Gli Stati Uniti sono generalmente considerato dai politologi come un sistema bipartitico, all’interno del quale vige la continua alternanza tra Partito Democratico e Partito Repubblicano. Secondo la vulgata, ciò sarebbe garanzia di “democrazia”, in quanto è molto raro, ad esempio, che lo stesso partito governi per più di otto anni consecutivi. Tuttavia, la verità è che il sistema politico statunitense è costruito appositamente per permettere unicamente ai candidati democratici e repubblicani di emergere, nascondendo invece la fitta galassia di partiti alternativi che si muovono nel mondo politico degli USA, raggruppandoli genericamente sotto l’unica denominazione di Third Party.

Questo è possibile soprattutto grazie all’inesistenza di una legge sulla par condicio, che nella maggioranza dei Paesi dell’Europa occidentale, invece, garantisce una esposizione mediatica teoricamente pari per tutti i candidati nel corso della campagna elettorale. Sappiamo che in realtà neppure la legge sulla par condicio, che fa parte della cosiddetta legislazione elettorale di contorno, riesce a garantire una totale equità nel corso della campagna elettorale, ma il sistema statunitense semplicemente e spudoratamente premia chi ha più fondi a disposizione, trasformando le elezioni in show politici nei quali quasi sempre vince chi spende di più.

L’attuale sfida tra il presidente uscente Donald Trump ed il candidato democratico Joe Biden, in particolare, risulta essere la più costosa della storia, raggiungendo il livello record di 14 miliardi di dollari, secondo i dati comunicati dal Center for Responsive Politics, l’organismo incaricato di contabilizzare donazioni e spese politiche. Un incredibile spreco di risorse che potrebbero essere investiti in altri settori, come ad esempio per creare un sistema sanitario pubblico e contrastare l’epidemia da Covid-19, che negli Stati Uniti sta mietendo sempre più vittime. Per un raffronto, questa cifra equivale a più del doppio di quella spesa quattro anni fa dallo stesso Trump e da Hillary Clinton, che si erano fermati a “soli” 6.6 miliardi di dollari.

Con questi numeri alla mano, appare chiaro come per gli altri candidati sia di fatto impossibile competere con Biden e Trump, che possono invece contare su un numero praticamente infinito di donatori, dai singoli cittadini privati che li sostengono con piccole somme fino alle grandi multinazionali che, come d’abitudine, finanziano la campagna elettorale di entrambi per garantirsi il proprio avvenire indipendentemente dall’esito delle elezioni. Per non rimanere “scoperte”, infatti, le grandi corporations si assicurano la benevolenza di entrambi i candidati principali, sostenendo economicamente entrambi, seppur con cifre non sempre identiche. Questo fattore accentua a sua volta la similitudine delle politiche di repubblicani e democratici in molti ambiti, mentre sono generalmente temi di secondaria importanza quelli nei quali si concentra il conflitto politico: il sistema economico, il dominio delle multinazionali e delle grandi banche, la politica estera aggressiva ed imperialista sono elementi che non vengono mai messi in discussione.

Eppure, vi sono altri candidati di differenti posizioni politiche che sicuramente riceverebbero maggiori consensi se solo il sistema statunitense fosse più “democratico”, pur volendosi limitare ai criteri della democrazia rappresentativa di stampo occidentale.

Secondo i sondaggi, il terzo posto, per lontano dai due principali contendenti, dovrebbe essere occupato dalla candidata del Libertarian PartyJo Jorgensen. Mentre democratici e repubblicani fanno a gara per difendere, seppur con una retorica apparentemente diversa, le ragioni dell’imperialismo statunitense e dell’interventismo militare all’estero, Jorgensen si oppone a questa visione, e si dichiara favorevole alla fine delle operazioni militari in altri Paesi e ad un mondo multipolare.

Il californiano Howie Hawkins sarà invece il candidato del Green Party, sostenuto pure da altre forze politiche della sinistra alternativa, come il Socialist Party of the United States of America (SPUSA) o i trotzkisti di Socialist Solidarity. Veterano della guerra del Vietnam, Hawkins ha assunto una posizione antimilitarista, ma propone soprattutto un piano sociale ambientalista, con tagli alle spese militari eccessive, un sistema sanitario universale completo e gratuito, posti di lavoro federali garantiti e un salario minimo che raggiunga i venti dollari l’ora. Da sinistra proviene anche la candidatura di Gloria La Riva, di chiare origini italiane, rappresentante del Party for Socialism and Liberation (PSL), una formazione marxista-leninista, che già si era presentata nel 2016.

Questi ed altri candidati meriterebbero quanto meno di partire da una posizione di parità nei confronti di Trump e Biden, invece dovranno lottare fra loro per raggiungere il singolo punto percentuale di preferenze su scala nazionale. Quattro anni fa, il Libertarian Party ottenne un risultato considerato lusinghiero con la candidatura di Gary Johnson, che ottenne il 3.28%, mentre l’ecologista Jill Stein si attestò sull’1.07%. Inoltre, nessuno di questi partiti ottenne seggi in parlamento, la cui legge elettorale è a sua volta appositamente disegnata per permettere solo ai due partiti principali di eleggere rappresentanti.

In conclusione, ancora oggi sono vere le considerazioni che fece Noam Chomsky in occasione delle elezioni del 1996, vinte da Bill Clinton. Già allora, il noto pensatore di origine ebraica notava come le presidenziali statunitensi, oltre a diventare sempre più costose ad ogni campagna quadriennale, seguivano la tendenza alla diminuzione della libertà e della democrazia formale. In cima alla piramide delle cause di questo lento processo storico, Chomsky poneva il potere delle multinazionali ed i loro finanziamenti nei confronti dei candidati dei due partiti principali. Il sistema statunitense, dunque, assicura la propria conservazione attraverso l’oscuramento di tutti i partiti ed i candidati che propongono qualcosa di realmente diverso dal duopolio repubblicano-democratico.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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