Jair Bolsonaro e il suo modello Augusto Pinochet.


Francesco Cecchini


La crisi della democrazia brasiliana continua. Lo scorso 7 settembre giornata dell Indipendenza del Brasile, vi sono state manifestazioni a Brasilia e San Paolo durante le quali il presidente Jair Bolsonaro ha attaccato le istituzioni democratiche del Brasile, affermando: O il leader di questo ramo del potere tiene sotto controllo questo ministro, o questo ramo subirà ciò che nessuno di noi vuole.
Da tempo Jair Bolsonaro si confronta aspramente con il parlamento e la magistratura con lo scopo di riscrivere le regole elettorali in vista delle elezioni del 2022 e archiviare le indagini a suo carico e dei suoi alleati politici.
Molti camionisti, obbedendo ai loro capi, grandi imprenditori agricoli, hanno chiuso strade in almeno sei province con i loro enormi veicoli e, a Brasilia, hanno cercato di avvicinarsi, con un atteggiamento chiaramente aggressivo, sia al Congresso che soprattutto alla Corte Suprema Federale.
Come previsto, la reazione dei politici è variata dalle richieste di incriminazione, ai alcuni commenti di alleati di Bolsonaro, che hanno riconosciuto due cose. Il primo, che nelle manifestazioni c’era molta meno gente del previsto. E il secondo, che l’ estrema destra ha allungato ancora di più una corda che sta per spezzarsi.
Significative le dichiarazioni di Luiz Fux. La reazione più dura e vigorosa è arrivata proprio da Luiz Fux, che è stato chiaro nelle sue critiche. Ha denunciato che le minacce del presidente ai tribunali costituiscono un atto “non democratico, illegale, intollerabile”. Ha affermato che non obbedire alle determinazioni di un membro della Corte Suprema costituisce un “reato di responsabilità” – e in tono energico ha assicurato che “nessuno chiuderà” l’istituzione da lui presieduta. In breve, ha classificato quello che è successo martedì come quello che in realtà era: puro colpo di stato. Ha menzionato la tragica situazione vissuta dal Brasile, con inflazione, disoccupazione, mortalità causata dall’inerzia del governo di fronte alla pandemia, carenza d’acqua e la conseguente minaccia di un’interruzione di corrente, per far capire che non c’è governo. E ha concluso dicendo che, in caso di reato di responsabilità, cioè se Bolsonaro disubbidi effettivamente a qualsiasi decisione dei membri della Corte suprema, spetterà alla Camera dei deputati portare avanti il ​​processo.
Comunque il popolo brasiliano non è stato alla finestra a guardare. Lo scorso 7 settembre, a manifestazioni contro il governo del presidente brasiliano Jair Bolsonaro si sono unite al tradizionale Grido delle Escluse e degli Esclusi, che da 27 anni fa da contrappunto popolare alle celebrazioni ufficiali del Giorno dell’ Indipendenza. In questa edizione il motto era “La vita al primo posto”. Più di 300.000 persone hanno protestato in circa 200 comuni a livello nazionale e internazionale, secondo le stime della Campagna nazionale “Fuori Bolsonaro”, un’associazione di oltre 80 entità che ha indetto manifestazioni dal maggio di quest’anno. Josué Rocha, coordinatore della campagna ha affermato: “Oggi le strade sono state segnate tra coloro che difendono la democrazia e il cibo nel piatto e coloro che difendono la dittatura e il fucile. Il nostro grido continuerà in difesa del popolo”. In decine di città le proteste sono state accompagnate da azioni di solidarietà, con la raccolta e la donazione di tonnellate di cibo alla popolazione più colpita dalla fame. Oltre a chiedere soluzioni immediate a uno dei peggiori momenti della crisi economica e sociale, i manifestanti hanno ripudiato le minacce di colpo di stato di Bolsonaro, che ha promosso un intervento militare contro il potere giudiziario e legislativo. Rocha ha aggiunto: “Senza dubbio, abbiamo avuto il più grande Grido delle Escluse e degli Esclusi in questi 27 anni di esistenza, ma la cosa più importante era compiere questo atto di fronte a ogni discorso fascista e ogni racconto di paura costruito dai golpisti”. In decine di città le proteste sono state accompagnate da azioni di solidarietà, con la raccolta e la donazione di tonnellate di cibo alla popolazione più colpita dalla fame. Oltre a chiedere soluzioni immediate a uno dei peggiori momenti della crisi economica e sociale, i manifestanti hanno ripudiato le minacce di colpo di stato di Bolsonaro, che ha promosso un intervento militare contro il potere giudiziario e legislativo.
Va detto, inoltre che scondo diversi sondaggi la percentuale di cittadini che disapprova loperato del governo è pari al 63% della popolazione e lo sfidante Lula da Silva è costantemente in testa a 7 o 8 punti di distanza dal presidente nelle intenzioni di voto degli elettori. Alcuni sondaggisti vanno oltre e avanzano lipotesi che, se continua di questo passo, Bolsonaro non riuscirà neanche ad arrivare al ballottaggio, perdendo rovinosamente al primo turno

Fuori Bolsonaro!

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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