Alla Straberry caporalato e sfruttamento non si fermavano nei campi ma coinvolgevano tutta la filiera, dai ragazzi e le ragazze che vendevano le fragole con le scintillanti apette rosa ai braccianti nelle serre, come ci raccontano le carte della guardia di finanza e la cronaca di questi giorni.

L’inchiesta è partita proprio dai ragazzi venditori, quasi sempre giovanissimi e alla prima esperienza di lavoro, che in questi anni hanno mandate numerose segnalazioni alle forze dell’ordine. Per questo abbiamo provato a farci raccontare un po’ meglio da un* nostr* coetane* che nel 2016 ha lavorato per l’azienda famosa per qualità e sostenibilità dei suoi prodotti.

“Sono stat* assunt* da Straberry nel 2016, dopo aver risposto ad un annuncio su Facebook. Ho iniziato a lavorare da subito, dal giorno dopo che ho mandato il curriculum. Il compenso era di 60 euro, che teoricamente dovevano essere pagati con voucher agricolo, per otto ore, 3 o 4 giorni a settimana, secondo la propria disponibilità. In realtà la giornata iniziava alle 8 di mattina in ortomercato, quindi si caricavano gli apecar con le cassettine di frutta e si finiva intorno alle 21.30. Naturalmente c’era un’ora di pausa per il pranzo e si finiva alle 21.30, perchè bisognava contare la merce, vedere quanto era il venduto, chiudere cassa e mettere a posto l’aspetto organizzativo e amministrativo.
Tutti giovanissimi, nella fase del 2016 almeno, perché poi Straberry si è evoluta e so per certo che le cose funzionavano diversamente dopo. Nel 2016 avevamo tutti tra i diciannove e i vent’anni, eravamo circa venti ragazzi con venti apecar, praticamente tutti alla prima esperienza lavorativa. 

Situazioni particolari? Come dicevo giornata lunga, sotto il sole, senza bagno. Mi ricordo che non avevamo una cassa e una gestione dei soldi ma un marsupio che ci veniva dato in dotazione e spesso dentro c’erano cifre consistenti, dopo l’intera giornata non era raro ritrovarsi con 500, 600 euro. Questo era risaputo e spesso, in alcune zone di Milano, venivamo anche derubati. Quando il marsupio veniva rubato l’ammanco veniva poi coperto da chi vendeva la frutta sul posto e quindi capitava di frequente che alcuni ragazzi lavorassero gratis per coprire l’ammanco. 

Gli apecar inoltre avevano una scarsissima manutenzione, spesso si verificavano incidenti perchè non frenavano o non si accendevano. C’era chi tornava tardi la sera perché, dal posto in cui aveva parcheggiato l’apecar, non riusciva più a ripartire e arrivare in ortomercato.

I più bravi, quelli che per un po’ di tempo riuscivano ad avere delle ottime performance di vendita, venivano un po’ “promossi” a capo area, andavano loro a spronare gli altri venditori, dando consigli e controllando il venduto del giorno.

La cosa più importante: dei 60 euro che dovevano essere corrisposti come stipendio solamente il 20% era percepito con voucher agricoli, tutto il resto in nero, in denaro contante, lo stesso che incassavamo nella giornata di vendita. Non era raro ottenere delle provvigioni dopo un po’ di tempo, dopo aver capito il meccanismo, anche queste ovviamente pagate esclusivamente in nero.”

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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