ROME, ITALY - SEPTEMBER 05: Italian Prime Minister Giuseppe Conte, and Italian President Sergio Mattarella attend the oath taking ceremony of the new Italian government led by Italian Prime Minister Giuseppe Conte at the Quirinale presidential palace in Rome, Italy, on on September 05, 2019. (Photo by Riccardo De Luca/Anadolu Agency via Getty Images)

di Franco Astengo

La maggior parte degli osservatori aveva giudicato come l’operato di questo governo durante i mesi del lockdown risultasse confuso e privo di “visione”.

Ben oltre all’utilizzo di strumenti legislativi impropri e il registrarsi dell’assenza di ruolo del Parlamento la realtà delle iniziative assunte sul piano economico – sociale sono apparse essenzialmente come il risultato del peso delle lobbies e hanno finito con il favorire un confuso assistenzialismo e un sostanziale corporativismo.

Assistenzialismo e corporativismo (oltre al clientelismo ben evidente nelle diverse partite riguardanti le nomine) rappresentano due elementi sostanziali nel DNA del M5S (se pensiamo all’impostazione data a suo tempo al “reddito di cittadinanza”).

Elementi negativi che si sono ulteriormente accentuati nella pratica di governo nel corso di questi mesi: buona parte della destinazione dei bonus, infatti, ha preso le due strade appena indicate dell’assistenza pura e semplice e del soddisfacimento degli appetiti di lobbies e corporazioni varie.

Sulla precarietà della situazione ha sicuramente pesato l’incertezza provocata dalle oscillazioni e i contrasti di giudizio espressi da parte della “comunità scientifica” : oscillazioni che proseguono nell’attualità di questa che è stata definita come “Fase 3” e che forse risulta essere la più delicata da affrontare.

Così come l’incertezza sull’esito della trattativa europea rappresenta l’incognita più pesante al riguardo del futuro prossimo del nostro Paese.

Appare molto difficile recuperare forze ed energie in grado di indicare con chiarezza proprio una “visione”.

Se si guarda alle proposte ventilate in questi giorni, durante la serie di incontri svoltisi nel lusso di Villa Pamphili (un altro segnale quello delle ville, delle auto blu e delle scorte, dell’irrecuperabile sbandamento “da potere” che ha colpito l’ex-movimento “antipolitica” che doveva abbattere “la casta”) si direbbe che si prosegue sull’assenza di progettazione e nel cedimento verso le spinte corporative.

Si parla di abbattimento delle aliquote IVA per determinati generi, di taglio delle tasse, di ulteriori imprecisati bonus (addirittura 35.000 euro da elargire alle donne che vorrebbero diventare “manager”): il tutto visto dalla parte dell’aumento dei consumi individuali inteso come esclusivo fattore di rilancio dell’economia.

Un vero e proprio delirio di trionfo per l’antico “berlusconismo”: un orientamento complessivo rivolto al consumo per favorire la pubblicità televisiva a vantaggio delle proprie reti, questo era il disegno del Cavaliere, che va ricordato anche in questo momento.

Il consumismo come apparire nella lunga lotta tra etica ed estetica.

Nasce da qui l’esigenza di un modello di società e si ritorna ad antiche discussioni nella sinistra, non soltanto comunista,a protagonisti ormai dimenticati da Riccardo Lombardi, a Ugo la Malfa, Pietro Ingrao, Lucio Magri, Bruno Trentin, Enrico Berlinguer.

Invece tutti i soggetti interpellati nella maratona pubblicitaria messa su da un Presidente del Consiglio che pare avere in animo (come suoi predecessori) e unico obiettivo una Costituzione “materiale” da intendersi in senso presidenzialista della Costituzione, si sono mossi come “lobbies” separate nel solo intento di far sopravvivere i loro “punti vendita”.

Addirittura la Confindustria ha offerto il destro a una modificazione sostanziale dell’impianto parlamentare della Repubblica esponendo un modello di “democrazia negoziale”, quasi a ricercare una legittimazione istituzionale per i gruppi di pressione.

Non è emersa da nessuna parte,neppure da parte dei sindacati preoccupati soltanto dall’allungamento dei tempi della cassa integrazione, una proposta di programmazione pubblica dell’economia, di intervento pubblico sui nodi cruciali dell’industria e delle infrastrutture. Nessuno ha reclamato l’espressione di una progettualità tesa a modificare le distorsioni presenti in un sistema fragile nei suoi punti strategici.

Un sistema quello italiano che, liquidato l’intervento pubblico, l’IRI e avviato il grande pasticcio delle privatizzazioni dei settori nevralgici si è fondato su di un modello sbagliato.

Modello sbagliato che si intende continuare a perseguire.

Soprattutto i sindacati non hanno mostrato alcuna attenzione al tema – chiave della struttura del mondo del lavoro, alla crescita fortissima dei meccanismi di sfruttamento che nella fase dell’emergenza si sono ulteriormente inaspriti, dell’impossibilità per questo sistema di produrre nuova occupazione stabile anzi dell’emergere di una nuova spinta verso ulteriori strumenti di precarizzazione.

Quando turismo, ristorazione, abbigliamento diventano i settori – chiave di un paese di 60 milioni di abitanti posto in posizione strategica al centro del Mediterraneo è il caso di preoccuparci seriamente.

Fa il paio con l’assenza di programmazione industriale quella della mancanza di una politica estera con in primo piano il disastro libico.

Anzi l’assenza di politica estera rappresenta il fattore fondamentale della fragilità e della confusione del nostro sistema produttivo.

La politica estera i cui termini concreti si stanno facendo di giorno in giorno più stringenti nella necessità di scelte precise sia nello scenario europeo sia rispetto alla nuova contesa globale ormai aperta tra USA e Cina. L’esito delle elezioni USA forniranno sicuramente una indicazione di indirizzo, ma comunque le pressioni per un recupero del “ciclo atlantico” ci saranno e molto forti e ad esse si dovrà dare risposta come alle evidenti manovre di infiltrazione da parte della Cina tendente ad approfittare della situazione di crisi creata dall’emergenza sanitaria.

Un sistema politico quello italiano ormai compresso nell’intreccio tra corporazioni espresse da lobbies più o meno potenti, privo di programmazione economica e di politica estera e corroso da uno scontro interno tra i poteri che la Costituzione vorrebbe separati ma che la funzione di supplenza esercitata per un lungo periodo dalla Magistratura ha inquinato nella relazione tra questa e la politica, laddove vengono a galla elementi di una vera e propria “perversione di sistema”.

Un autorevole professore, ex-ministro, ex giudice della Corte Costituzionale come Sabino Cassese ha individuato 5 nodi: Il declino della membership politica; l’assenza di offerta politica; lo svuotamento del Parlamento; la prevalenza dei temi immediati su quelli importanti e strutturali; la mancanza di organi di correzione delle politiche governative.

Punti che qui in questo intervento sono esposti in maniera semplicemente indicativa perché poi da Cassese sono trattati, in un suo testo, in maniera fortemente contraddittoria: ma non è questo il punto della discussione.

Quei Cinque punti rimangono meritevoli della massima attenzione nel momento in cui ci si dovrebbe accingere a riflettere sulle prospettive di soggettività politica che sarebbe necessario porsi in opera di ricostruzione a sinistra.

Una “sinistra costituzionale”, in questa fase, capace di raccogliere le forze migliori esistenti e/o disperse forse potrebbe rappresentare un rifermento capace di tenere dentro, sia pure su di una linea di “guerra di posizione”, l’insieme delle contraddizioni emergenti e funzionare da nuovo fattore di offerta politica: una necessità quantomai urgente

Di AFV

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