di Ramzy Baroud

‘Legge internazionale’ rimane uno dei termini più discussi nel contesto dell’occupazione israeliana della Palestina. E’ quasi sempre presente, che la discussione riguardi le guerre israeliane e l’assedio di Gaza, l’espansione degli insediamenti ebrei illegali nella West Bank o il dilagante apartheid in tutto Israele e nei Territori Occupati.

Nonostante l’importanza e la rilevanza del termine, tuttavia, raramente si traduce in qualcosa di tangibile. L’assedio israeliano di Gaza, ad esempio, prosegue ininterrotto da quasi 14 anni, senza che la legge internazionale serva a proteggere i civili palestinesi dalle violazioni israeliane dei diritti umani. Più di recente, il 13 settembre, il governo israeliano ha approvato 1.000 unità illegali di insediamento nella West Bank, in grave violazione della legge internazionale. E’ probabile che Israele continuerà a farlo, comunque.

Riguardo alla violazione della legge internazionale Israele costituisce una propria categoria unica, poiché il comportamento di Israele è sempre governato dalla sua forza militare e dal sostegno dei suoi alleati occidentali.

Per capire di più circa il rapporto tra la legge internazionale, la risoluzione dei conflitti e la chiamata a risponderne, ho parlato con il professor Richard Falk, uno dei principali esperti mondiali della legge internazionale ed ex Relatore Speciale dell’ONU sui Diritti Umani dei palestinesi.

Di particolare rilievo per la nostra discussione sono gli attuali tentativi dei palestinesi di perseguire azioni internazionali per chiamare presunti criminali di guerra israeliani a rispondere presso la Corte Penale Internazionale (ICC). Il fatto che la Corte abbia accettato di indagare presunti crimini di guerra nella Palestina occupata ha generato una reazione rabbiosa di Israele e sanzioni senza precedenti da parte di Washington contro giudici e personale della ICC, tra cui la Procuratrice Fatou Bensouda.

Ho chiesto al professor Falk della “portata limitata” dell’indagine della ICC, poiché la Corte esaminerà solo crimini di guerra israeliani e dunque, per ora, escluderà crimini contro l’umanità, tra altre pratiche illegali che dovrebbero essere attribuibili nel caso di Israele.

“La portata dell’indagine è qualcosa di mal definito, dunque è una questione di discrezionalità politica”, ha detto il professor Falk, aggiungendo che “la Corte assume la posizione di dover essere cauta nel delimitare la propria giurisdizione e perciò cerca di limitare la portata di ciò che è pronta a indagare”.

“Non concordo con questa idea… ma rappresenta in effetti il fatto che la ICC, come la stessa ONU, è sottoposta a un’immensa pressione geopolitica”, mi ha detto Falk. Tuttavia il navigato esperto di legge internazionale ha descritto l’indagine della ICC come una “svolta”.

“E’ una svolta persino prendere in considerazione l’indagine, per non parlare della messa in stato d’accusa e del processo di israeliani o statunitensi posti in agenda dalla ICC che hanno determinato un contrattacco da parte di tali governi… Israele ha denunciato la ICC come se fosse inappropriato esaminare qualsiasi stato che rivendichi la questione dell’impunità geopolitica. Così si ha una negazione centrale del primato della legge”.

Innegabilmente questa svolta e la posizione avanzata di istituzioni internazionali riguardo all’illegittimità dell’occupazione israeliana sono il risultato dell’insistente sforzo operato dal professor Falk e da altri campioni della legge internazionale nel corso degli anni. Di fatto gli incessanti tentativi di zittire Falk – e altri come lui – sono stati attuati in modo tale che le loro critiche delle violazioni israeliane non determinassero, alla fine, indagini così temute come quella della ICC.

Ci sono ONG molto militanti orientate al sionismo, come UN Watch, che si dedicano ad attività di tipo diffamatorio e usano tutte le loro risorse ed energie per persuadere le persone, compreso il Segretario Generale dell’ONU, a criticarmi e a sollecitare il mio allontanamento o qualche genere di sanzioni”, ha riflettuto Falk sulle sfide da lui affrontate durante il suo mandato all’ONU tra il 2008 e il 2014.

Per fortuna, ma anche significativamente, “alla fine il ruolo di Relatore Speciale è stato rispettato… e c’è stato molto sostegno alla mia attività, tra cui da ministeri stranieri e anche dall’esterno del mondo islamico. Ho sentito che era un genere di presenza importante da mantenere”.

“I gruppi sionisti erano, naturalmente, molto frustrati e non hanno cercato di rispondere ai miei rapporti sulle violazioni dei diritti umani nei Territori Occupati; si sono invece concentrati nel diffamare e infangare il messaggero, piuttosto che affrontare il messaggio”, ha detto Falk identificando l’essenza stessa della strategia usata da gruppi filoisraeliani, sia all’ONU sia altrove.

Ho anche chiesto al professor Falk del termine ‘occupazione israeliana’ essendo, nella mia limitata conoscenza, stato ideato dalle Convenzioni di Ginevra – e da precedenti definizioni internazionali – per disciplinare un periodo transitorio durante il quale una Potenza Occupante ha la responsabilità dell’assistenza e del benessere della popolazione civile che vive in un Territorio Occupato.

“La legge internazionale è molto ambigua riguardo alla durata di un’occupazione militare e Israele ha sostenuto una specie di tesi pretestuosa che le Convenzioni di Ginevra e la legge normale che governano l’occupazione belligerante non si applichino qui, perché si tratta di una sovranità contestata piuttosto che un caso in cui un altro paese è stato occupato”, ha detto Falk.

Assieme al sostegno statunitense-occidentale e ai veti al Consiglio di Sicurezza, Israele ha sfruttato storicamente questa ambiguità per radicare – anziché terminare – la sua occupazione della Palestina.

Poiché la legge internazionale “non indica un termine dell’Occupazione, il modo più efficace per contrastarla consiste, dal punto di vista della legge internazionale, nel fatto che Israele ha commesso così tante violazioni degli obblighi di una Potenza Occupante: la creazione di insediamenti, la progressiva annessione, l’integrazione di Gerusalemme nello stato sovrano di Israele”.

“Sono tutte violazioni fondamentali della Quarta Convenzione di Ginevra e rappresentano uno sforzo di rendere impossibile la fine dell’Occupazione nel senso che era inteso: restituire la società alla popolazione civile occupata”, ha proseguito Falk, descrivendo questa situazione come “una grave carenza, legalmente e politicamente”.

“Ma c’è un motivo di ottimismo?” ho chiesto al professor Falk, la cui energia e la sua opera instancabile continuano a definire questo infaticabile combattente per i diritti umani.

“Quando colonialismo e oppressione hanno perso la loro accettazione come forme di comportamento politico legittimo, l’equilibrio politico ha avuto una svolta e la perseveranza delle lotte nazionali si è rivelata più formidabile degli arsenali a disposizione delle potenze coloniali”, ha detto Falk.

Secondo il professor Falk la storia è chiaramente dalla parte dei palestinesi, che stanno già “vincendo la guerra della legittimità”.

Ramzy Baroud è un giornalista e direttore di The Palestine Chronicle. E’ autore di cinque libri. Quello più recente è ‘The Chains Will Be Broken: Palestinian Stories of Struggle and Defiance in Israeli Prisons’ (Clarity Press, Atlanta). Il dottor Baroud è ricercatore anziano non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Istanbul Zaim University (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/despite-ambiguity-in-international-law-palestinians-are-winning-the-legitimacy-war/

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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