La pubblicazione mostra come Generali sia uno degli attori chiave nel sostenere il settore europeo del carbone, in particolare in quei Paesi che dipendono ancora fortemente dal più inquinante dei combustibili fossili: Polonia, Repubblica Ceca e Germania. Un sostegno che ostacola la transizioni di questi Stati verso un’economia più giusta e basata sulle energie rinnovabili.

Gli investimenti di Generali nelle società carbonifere ammontano ancora a 203 milioni di euro, tra cui spiccano i 20 milioni in RWE, società più inquinante d’Europa, di cui è il primo investitore italiano. Di recente proprio la società energetica tedesca ha deciso di portare in tribunale i Paesi Bassi, perché questi hanno deciso di chiudere entro il 2030 con il carbone per la produzione di energia elettrica. Un affronto ai cittadini dei Paesi Bassi, che rischiano di dover placare la fame fossile di RWE con i propri soldi, e a tutti coloro che affrontano quotidianamente le conseguenze derivanti dall’inquinamento del carbone.

Per Re:Common e Greenpeace Italia il nodo cruciale rimane l’ostinato legame di Generali con alcuni suoi clienti, grandi aziende del settore del carbone in Polonia e Repubblica Ceca. Generali ha infatti etichettato questi due Paesi, tra i maggiori utilizzatori di carbone in Europa, come “eccezioni” rispetto agli impegni presi nel 2018. Grazie a questo escamotage, ancora oggi il Leone di Trieste intrattiene rapporti, ad esempio, con PGE e ČEZ, aziende controllate dallo Stato rispettivamente in Polonia e Repubblica Ceca, che hanno tra i più alti livelli di emissioni di gas serra in Europa.

Il ruolo delle compagnie assicurative nei progetti fossili è decisivo: miniere, centrali, oleodotti e gasdotti non potrebbero operare senza copertura assicurativa. Generali in questo non fa eccezione, senza dimenticare il ruolo che riveste come investitore e gestore di asset per conto di terzi, come avviene ad esempio per alcuni fondi pensione polacchi.

«In un periodo in cui il diritto di respirare abbraccia significati più ampi, è impensabile come si possa continuare ad assicurare e investire nel carbone», commenta Simone Ogno di Re:Common, «Se Generali vuole prendere seriamente l’emergenza climatica in corso, è bene che interrompa immediatamente ogni relazione con tutte quelle società che non prevedono di chiudere con il carbone entro il 2030», aggiunge Ogno.

La comunità scientifica afferma infatti che l’Europa deve chiudere con questo combustibile fossile entro il 2030, al fine di raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 1,5 gradi Centigradi.

«L’emergenza climatica non ammette eccezioni», commenta Luca Iacoboni di Greenpeace. «E lo stesso deve fare Generali, chiudendo immediatamente i rapporti società come PGE e CEZ, e avviando un serio e rapido percorso di abbandono di tutti i combustibili fossili, compreso il gas».

Nell’anno in cui l’Italia ricopre la presidenza del G20 e la vicepresidenza della CoP26, Generali non può continuare a nascondersi dietro slogan che tingono di verde il suo business nero. Gli occhi del mondo saranno puntati sull’Italia in materia di clima, ambiente e transizione ecologica, con tantissime persone che chiederanno a gran voce di smetterla con le false promesse e di passare ai fatti. Una richiesta per i governi, per le società energetiche e anche per la finanza, Generali compresa.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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