(Pochi) vincitori e (tanti) vinti delle Quirinarie 2022. Ma la realtà sta da un’altra parte di questa mediocre sceneggiata

Dopo un mese di convulsioni e una sequela di fallimenti fragorosi della strategia salviniana, sotto la pressione determinante dell’imminente e più appassionante Festival di Sanremo, i Grandi Elettori hanno alfine deciso … di lasciare tutto come prima, Mattarella riluttante ma poi non troppo al Quirinale, Draghi logorato e scontento a Palazzo Chigi.

Tutto come prima, allora?

Non esattamente.

Innanzitutto, il ceto politico italiano ha dato una pessima prova di sé – di stupidità pazzesca, non di ferocia criminale. Il che è quasi peggio. Per fortuna che nel Paese c’è di meglio, abbiano visto operai e studenti in lotta per la propria vita e i propri diritti. Il futuro e la realtà ci sono ancora.

Poi abbiano assistito al crollo del centro-destra come formazione omogenea, come corrispondenza di un’operazione politica ai sondaggi che tuttora lo danno vincente. Al momento non c’è un Trump e Berlusconi è l’ombra di se stesso, per il combinato disposto del logoramento umano e sanitario e della fine del suo tempo. In assenza di una sinistra riformista in vita, questa crisi politica del centro-destra è l’unica possibilità di mantenere una situazione parlamentare aperta (cioè stagnante) nel 2023.

Salvini è uscito distrutto dai suoi errori, trascinandosi dietro tutti i suoi alleati (tranne Meloni) e candidati sponsorizzati. Particolarmente grave è stato l’aver bruciato la consenziente e altrettanto insana presidente del Senato. Alla fine, dopo la squallida farsa di “unadonna”, si è arreso facendo finta di essere d’accordo con la rielezione di Mattarella, candidato di centrosinistra la prima e la seconda volta – che abbia perfino cercato di intestarselo è stato il tocco finale. Il ”Presidente di area di centrodestra” è sparito. Avrei molti dubbi che la Lega gli affidi lo stesso ruolo di campaigner che ha avuto in passato. E ancora di più che possa mantenere, stando in/sostenendo un governo precario, un vantaggio sull’astuta e pugnace Meloni – che in questa elezione ha fatto errori minimi e salvaguardato il proprio candidato di bandiera.

Conte si è mostrato del tutto inaffidabile e non si vede come possa contendere al molto più furbo Di Maio la direzione effettiva dei 5Stelle, comunque avviati verso la scissione o disgregazione.

Parlare di una vittoria di Letta sembra azzardato. È rimasto fermo a girarsi il cacciavite fra le mani, quindi ha fatto meno errori chiassosi di altri, ma a condurre il gioco è stato l’odiato (e tutt’altro che sciocco) Renzi, con le sue quinte colonne all’interno del Pd. Inoltre il perno dell’alleanza larga Pd-M5S, cioè Conte, è venuto meno, a un passo dal colludere con Salvini in varie occasioni, improponibile in futuro. E con Di Maio sarà più dura. La soluzione Mattarella, per quanto possa intestarsela meglio di Salvini, non è quella sua originaria (originariamente puntava su Draghi al Quirinale) e all’interno del Pd le correnti sono più forti che mai.

Il grande vincitore tattico, Renzi, resta con un partito del 2% e tutta la sua forza contrattuale dura fino al 2023: in seguito dovrà riposizionarsi. Non si vede proprio dove.

Che Draghi esca rafforzato in questo residuo e tormentatissimo anno elettorale e di probabile crisi economica non mi pare proprio. Il governo era in stallo da almeno due mesi e la spaccatura, appena rattoppata, della sua maggioranza non annuncia tempi migliori, ma solo rancori e corse al rialzo sul Pnrr.

La realtà sta da un’altra parte di questa mediocre sceneggiata (usiamo eufemismi) e schizzerà fuori a breve, più di quanto già non si annunci.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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