Celle del lager di Bolzano

Francesco Cecchini

“L’   incomprensione del presente nasce fatalmente dall’   ignoranza del passato. Forse, però, non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato ove nulla si sappia del presente”.                                                     Marc Bloch, fucilato dai nazisti il 16 giugno 1944, perché partigiano ed ebreo.

“È diventata quasi una banalità affermare che i gruppi che perdono la loro memoria perdono anche la loro identità, che perdere il passato conduce a perdere il presente e il futuro”.                                               Zygmunt Bauman

“Il 27 gennaio non sia solo una celebrazione, non si banalizzi una tragedia che ha segnato l’   umanità” . Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale ANPI sul Giorno della Memoria

 Il 27 gennaio si commemorano i milioni di morti causati dal nazifascismo, che aveva programmato e messo in pratica il genocidio di interi popoli, ebrei, sinti, rom, l’eliminazione degli oppositori politici,  comunisti, socialisti, cattolici, e di coloro che venivano considerati pesi per la società, disabili, omosessuali, non autosufficienti, etc.,etc..                              Anche i lager, come quello di Bolzano, vanno ricordati.

IL LAGER DI BOLZANO.

Il giorno 11 settembre del 1943, tre giorni dopo l’   armistizio stipulato fra l’Italia e gli angloamericani, Adolf Hitler stabilì che le province di Bolzano, Trento e Belluno costituissero la Zona di Operazioni nelle Prealpi (OZAV), a lui sottoposta. Capoluogo dell’   OZAV era Bolzano, dove avevano sede, oltre a numerosi presidi militari germanici, il Tribunale Speciale ed un lager, che venne allestito nel quartiere di Gries, accanto all’attuale via Resia, nel mese di luglio del 1944. Il Lager sorgeva su un’area rettangolare di 2 ettari, circondata da un muro di pietra con in cima filo spinato. Era composto da 2 capannoni in muratura suddivisi in seguito in vari blocchi in cui suddividere i prigionieri secondo categorie: addetti a servizi, pericolosi, donne, politici, etc., etc.. Entrati nel Lager i prigionieri dovevano consegnare documenti e valori e ricevevano una divisa, zoccoli in legno e un triangolo di pezza di colore differente secondo la categoria verde per gli ostaggi, azzurro per stranieri civili nemici, giallo per gli ebrei, rosso per i politici. Vi giunsero uomini, donne e bambini da numerose località dell’   Italia centrale e nordoccidentale. Si trattava soprattutto di persone catturate ed arrestate per motivi politici (partigiani, scioperanti, semplici sospettati), ed in parte minore per motivi razziali (ebrei e zingari).

Nei dieci mesi della sua attività furono deportate nel Lager di Bolzano circa 11.000 persone, parte delle quali,  fu poi inviata nei Lager nazisti d’oltralpe con 13 trasporti ferroviari, cinque dei quali diretti a Mauthausen, tre a Flossenbürg, due a Dachau, due a Ravensbrück ed uno ad Auschwitz.  Le persone inviate furono 6500 ne tornarono indietro 2500. Di un trasporto comprendente 136 donne e bambini ebrei nessuno è sopravissuto. I numeri sono approssimativi per difetto a causa di una documentazione insufficiente, in quanto le SS prima di abbandonare il lager la distrussero tutta.

Il Lager di Bolzano, pur essendo di transito, non era dotato di krematorium per eliminare gli internati, aveva le stesse caratteristiche dei Konzentrationslager, campi di sterminio: i prigionieri potevano sostarvi per settimane o mesi e venivano obbligati al lavoro schiavistico. Oltre all’abituale pratica della tortura, ebbero a verificarsi le uccisioni di un numero imprecisato di prigionieri.

Tutto ciò è stato raccontato in un articolo pubblicato da Ancora Soffia il Vento il cui link è il seguente:

Nel 2018 è stato pubblicato dalle Edition Raetia il libro “Criminali del campo di concentramento di Bolzano” dello storico abruzzese Costantino Di Sante. Il libro è corredato da foto inedite dei criminali, documenti e disegni originali della tipografia del campo. Grazie alla scoperta di una nuova documentazione proveniente soprattutto dall’ Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’  Esercito a Roma National e dagli Archives di Washington, le carte del War crimes branch, viene data luce ad aspetti inediti della vicenda del lager di Bolzano.

Copertina del libro di Costantino Di Sante, “Criminali del campo di concentramento di Bolzano”.

Tra gli aguzzini  va ricordto il caporale delle SS, l’ucraino Michael Seifert , che aveva piena libertà di uccidere e torturare i prigionieri. Grazie all’impegno del Procuratore militare di Verona Bartolomeo Costantini, Seifert è stato tratto a giudizio e ritenuto responsabile di 11 brutali omicidi commessi all’interno del lager. Il 24 novembre 2000 è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale di Verona, sentenza confermata il 18 ottobre 2001 dalla Corte di Appello Militare di Verona e definitivamente convalidata l’8 ottobre 2002 dalla Corte di Cassazione. Michael Seifert, che alla fine della guerra si era trasferito in Germania e dal 1951 in Canada, è stato estradato in Italia e rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dove è deceduto nel 2010 all’età di 86 anni. Va rilevato che il processo Seifert è stato uno dei pochi a carico di criminali nazisti in cui la giustizia ha avuto un corso completo dal processo alla condanna e all’esecuzione della sentenza.

Importante. Per tutta la vita del campo funzionò un comitato clandestino di resistenza interno,  che lavorò in costante contatto con un comitato clandestino operante nella città di Bolzano ). Grazie a queesta rete furono fatti pervenire ai prigionieri del lager centinaia di pacchi con generi di prima necessità, viveri e vestiario, e si mantenne attiva e operante una rete clandestina di corrispondenza che consentì a centinaia di famiglie di avere notizie dirette dai prigionieri: quelle lettere sono in moltissimi casi l’ultimo segno di vita di deportati uccisi nei lager nazisti. La rete interna organizzò e realizzò con successo decine di fughe dal campo: ne sono documentate una cinquantina.

Il Lager di Bolzano fu dismesso il tre maggio del 1945 e completamento demolito negli anni sessanta. Sul suo terreno vennero costruite case di abitazione. Oggi, a testimonianza della sua esistenza, rimane in piedi solo il muro di recinzione. Anni fa il Comune di Bolzano ha collocato 6 pannelli che ricordano il lager e le sue viitime.

LE 4 SORELLE ROCCO NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI BOLZANO

A Ermelinda, Teresa, Prassede ed Egle Rocco nate a Motta di Livenza e abitanti a Belluno in Borgo Piave all’  entrare nel Campo diedero il triangolo rosso di prigioniere politiche. Le sorelle conservarono per tutta la vita, orgogliose, quel pezzetto di stoffa color sangue.

Ermelinda Rocco, Katia.

Ermelinda Rocco nacque a Motta di Livenza nel 1920, maestra in Cansiglio, si unì alla lotta contro il nazi-fascismo la Resistenza dopo l’   8 settembre  1943. Combattè a fianco di Amerigo Clocchiatti, il commissario politico ” Ugo”, nelle Brigate Garibaldi, Divisione Nino Nannetti. “Ugo” la cita con il suo nome di battaglia, ” Katia” nel suo libro di memorie “Cammina Frut”. Fu una partigiana comunista. Arrestata passò per la famigerata caserma Tasso di Belluno, un luogo di terrore in centro città dove viene torturata. Una delle figure più feroci della repressione della resistenza fu il comandante della gendarmeria di Belluno, responsabile di torture e omicidi durante gli interrogatori: il tenente Georg Karl, a quanto pare originario di Knellendorf (Bayern), mentre i suoi principali assistenti provengono dal Sudtirolo. Fu proprio un nazista sudtirolese di nome Pallua che interrogò e torturò “Katia” con scariche elettriche ai seni. Katia non parlò e sembra che il Pallua gli risparmiò la vita per farsi una reputazione di buono per il dopo.  Terminata la guerra i personaggi più compromessi di torture e crimini alla caserma Tasso svanirono, molti fuggiti in Sudamerica, e in ogni caso nessuno di loro ha mai pagato per i crimini commessi alla Tasso. Katia venne poi internata nel campo di prigionia di Bolzano Il campo di Bolzano,gestito dalle SS, era detto “durchsganglager”, ovvero lager di transito per invio ai campi tedeschi, polacchi ed altri. Katia fu fortunata, non venne inviata ad un campo di stermino, pulì latrine ed altro.

Teresa, Egle e Prassede Rocco.

Anche le sorelle di “Katia” Teresa, Egle e Prassede fuono partigiane nel bellunese. Vissero  la stessa esperienza di Ermelinda. Furono arrestate lo stesso giorno il 14 ottobre 1944 e interrogate e torturate nella Caserma Tasso di Belluno. Dopo oltre un mese d’inferno vennero inviate al lager di Bolzano, dove rimasero fino alla sconfitta del nazi-fascismo . Tutte e quattro furono decorate con medaglia di bronzo al valor militare.  Ricevettero anche il Certificato al Patriota (in inglese Patriot Certificate), noto anche come Brevetto Alexander, un riconoscimento ufficiale conferito a patrioti, partigiani  firmato dal maresciallo H. R. Alexander, comandante in capo delle Forze Alleate in Italia.

La durezza della lotta partigiana, l’imprigionamento,  le torture, l’  internamento,  minarono presto la vita di tre delle quattro sorelle, Prassede morì ad appena 52 anni per un cancro allo stomaco, Egle a 56 per un cancro ai reni ed Ermelinda a 64, per un cancro al seno.

Va ricordata anche la madre delle sorelle Rocco, Margherita Longhetto Rocco che appoggiò la lotta partigiana e le figlie partigiane. La famiglia Rocco fu definita coraggiosa nel suo libro “Camina Frut” da Amerigo Clocchiatti, Ugo, che le fu amico fino alla morte avvenuta i primi anni 90. La famiglia Rocco, ospitò e diede cibo a Clocchiatti per alcuni giorni e nascose per molto tempo il pittore Emilio Vedova.

Il triangolo rosso era il pezzo di stoffa che veniva dato ai prigionieri politici nei lager nazisti.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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