolai dovevano essere isolati, altrettanto non avrebbe dovuto fare la gente.

Fino agli inizi di marzo politici e rappresentanti delle categorie produttive si affannavano a tranquillizzare i cittadini-consumatori, invitandoli a comportarsi come sempre (cioè spendendo).

Un esempio per tutti: il 2 marzo il Comune di Padova diffondeva un video avendo la stessa mira: lo slogan era “Padova la città dei senza” e anche “senza paura”, aperta e libera, nella quale “contagiosa è la nostra bellezza”.

E l’opposizione? Non ha cantato tanto diversamente.

Il 27 febbraio Matteo Salvini protestava contro le chiusure in Lombardia e in Veneto: “riaprire, riaprire, riaprire”, queste le parole adoperate. L’8 marzo anche Giovanni Toti se la prendeva con le chiusure decise dal Governo: «il primo provvedimento è usare la testa e il buonsenso. Se si chiude tutto e poi ci si ammassa in giro, cosa cambia?»

Un ultimo dato, complessivo: in Italia all’incirca 237.000 contagi e 35.000 decessi, mentre in Germania 190.000 contagi e 8800 decessi.

Già alla fine del mese di marzo la Harvard Business Review esprimeva una valutazione negativa dell’operato del governo italiano: la reazione messa in campo, si legge in questa rivista, è stata tardiva e ciò ha determinato che i provvedimenti hanno seguito la diffusione del virus (e le tragedie che stava innescando) piuttosto che tentare di prevenirla.

Insomma, un procedere, oltre che tardivo, esitante e ondivago. E l’Italia si è trovata a lungo sprovvista degli elementari presidi sanitari (come le mascherine per il personale medico) e di attrezzature fondamentali (come i respiratori o i reagenti per i tamponi).

Ciò potrebbe contribuire a spiegare il gap tra Italia e Germania quanto a numero dei decessi.

Perché quest’atteggiamento dei politici italiani di ogni parte? Un atteggiamento che è tuttora in essere.

La Harvard Business Review una risposta la dava: vi era (e vi è) la preoccupazione per la conseguente crisi economica che potrebbe essere devastante per un paese come l’Italia con un debito pubblico pesantissimo, una produzione in calo vistoso, un’organizzazione istituzionale alquanto scombinata. Difficile negare che non sia così.

Però questa preoccupazione è stata avvertita in primo luogo da chi è immediatamente più interessato: alludo alle associazioni degli industriali, dei commercianti, degli artigiani.

È certo che queste hanno fatto pressione in tutti i modi per evitare le chiusure anche quando non si sarebbero all’evidenza potute evitare se si aveva a cuore la salute pubblica. È allora da vedere se i dirigenti politici si siano fatti condizionare e abbiano ritardato di ordinare zone rosse e lockdown.

Se fosse andata così, si dovrebbe pensare che il condizionamento sia stato accettato per ragioni legate al consenso dei ceti forti del Paese.

Tutto ciò sarebbe la negazione della repubblica: a Siena Lorenzetti non aveva forse dipinto il governo repubblicano come risoluto a tenere sotto tiro proprio i magnati, cioè i cittadini più ricchi e perciò più interessati ad influenzare l’azione pubblica a loro esclusivo vantaggio?

Ma se non fosse andata così? Allora non resterebbe che pensare che i nostri dirigenti politici non abbiano capito a che cosa avremmo potuto andare incontro.

Se si pensa a Zingaretti che si assembra per lo spritz e poi si ammala di Covid-19, allora l’ipotesi dell’inconsapevolezza potrebbe anche starci; tuttavia il segretario del PD non era titolare di pubblici poteri, però nell’identica situazione potrebbero essersi trovati anche il Presidente del Consiglio, i Ministri, i Presidenti di Regione.

Ma questa inconsapevolezza sarebbe veramente incolpevole? Perché, si è detto, il Governo della Repubblica aveva decretato lo stato di emergenza sanitaria il 31 gennaio 2020.

Lasciamo pur stare la responsabilità giuridica, ma Weber non ha introdotto la categoria della responsabilità etica pensando anche ai pubblici funzionari in uno stato di diritto? È eticamente responsabile qualunque cittadino, maxime il titolare di pubblico potere, per le conseguenze dannose del suo agire, salvo che queste fossero imprevedibili. Ma, almeno dopo il 31 gennaio, si può ancora sostenere che fosse davvero tutto o quasi imprevedibile? E le immagini del virus in Cina erano proprio irrilevanti da ogni punto di vista? Ma non ci è stato detto e ridetto, in questi ultimi anni, che nelle situazioni di pericolo o di possibile pericolo, la guida sarebbe dovuta essere il principio di precauzione?

In questa prospettiva i processi e le sentenze interessano fino a un certo punto, pur comprendendo e condividendo l’aspettativa di giustizia dei parenti delle vittime.

L’ipotesi da considerare è che i dirigenti politici siano complessivamente inadeguati: troppo preoccupati di conservare o conquistare il potere, disinteressati, al di là delle formule di rito, a perseguire l’interesse generale, probabilmente culturalmente non attrezzati almeno quanto sarebbe necessario. Forse qualche nozione in più di storia, di geografia, di letteratura li avrebbe aiutati a percepire i rischi di un’epidemia altamente contagiosa: ce ne sono state altre prima di noi e a scuola, almeno un tempo, si studiavano.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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