La riapertura delle scuole italiane, fissata per il 14 settembre, sembra dal lato di insegnanti, personale scolastico e famiglie preoccupare enormemente; dall’altro lato, quello del governo, invece pare addirittura entusiasmare. E’ una impressione quest’ultima che si ricava dalle parole del commissario Arcuri, incalzato dalle domande dei giornalisti proprio sulla storica impreparazione istituzionale alla ripresa di qualunque anno scolastico.

Ed una impressione che si associa ad un altro ottimismo splendido splendente, senza ombra di dubbio: quella della ministra Azzolina, per cui la riapertura è certa, anzi: certissima. Nonostante la curva degli attualmente positivi al virus cresca ogni giorno (e con sempre meno tamponi fatti), esaurito l’effetto della quarantena di marzo-aprile e metà maggio e sopraggiungente l’effetto opposto: quello della sconsiderata apertura estiva pressoché totale e la mancanza della creazione di un senso comune morale e civico che arginasse il menefreghismo di larga parte della popolazione nei confronti di un pericolo non più percepito come tale.

In vista di settembre, pare più che normale che si rifletta sul caos endemico che deriva dalla messa in moto della complessa macchina scolastica che amplifica i disagi in ogni ambito di vita quotidiana: dagli spostamenti a piedi, in autobus, in metropolitana, motorino o automobile all’organizzazione delle lezioni e dei tempi giornalieri che cambiano per tutti coloro che ne sono coinvolti. A scuola come a casa.

Il primo errore è mostrare tutta questa sicumera rispetto ai dubbi di chi obietta che, seppur lodevole come impegno, non basteranno certamente undici milioni di mascherine al giorno e centinaia di migliaia di litri di disinfettante per garantire lo svolgimento delle lezioni in piena sicurezza. Rischi ve ne saranno sempre, almeno fino a quando non si troverà una cura oppure un vaccino contro il Covid-19.

Arcuri si indigna soltanto davanti alle speculazioni – e più che giustamente – che sono state rilevate dall’Autorità anticorruzione in merito a forniture di camici, mascherine, visiere e quant’altro venduti in alcune zone del Paese a prezzi che erano sette, otto, nove volte tanto rispetto al normale prezzo di mercato. A domanda del giornalista il commissario risponde: «Ho già detto che si tratta di vergognose speculazioni e che la libertà del mercato ha un limite insormontabile: il diritto alla salute dei cittadini».

Soltanto questo di limite avrebbe? A parte questa prima stigmatizzazione della frase di Arcuri che si vanta di aver fatto passare la propria linea, uguale a quella dei “liberisti” (proprio così li definisce) circa l’approvvigionamento di milioni di nuovi banchi prodotti rigorosamente da aziende italiane o europee (per intenderci: niente “cineserie“!)

Il mercato, appunto. Qui il commissario per l’emergenza pare far finta di scontrarsi con un sistema che, secondo la sua candida interpretazione normalizzante e normalizzatrice, dovrebbe escludere qualunque ingiustizia in merito: tanto della salute quanto degli appalti dati dal pubblico al privato per l’interesse pubblico.

Questo in cui viviamo è invece un sistema economico che non segue alcuna morale sociale, che ricerca soltanto l’interesse del singolo a tutto scapito della collettività: il fine ultimo è l’accumulazione dei profitti. Più se ne fanno e meglio è per quei pochi al mondo (rispetto ai sette miliardi di persone che lo abitano…) che sono proprietari dei mezzi di produzione, quindi delle aziende che tutto producono e che possono convertire le loro attività alla bisogna: cioè quando si saturano alcuni settori di offerta per mancanza di domanda o quando, invece, capita la ghiotta occasione di occupare altre fette di mercato inaspettatamente venute alla luce sulla sorta di improvvise sciagure e disgrazie. Il coronavirus è una di queste.

I dati macroeconomici ci dicono che i movimenti di capitali non si sono affatto fermati con la pandemia ma che, invece, hanno permesso ai grandi paperoni, che gestiscono le più grandi multinazionali di settori veramente vari, di accrescere le loro fortune e moltiplicare i dividendi per gli azionisti. Nessuna crisi economica per il grande capitale intercontinentale. Diversa la situazione che vivono le piccole e medie imprese, quelle a carattere familiare, quelle di un ceto medio che oscilla sempre tra il salto verso un gradino più alto del sistema del libero mercato o una retrocessione verso la condizione precedente, se non proprio di povertà, quando meno di faticosa gestione della realtà economica gestita.

E’ più che logico stupirsi dell’apparire dei fenomeni di corruttela, di profitto alle stelle che viene ricercato proprio quando i bisogni emergono da catastrofi in cui esplodono le necessità impellenti e vi si può lucrare a piacimento.

La sanità pubblica, ed anche la scuola pubblica, sono e saranno terreni di voracità capitalista, di intromissione liberista negli interessi collettivi: il tutto avrà le sue conseguenze proprio nel funzionamento e nella gestione della sicurezza sanitaria di alunni, studenti, corpo docente e personale amministrativo degli istituti. Sarà, in qualche modo, inevitabile e le polemiche non tarderanno a farsi sentire.

Per questo è singolare questo sprigionamento di ottimismo a tutto tondo che il commissario ha regalato ai giornali: una forma di comunicazione di certezze che risultano sorprendenti: un cieco fideismo in un sincretismo perfetto tra macchina burocratica dello Stato, esigenze private delle aziende e tempi ristrettissimi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, per la preparazione dei programmi, per la disposizione delle normative in caso di emergenza nelle singole classi, nei singoli istituti.

Va riconosciuto, tuttavia, lo sforzo del governo nella complicata di una crisi inaspettata, di una pandemia imprevedibile, forse anche sottovalutata nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Ma indubbiamente presa molto sul serio dall’inizio di marzo, quando, proprio tra i primi provvedimenti contenuti nei decreti di Palazzo Chigi, si decise la chiusura totale delle scuole e degli atenei pubblici e privati.

Ma rimettere la propria fiducia nelle leggi amorali del libero mercato è consegnarsi, come enti pubblici, come istituzioni della Repubblica, ad una logica veramente liberista che rischia di vanificare qualunque tentativo di preservazione del bene collettivo, schiacciato sotto il peso delle esigenze del privato, delle aziende che devono gareggiare tra la loro. E non sempre chi gareggia rispetta le regole.

Qualcuno ha sostenuto, forse un po’ arditamente, che il virus è rivoluzionario, perché costringe a tanti cambiamenti, a mutazioni impensabili fino a pochi mesi fa. In realtà la potenza del Covid-19 è simile a quella di un terremoto, di uno tsunami, di qualunque altro eventi naturale possa capitarci fra capo e collo inaspettatamente. Non rivoluziona nulla in chiave sociale. Anzi, rende ancora più egocentrica la società, la svilisce del suo carattere potenzialmente egualitario, dell’istinto all’autoconservazione collettiva che dovrebbe avere e che dovrebbe dimostrare perseguendo il benessere collettivo. La concorrenza che i capitalisti si fanno vicendevolmente su livelli impossibili da valutare con metri etici, diventa negli strati popolari una lotta fratricida, un “si salvi chi può“.

Il virus non ha nulla di rivoluzionario, a meno che non gli si attribuisca questo termine similmente a come Marx chiamava “rivoluzionaria” la borghesia, osservandone la capacità di mutare a seconda dei contesti, di adattarsi ai cambiamenti anche più radicali al fine di mantenere il dominio economico nella società.

L’altra faccia della lotta contro il virus, quella forse più terribile, la vedremo dove si fermerà il grande lavoro di tanti scienziati e dove inizierà il commercio dei vaccini e delle cure: tra interessi geopolitici nella corsa al primato della soluzione per uscire dalla pandemia e tra esigenze dettate dal profitto dei capitalisti le vittime prime saranno sempre e soltanto i milioni di malati che mendicheranno tra proteste, urla e tanta rabbia e odio una dose di salvezza. Un diritto universale alla salute ancora una volta trasformato nell’ennesima occasione di sfruttare le sofferenze altrui per ingrossare stracolmi conti bancari. Rigorosamente tutti all’ombra delle palme di qualche bel paradiso fiscale. Non vi sembra un lieto fine?

MARCO SFERINI

foto tratta da Pixabay

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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