Il Domenicale di Controlacrisi, a cura di Federico Giusti 


Stando ai dati pubblicati da Eurostat, l’Italia, nel 2020, avrebbe perso quasi 40 miliardi (39,2) di salari, una perdita attribuibile alla crisi pandemica, tra lockdown, chiusure e cassa integrazione Covid. Ma i dati italiani, i peggiori della Ue insieme alla Spagna, dovrebbero indurre a qualche riflessione sulla centralità del rapporto di lavoro a tempo determinato mentre altri paesi della vecchia Europa presentano un numero decisamente maggiore di contratti non precari e a tempo indeterminato. Non è casuale che proprio questa tipologia contrattuale, il tempo determinato, sia stata favorita per anni rappresentandola come la soluzione ideale per un mercato del lavoro bisognoso di picchi produttivi stagionali. La retorica del paese turistico ha finito con il giustificare i contratti precari come una sorta di compromesso accettabile con il sistema imprenditoriale. Non si dice tuttavia che negli ultimi 40 anni le imprese hanno beneficiato di innumerevoli vantaggi in termini contributivi e fiscali, per non parlare poi degli ammortizzatori sociali spesso erogati senza i dovuti controlli. Il decreto dignità è stato forse il solo intervento rivoluzionario dei Grillini, prodotto non solo del loro risultato elettorale ma della profonda insoddisfazione dei lavoratori e delle lavoratrici verso la sempre piu’ diffusa precarietà lavorativa alimentata dal centro sinistra. Da qui nasce la riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato a 24 mesi, rispetto ai precedenti 36 mesi previsti dal Jobs Act, prevedendo per una durata superiore ai 12 mesi la presenza obbligatoria di alcune causali quali esigenze temporanee ed oggettive, estranee insomma all’ordinaria attività, le cosiddette ragioni sostitutive ed esigenze legate ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili della attività produttiva ordinaria Nel corso della pandemia, nonostante il blocco dei licenziamenti collettivi, si è perso quasi un milione di posti fissi e i numeri sono decisamente superiori tra gli intermittenti, i precari e lavoratori al nero che sfuggono per antonomasia a ogni classificazione ma sappiamno essere fortemente presenti nei cicli produttivi. Sempre nel corso della pandemia sono state sospese le causali rese obbligatorie dal decreto Dignità, in compenso le imprese hanno condiviso con i sindacati il blocco dei licenziamenti che tra poche settimane finirà con la probabile carneficina occupazionale. Il tasso di occupazione femminile , stando ai dati Eurostat, è calato in maniera vertiginosa, particolarmente colpiti i settori legati ai Servizi e ovunque venisse applicato il contratto a tempo determinato che in Italia viene associato, ahimè, al lavoro delle donne. Il 30 giugno tornerà la libertà di licenziamento in industria e edilizia, dal 31 ottobre questa libertà, (o libero arbitrio?) sarà estesa a tutti gli altri settori ma l’argomento sembre essere ignorato ai tavoli ministeriali. Nel frattempo molti posti di lavoro sono andati perduti nonostante il divieto dei licenziamenti collettivi, aziende e attività hanno chiuso i battenti per la pandemia, gli ammortizzatori sociali si sono dimostrati del tutto insufficienti. L’Italia presenta oggi un numero di vaccinati tra i piu’ bassi della Ue, le previsioni sulle vaccinazioni giornaliere si sono dimostrate del tutto fallaci, se confrontiamo i dati italiani a quelli inglesi di inizio aprile ci rendiamo conto dei grandi ritardi e dei pericoli connessi al ritorno in zona gialla. Non basta il protagonismo del generale Figliuolo , le strutture adibite a vaccinazione arrivano oggi con quasi 3 mesi di ritardo, le dosi distribuite in Italia sono del tutto insufficienti, il numero dei contagi e dei morti è ancora cosi’ elevato da rendere impossibile il ritorno della scuola in presenza sei giorni alla settimana. Il Governo Draghi sta cercando l’ennesimo compromesso al ribasso, da una parte cerca accordi con le parti sociali ma dall’altra subisce le pressioni delle associazioni datoriali per la riapertura delle attività produttive. La questione non puo’ ridursi nella contrapposizione tra favorevoli e contrari alla riapertura, è un dibattito fuorviante che lascia fuori le questioni dirimenti ossia comprendere le ragioni per le quali l’Italia abbia meno vaccinati di tanti altri paesi europei, perchè il contratto di riferimento nel mondo del lavoro è quello a tempo determinato senza dimenticare il silenzio preoccupante sul piano italiano destinato ad accogliere i soldi del Recovery. E proprio i piani del Recovery saranno decisivi non solo per sorti dell’attuale Governo ma per le forze sociali, se prevarranno logiche infrastrutturali e imprenditoriali di vecchio stampa il nostro futuro potrebbe rivelarsi sempre piu’ precario e incerto

http://m.controlacrisi.org/notizia/Lavoro/2021/4/25/53986-la-pandemia-ha-messo-definitivamente-a-nudo-la-grande/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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