Venerdì 6 marzo 1953 viene annunciata al mondo la morte di Iosif Vissarionovič Džugašvili: la notizia lascia nello sgomento una metà del mondo, mentre viene accolta dall’altra metà con malcelata soddisfazione. I redattori di Time Magazine non riescono a modificare la copertina del numero che sarebbe uscito in edicola lunedì 9 marzo, su cui infatti troviamo un ritratto del presidente sudcoreano Syngman Rhee, appena rieletto, con metodi tutt’altro che democratici, per un secondo mandato. Come per Somoza, il governo di Washington sa benissimo che si tratta di “un figlio di puttana”, ma anche Rhee è il “loro figlio di puttana”, uno dei tanti in giro per il mondo. Finalmente il lunedì successivo sulla copertina della più autorevole rivista americana campeggia un bel ritratto di Stalin, che osserva con un sorriso compiaciuto e ironico una ragnatela che egli ha pazientemente tessuto e in cui sono imprigionati diversi uomini-insetti. Il lunedì ancora successivo la copertina è dedicata a Malenkov, che nei giorni concitati successivi alla morte del leader sovietico appare come il nuovo “uomo forte” di Mosca. Ma evidentemente non è quella la soluzione definitiva nel complesso gioco di scacchi che si sta svolgendo al Cremlino: il 20 aprile in copertina c’è Molotov, il 20 luglio Berija, e dobbiamo aspettare il 30 novembre per vedere un ritratto di Nikita Sergeevič Chruščëv, con alle spalle una fascina di spighe che stanno per essere tagliate da una falce, naturalmente rossa. È istruttivo osservare un anno attraverso le cinquantadue copertine di Time. Il 1953 è aperto e chiuso da due ritratti di donne: la ventisettenne Elisabetta II all’inizio del suo regno – che naturalmente nessuno avrebbe immaginato così lungo – e la novantatreenne pittrice americana Grandma Moses, una delle più importanti esponenti dello stile American primitive. C’è anche un po’ d’Italia nelle copertine di Time di quell’anno: nel numero del 25 maggio c’è un ritratto austero di Alcide De Gasperi, che sta per perdere le elezioni della cosiddetta “legge truffa” e lasciare la vita politica – era un tempo così: se perdevi una battaglia fondamentale dovevi ritirarti davvero, anche se eri De Gasperi – e in quello del 14 dicembre un solenne e ieratico Pio XII.La copertina che interessa a me però è quella del 30 marzo. Dopo Stalin e Malenkov i lettori di Time trovano sulla loro rivista lo smagliante sorriso di una bella donna dai capelli neri che indossa un elegante cappello rosa, sullo sfondo dei grattacieli di New York.  
Mercoledì 25 febbraio ha debuttato al Winter Garden Theater – il grande teatro di Midtown che dalla fine del 1982 e per quasi diciotto anni sarebbe stata la “casa” di Cats – un nuovo musical scritto da Leonard Bernstein. Il quarantacinquenne compositore e direttore d’orchestra è già molto conosciuto, ma non è ancora il “grande” Bernstein. Giovedì 10 dicembre di quello stesso anno debutta – ed è il primo direttore d’orchestra americano – alla Scala, dirigendo Maria Callas nella Medea di Luigi Cherubini con la regia di Luchino Visconti.Ma questa storia comincia quasi vent’anni prima, all’inizio del 1935, quando Stalin comincia a organizzare le grandi purghe degli anni Trenta. Ruth ed Eileen McKenney, due sorelle cresciute a East Cleveland in Ohio, prendono in affitto per 45 dollari al mese un minuscolo appartamento nel seminterrato del numero 14 di Gay Street nel Greenwich Village. Se volete sapere com’è quella strada potete riguardare il video di Girls just want to have fun di Cindy Lauper, un “classico” degli anni Ottanta. Quelle due stanze dalle pareti ammuffite non sono il massimo, anche perché proprio lì sotto stanno costruendo una linea della metropolitana, e il Greenwich non è ancora un quartiere alla moda di Manhattan, ma quel piccolo appartamento di New York sembra un sogno per quelle due ragazze che vogliono to be the one to walk in the sun. Ruth vuole fare la giornalista, mentre Eileen sogna di sfondare a Broadway.Le disavventure di due ragazze di ventiquattro e ventidue anni arrivate dall’Ohio in quell’appartamento del Greenwich diventano l’argomento per una serie di articoli che Ruth riesce a pubblicare sul New Yorker alla fine degli anni Trenta e che nel 1938 escono come un romanzo con il titolo My Sister Eileen. Quegli articoli permettono alle due sorelle di lasciare l’appartamento rumoroso e ammuffito, ma non il Greenwich, perché Ruth è comunista e in quelle strade “disordinate” – che non rispettano il disegno rigidamente ortogonale del resto di Manhattan – e in quei locali in cui bianchi e neri stanno facendo crescere la musica jazz, pulsa la rivolta dell’America. Ruth non vuole essere ricordata solo per quelle divertenti storie di colore. Nel 1939 pubblica quello che considera il suo lavoro migliore, Industrial Valley, un libro-inchiesta sul grande sciopero degli operai della Goodyear ad Akron nel 1936. Nel 1943 pubblica un altro romanzo, Jake Home, la storia di un sindacalista dell’Ohio all’inizio del Novecento. Ruth ha deciso presto da che parte del mondo stare, quella che guarda con speranza a ciò che succede in Unione Sovietica, dalla parte degli operai delle grandi fabbriche, dalla parte dei neri che lottano contro la discriminazione razziale. Anche quando, nel 1946, viene espulsa dal Partito comunista d’America perché le sue posizioni non sono in linea con quelle “ufficiali” del partito: ma in fondo Ruth non è mai riuscita a stare in linea, anche quando giocava come prima base nella squadra di baseball di East Cleveland, l’unica ragazza in un gruppo di maschi.Eileen non ha la stessa fortuna della sorella. Nel 1939 sposa lo scrittore Nathanael West, l’autore del romanzo Il giorno della locusta. Il 22 dicembre 1940 sono entrambi vittime di un tragico incidente stradale: Eileen ha solo ventisette anni. Ruth sarà molto colpita da questa perdita che condizionerà tutta la sua carriera negli anni successivi.Le avventure di Ruth ed Eileen nell’appartamento del Greenwich sono un successo e due giovani commediografi, Joseph Fields e Jerome Chodorov, decidono di ricavarne una commedia per Broadway. My Sister Eileen debutta al Biltmore Theatre giovedì 26 dicembre 1940, appena quattro giorni dopo la morte della vera Eileen. Shirley Booth e Jo Ann Sayers interpretano le due sorelle. La prima è una delle grandi dello spettacolo americano, una delle poche a poter indossare la cosiddetta “tripla corona”, ossia ad aver vinto un Tony, un Oscar e un Emmy nel corso della loro carriera. Probabilmente il suo ruolo più conosciuto è quello della moglie di Burt Lancaster in Torna, piccola Sheba, uno dei primi film ad affrontare il tema dell’abuso di alcol e delle sue conseguenze sulla vita familiare. Lo spettacolo, grazie anche alla verve di Shirley, ottiene un grande successo e rimane in cartellone fino al gennaio del 1943, per 864 repliche.Naturalmente Hollywood si accorge di questo successo e decide di sfruttarlo. La Columbia chiede a Fields e Chodorov di adattare la commedia per il grande schermo, mentre Alexander Hall viene chiamato per la regia. Il film esce nella sale americane mercoledì 30 settembre 1942 ed è il più grande successo della Columbia di quell’anno. In Italia arriverà poco dopo con il titolo Mia sorella Evelina. Il film è divertente, Fields e Chodorov accentuano gli episodi da commedia e alla fine compaiono – anche se non accreditati nei titoli – i tre Stooges come gli operai che scavando il tunnel della metro sbucano nella camera delle ragazze. Il film finisce con Curly che dice: “Hey, Moe. Penso tu abbia fatto una svolta sbagliata!”.In quel film Ruth ed Eileen sono rispettivamente Rosalind Rusell e Janet Blair. Janet è una brava cantante, ha imparato nella chiesa della sua città, Altoona in Pennsylvania, dove la madre suona l’organo e il padre dirige il coro. Fa la cantante in alcune big band dell’età dello swing, ma Hollywood nota ben presto la sua bellezza e la Columbia la mette sotto contratto. Non ha il successo che merita e non riesce mai ad avere una parte da protagonista: dopo My Sister Eilenn è l’amica di Rita Hayworth in Stanotte e ogni notte e torna finalmente a cantare in The Fabulous Dorseys. Rosalind – nata nel 1907 in Connecticut da una numerosa famiglia irlandese – invece è già un’attrice affermata. È molto bella, ma non diventerà mai un sex symbol: dirà in seguito che questo le ha permesso di avere una carriera molto più lunga di altre sue colleghe. Il suo ruolo è quella della donna elegante e sofisticata, anche se soffre di essere considerata una sorta di “appendiabiti”. Negli anni Trenta appare in molti film, alternando drammi e commedie, ma è in queste ultime che offre le sue interpretazioni migliori. Nel 1940 è la giornalista Hildy Johnson nel film di Howard Hawks His Girl Friday – in Italia La signora del venerdì – in coppia con Cary Grant. Il film è una delle migliori trasposizioni cinematografiche della commedia Prima pagina, che nel 1974 diventerà una commedia con due protagonisti maschili, Jack Lemmon e Walter Matthau, in uno dei loro capolavori come coppia. Rosalind è la quindicesima scelta di Hawks, ma tutte le altre, dalla Hepburn alla Colbert, da Jean Arthur a Ginger Rogers, hanno rifiutato quella parte e così Rosalind scopre di essere nel cast leggendo in treno un articolo del New York Times in cui c’è l’elenco di quei famosi rifiuti. Il film è un successo e anche Hawks si deve ricredere sulle capacità di Rosalind Russell. My Sister Eileen è un successo e Rosalind ottiene una nomination agli Oscar, la prima della sua carriera; ne avrà una seconda nel ’46 per L’angelo del dolore – la biografia dell’infermiera Elizabeth Kenny – e una terza l’anno successivo per il ruolo di Lavinia nel film di Dudley Nichols Il lutto si addice ad Elettra, dal dramma di Eugene O’Neill.     Nell’autunno del 1952 il produttore di Broadway Robert Fryer pensa che My Sister Eileen possa diventare un musical. Fields e Chodorov – che intanto viene indagato dal Comitato per le attività antiamericane – ci mettono davvero poco per scrivere il libretto. Adesso mancano solo le canzoni. In appena quattro settimane Bernstein e i suoi vecchi amici Betty Comden e Adolph Green scrivono la musica e i versi. In fondo quella è anche la loro storia. Leonard e Adolph condividevano un piccolo appartamento nel Greenwich e nei locali di quel quartiere si esibivano The Revuers, il gruppo formato da Comden e Green con Judy Holliday, spesso accompagnati al piano proprio dal giovane Bernstein. In uno di quei locali del Greenwich, il Village Vanguard, le pareti erano tappezzate di manifesti in cui si esprimeva il sostegno alla Repubblica Spagnola attaccata dai fascisti. Anche Leonard, Adolph e Betty hanno presto deciso da che parte stare.  Fryer sa che Rosalind Russell è brava a cantare quanto a recitare: il ruolo di Ruth è suo. E questa volta è assolutamente la prima scelta. Ed è proprio il sorriso di Rosalind che i lettori di Time Magazine trovano in copertina il 30 marzo 1953, a un mese dal debutto. Wonderful Town è un successo che rimane in scena per 559 repliche. Forse non è uno dei capolavori di Bernstein, non ci sono canzoni diventate standard, ma, anche se non raggiunge le vette di Candide e West Side Story, questo musical rimane ancora oggi godibilissimo, uno dei frutti migliori della maturità artistica di Bernstein e della musica di Broadway degli anni Cinquanta. E Rosalind ottiene giustamente il Tony per la sua interpretazione della forte e determinata Ruth. Curiosamente la conservatrice Rosalind – sostiene tutte le campagne elettorali di Nixon, compresa quella per lui sfortunata contro il giovane Kennedy – la fervente cattolica Rosalind, è nelle proprie scelte artistiche una convinta sostenitrice dei diritti delle donne. Vuole interpretare donne forti, indipendenti, capaci di realizzare se stesse. E nel 1955 sempre a Broadway interpreterà il suo ruolo più celebre, quello di Mame Dennis, la Auntie Mame che dà il titolo alla pièce scritta da Jerome Lawrence e Robert E. Lee, basata sul romanzo autobiografico di Patrick Dennis. La commedia rimane in cartellone per quasi due anni e nel 1958 la Warner produce il film con lo stesso titolo, con la sceneggiatura della “ditta” Comden e Green. Rosalind Russell sarà nominata sia al Tony che all’Oscar per la sua interpretazione di questa donna esuberante e indipendente, sfortunatamente non vincendo alcun premio. Nel 1966 questa storia diventerà un musical, Mame, uno dei grandi successi di Angela Lansbury.Nel 1955 la Columbia vorrebbe girare un musical basato sulla storia di My Sister Eileen, ma i diritti di Wonderful Town sono giudicati troppo costosi dai produttori. E poi i testi di Comden e Green sono molto espliciti e Ruth è una figura troppo indipendente e forte per la Hollywood del Codice Hays. La Columbia assume due specialisti del genere come Jule Styne e Leo Robin per scrivere una nuova colonna sonora e Bob Fosse per le coreografie. Eileen – che in questa versione diventa la protagonista – è interpretata da Janet Leigh, mentre Betty Garrett interpreta Ruth. Per Betty questo film segna finalmente la possibilità di tornare a lavorare a Hollywood. Nel 1949 la sua interpretazione in Un giorno a New York – con le canzoni scritte da Bernstein per la musica e da Comden e Green per i testi – sembra destinarle una carriera promettente, fermata, come per tanti altri, dalla indagini del Comitato per le attività antiamericane. Dopo Mia sorella Evelina – questo, come nel ’42, il titolo in italiano – Betty potrà lavorare quasi solo in televisione. Sarà, tra molti altri ruoli, la signora Edna DeFazio, la madre di Laverne nella fortunata sit-com Laverne & Shirley. Il film non è il successo sperato dalla Columbia. E francamente, anche per il suo tono decisamente maschilista, inferiore al film dl 1942 che ci appare molto più “moderno”.A parte l’inossidabile Lizzie sono tutti morti quelli che hanno goduto di una copertina di Time Magazine nel 1953. Anche il comunismo è morto. Continua a vivere, per fortuna, la musica di Bernstein e soprattutto la forza delle donne che – con il sorriso di Ruth – non seguono la “linea” e scelgono la parte giusta del mondo.

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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