Παράδοξος (leggi: “Paradoxos“), il paradosso. Letteralmente, scomponendo l’antico termine greco, significa: “contro-opinione“, un concetto che esprime l’esatto opposto della comune vulgata e che, per diventare quello che conosciamo noi, quindi qualcosa di “paradossale“, deve generare stupore e sorpresa, marcando e sottolineando un fatto che pare impossibile si possa realizzare.

Se non altro, la polemica scatenata dall’editoriale di Marcello Sorgi (su “La Stampa” di ieri), serve a riflettere etimologicamente, oltre che politicamente. Un po’ di cultura dell’origine delle parole non può farci che del bene. Ma torniamo all’infelice ipotesi (“del terzo tipo“, la definisce il giornalista) per cui se dovesse cadere il governo Draghi si aprirebbe anche un probabile scenario ad un governo militare. Sì, proprio così, tra le ipotesi paradossali un governo che riecheggia i tempi più bui della nostra storia e di quella di tanti paesi del globo.

Scrive Sorgi: «…se fosse costretto a dimettersi [Draghi, ndr.] (ma va ripetuto: è una ipotesi del terzo tipo, il periodo ipotetico dell’impossibilità), Mattarella lo rinvierebbe immediatamente alle Camere, mettendo i partiti davanti alle loro responsabilità. A quel punto la confusione a cui si assiste in questi giorni cesserebbe tutt’insieme. Ma metti anche che, in un intento suicida, gli stessi responsabili delle dimissioni insistessero per mandare a casa il banchiere, giocandosi la fiducia dell’Europa e i miliardi di aiuti di cui sopra, al Presidente della Repubblica non resterebbe che mettere su un governo elettorale, forse perfino militare, come è accaduto con il generale Figliuolo per le vaccinazioni. A mali estremi, estremi rimedi. Anche se non è affatto detto che ci si arriverà».

Facciamo come a scuola, analizziamo il periodo: non c’è dubbio che Sorgi ipotizzi molto latamente che si possa realizzare lo scenario di una crisi del governo Draghi: peraltro, già oggi la questione pare non porsi più, visto che il Consiglio dei Ministri ha raggiunto l’intesa sulla riforma della giustizia, con anche l’assenso dei Cinquestelle.

Ma poi il periodo evolve quando parla delle scelte che potrebbe fare il Colle, qualora fallisse il tentativo di rinvio alle Camere. Sorgi vede due scenari: governo elettorale, governo militare. E l’ultima frase è da Sfinge o, meglio ancora, da Sibilla Cumana. Dante, nel XXIII del “Paradiso” ne scriveva come della disvelatrice di portentosi misteri:

«Così la neve al sol si disigilla,
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla».

Persino la divinatrice sibillina alla fine parlava in qualche modo chiaro. Senza poi doversi giustificare con periodi ipotetici del terzo tipo, paradossi che vengono in soccorso dopo che la rete inizia il gioco al massacro, la gogna da un lato e la critica invece ragionata dall’altro. Le parole di Sorgi diventano un “caso“, perché è proprio il finale a renderle maggiormente chiare, seppure interpretabili, e per questo più degne dell’arte divinatoria che di un editoriale di un grande quotidiano nazionale. Quella frase: «A mali estremi, estremi rimedi» può essere riferita al paradosso sorgiano; oppure può essere invece una sentenza dell’autore stesso, un commento proprio, una convinzione sinceramente espressa.

Se proprio non c’è altro da fare, così come è avvenuto per la gestione commissariale sull’emergenza Covid, altrettanto può avvenire per Palazzo Chigi: se la politica è così logora, disperatamente inefficace e impaludata in discussioni tutte tese a mantenere all’Italia i soldi europei tramite la dimostrazione del saper fare le riforme (con tanta buona pace della povera giustizia e del diritto…), allora il ricorso ai militari diventa l’ultima “risorsa” spendibile.

Bisognerebbe sempre essere molto cauti nel formulare quelli che si chiede poi vengano considerati dei paradossi, nonostante siano apparsi come una lucida (e legittima) opinione di un autore, di un commentatore che ha un certo ascendente su numerosi lettori e viene ascoltato spesso in televisione. Il paradosso, ammesso appunto che sia tale, prescindendo dall’intenzione primigenia o dalla considerazione successiva dell’autore stesso, è un esercizio letterario sottilissimo, un bisturi delicato e, proprio per questo, tagliente come la punta di un diamante.

Anche solo ipotizzare un governo militare, fa scorrere davvero un brivido lungo la schiena: davvero questo nostro Paese, nella situazione in cui si trova, immerso nella litigiosità quotidiana di una maggioranza che contiene tutto e il suo contrario, dove una riforma della giustizia risulta più paradossale del paradosso di Sorgi, mettendo d’accordo pentastellati e berlusconiani, democratici e renziani, può permettersi il lusso di preconizzare un ricorso ai militari per gestire il potere esecutivo?

I due termini vicini, militari ed esecutivo, riecheggiano la formula della dittatura argentina di Videla che sentenziava così il “trasferimento” dei prigionieri dalle improvvisate carceri (vedere a proposito il film “Garage Olimpo” di Bechis) al gelo dell’oceano: gli oppositori del regime finivano per essere dei “desaparecidos“.

Il militarismo al potere non è sinonimo di democrazia: Grecia, Spagna, Cile. Gli esempi, purtroppo, sono tanti: nazionalismi e sovranismi moderni carezzano vecchi regimi repressivi, mascherando le loro scelte politiche con l’”eccezionalità dei tempi“. Tempi speciali, leggi speciali. Il salto nel buio repressivo è un attimo. E si perde la democrazia, se non per sempre, almeno per molto tempo. Altro che “dittatura sanitaria“. Le affermazioni di certi giornalisti fanno venire i brividi e sobbalzare quasi più delle scempiaggini dei “no vax

Nulla di tutto questo, per ora: dal campo dei paradossi è necessario transitare in quello della similitudini per generare i necessari anticorpi che ci preservino dai pericoli di involuzione autoritaria. Le assonanze politiche, antisociali e incivili che possono generarsi sono innumerevoli, nel momento in cui si sente ipotizzare, anche per assurdo (concediamolo a qualunque autore, scrittore e giornalista) che se i mali sono estremi, allora i rimedi devono essere eguali. Quindi, perché non mettere tra le possibilità anche il governo militare italiano?

La cautela nell’informare e nell’esprimere opinioni, ma soprattutto il rispetto della democrazia repubblicana e della Costituzione cui tutti siamo chiamati ad essere custodi fedeli, dovrebbero essere anticorpi sufficienti ad evitare di pensare che l’Italia possa essere governata dai militari piuttosto che dai civili. La preservazione della Repubblica è affidata ai militari soltanto con una funzione di difesa da minacce esterne, nemmeno di offesa verso altri popoli. Nemmeno ai tempi della “Strategia della tensione“, dei misteri d’Italia (si fa per dire…) come il “golpe Borghese” o altri tentativi di sovvertire la Repubblica, si scriveva sui grandi giornali nazionali di involuzioni militariste al governo del Paese.

Se paradosso vuole essere definibile, se paradosso è stato, si è trattato di un brutto colpo di sole giornalistico. Un governo militare è inconcepibile. Letteralmente. Non deve essere preso in considerazione nemmeno per assurdo, nemmeno se mali estremi esigono rimedi estremi. Qualunque soluzione deve sempre e soltanto essere affidata al civismo, alla delega popolare mediante il parlamento, fondando le qualità e i poteri del governo su questa derivazione naturale con la supervisione della Presidenza della Repubblica. Così come la Costituzione vuole, proprio per far giocare i poteri fra loro in un equilibrio di equipollenza che impedisca sovrapposizioni o limitazioni improprie che menomerebbero alla radice il regime democratico.

Paradosso o non paradosso, il governo dei militari è una vera e propria bestemmia per la religione civile del nostro Paese: quell’antifascismo allignato nella Carta del 1948, unendo i valori del repubblicanesimo mazziniano a quelli della tradizione socialista, cattolica e liberale, ha permesso la preservazione della democrazia per tanti decenni, pur tra mille imperfezioni, trappole fatte giocare per tentare di destabilizzare la ricostruzione italiana del dopoguerra e il consolidamento di una vera pluralità di rapporti che, per vent’anni, il fascismo aveva fatto progressivamente dimenticare a larga parte della popolazione.

L’indignazione provocata dallo scritto di Sorgi è l’ulteriore, pregevole prova che la potenza della Costituzione non si è esaurita, perché porta con sé valori così alti da essere percepiti come imprescindibili, non eludibili, non riformabili. O si difende la Costituzione, con tutti i diritti e doveri che comporta per i cittadini, oppure se la si relativizza, se si inizia ad ipotizzare – anche paradossalmente – una alternativa al governo civile, si crea un vulnus, si dà adito ad altri paradossi. E non si può vivere nell’assurdo, tenendolo come scorta, come riserva del reale.

Rileggiamo Montale, imparando a comportarci escludendo ciò che non siamo, ciò che non vogliamo e fondando su questo ciò che veramente siamo: percependoci nel non essere qualcuno o qualcosa, se proprio siamo incerti su come ci viviamo in un dato momento e contesto tanto personale quanto sociale. Ecco: noi non siamo militari e non vogliamo un governo militare. Senza se, senza ma, senza paradossi di nessun tipo.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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