Manifestazione a Dajla contro la corruzione


Francesco Cecchini


La nota di Cristina Martínez Benítez de Lugo è stata pubblicata da Ecsahaui e tradotta da Francesco Cecchini per Ancora Fischia il Vento.

Il link con la nota originale è il seguente:
https://www.ecsaharaui.com/2022/02/sahara-occidental-dajla-ocupada-se.html


Ecsaharaui (info@ecsaharaui.com) pubblica importante informazione Sahara Occidentale e la lotta del popolo saharawi.

Mappa di Dajla o Dakhla. E’ una città situata in Sahara Occidentale, sotto il controllo del Marocco. È il capoluogo della regione Dakhla-Oued Ed Dahab.


Dopo dodici giorni di proteste, il numero dei manifestanti è aumentato. Nell’ultima manifestazione, il 19 febbraio, si sono radunate più di 1.000 persone.
L’ assassinio di due commercianti , uno saharawi e l’ altro marocchino, in circostanze tenute nascoste dalla polizia marocchina, hanno esaurito la pazienza dei saharawi della città di Dajla, saturata dalla corruzione prevalente nella zona, nel Sahara Occidentale occupato, che ha vissuto 12 giorni di massicce proteste da parte della popolazione Saharawi, .
Secondo fonti familiari, lunedì 7 febbraio, Lahbib Aghrichi, un commerciante saharawi a Dajla, è scomparso. Lahbib ha una moglie, tre figlie, un figlio.
Alle 5 del pomeriggio appare la sua macchina, vuota, a circa due chilometri dalla città, sulla spiaggia, all’ altezza del faro. Chiamano la polizia che prende le impronte digitali e prendono una telecamera attaccata all’ auto che permette loro di vedere cosa sta succedendo all’ interno e all’ esterno del veicolo. Il corpo non appare. La telecamera mostra che l’ auto non è guidata dal suo proprietario, Lahbib, ma da un’ altra persona non identificata. E di fronte si vede l’ auto di un amico marocchino di Lahbib con il quale ha condiviso degli affari.
La famiglia va a trovare Youssef El Attaoui, che è il nome del marocchino, e gli chiede da quando non lo vede: 5 giorni. Ciò è impossibile se la telecamera ha registrato la sua auto il giorno prima accanto a quella di Lahbib. E chiama la polizia. La polizia va a cercarlo al lavoro alle 3 del pomeriggio, lo interroga e due ore dopo lo rilascia. Con stupore della famiglia, la polizia gli assicura che è sotto sorveglianza, che tornerà domani. Il giorno successivo Youssef viene trovato morto sulla spiaggia. La polizia dice che si è suicidato. Non è vero. Alcuni pescatori avevano scoperto il corpo e ne avevano scattato delle foto che avevano diffuso. Aveva segni di tortura. Il suo pene era stato tagliato. I Saharawi iniziano a manifestare davanti al negozio di Lahbib e le manifestazioni sono in aumento. Dov’è Lahbib? Amiamo nostro figlio”. Con l’aiuto delle carte SIM, i Saharawi individuano dove si trova Lahbib nel quartiere di Nahda, ma la polizia rimane imperterrita. Il 15, la polizia dice di aver trovato una borsa con resti umani bruciati, solo ossa e denti. Un test del DNA conferma che è Lahbib, secondo la polizia.
La famiglia vuole sapere chi è andato alla stazione di polizia per far rilasciare Youssouf, che il giorno successivo è morto. E ritiene molto casuale che sia stata la polizia a trovare il corpo di suo figlio, in un sacco, dopo una settimana di manifestazioni. Vuole sapere chi guidava l’ auto di Lehbib. Chiede perché hanno detto che Youssouf si era suicidato. Perché la polizia incolpa Youssouf per l’ omicidio di Lehbib?
In un discorso ai manifestanti, Rachid Esghayer – uno degli ex prigionieri del gruppo Salé 7 – fa riferimento alla richiesta del governatore di fermare le manifestazioni e alla promessa di un’ indagine di altissimo livello, che raggiungerà alle sue ultime conseguenze. E Rachid aggiunge che i Saharawi non ci credono. L’ attivista per l’ autodeterminazione segnala il pericolo di sterminio in cui vivono i Saharawi, denuncia gli abusi sessuali della polizia nei confronti delle donne Saharawi che detengono, respinge i coloni che hanno trasformato i Saharawi in stranieri nel proprio Paese e denuncia la corruzione sulla loro terra, ben orchestrata dal Marocco.
Un fratello del defunto ha detto in una delle manifestazioni: Madre, ti ricordi quello che ti ha detto la polizia, che stavano per arrestare i colpevoli. Venerdì scorso sono andato con amici in cerca di prove. Ho visto la polizia in un posto dove stavano bruciando qualcosa… Ho cercato di scoprire cosa stesse succedendo, ma me l’hanno impedito. E ora mi rendo conto che quello che stavano bruciando era il corpo di mio fratello. Le autorità di occupazione vogliono occuparsi dell’ autopsia e restituire il corpo alla famiglia entro 24 ore. Non possiamo ricevere il corpo per l’ archiviazione della questione. E possono anche darci ossa di capra o chissà. Dobbiamo continuare a manifestare affinché i responsabili siano assicurati alla giustizia.
I resti trovati corrispondono a Lahbib? A questo punto la famiglia non si fida della polizia e vuole un’ autopsia indipendente in Europa (Isole Canarie). Quello stesso test del DNA con un capello di sua madre, lo vogliono da un organismo indipendente. A Dakhla, le manifestazioni sono continuate con un grande afflusso. Queste morti crudeli, in cui la polizia di occupazione sembra avere tanto a che fare, sono state uno shock per denunciare la corruzione delle mafie che regna nella zona. Gli slogan che cantano sono: Uniti, uniti, uniti, il popolo Saharawi unito. “Riposa in pace, continueremo la battaglia”. Il Sahara non può essere umiliato. Guarda Gdeim Izik.” Venerdì 18 il governatore veniva cambiato, denunciato dalla famiglia nelle manifestazioni. È interessante notare che le manifestazioni sono anche per la vittima marocchina: contato sulle dita della mano coloro che sono andati al suo funerale. I manifestanti Saharawi hanno invitato la famiglia a unirsi a loro, senza successo. I marocchini sono terrorizzati. E i Saharawi lo sanno. Ecco perché nella rivendicazione Saharawi compare un marocchino.
Dopo dodici giorni di proteste, il numero dei manifestanti è aumentato. Nell’ultima manifestazione, il 19 febbraio, si sono radunate più di 1.000 persone. Il 20 sono arrivati ​​rinforzi da El Ayoun e Smara e le forze di occupazione hanno circondato la città impedendo qualsiasi movimento di protesta. Questo crimine è stato condannato dal Fronte Polisario, che deplora il silenzio del Segretario Generale dell’Onu e del Consiglio di Sicurezza perché siamo di fronte a una continua violazione del diritto internazionale umanitario. Il suo rappresentante all’Onu, Sidi Omar, ricorda la responsabilità della comunità internazionale nel processo di decolonizzazione del Sahara occidentale e ciò include la garanzia dell'”integrità fisica e morale” della popolazione civile saharawi. Per questo chiede che le Nazioni Unite istituiscano un meccanismo indipendente e permanente per la protezione e l’informazione dei diritti umani nel Sahara occidentale invitando con urgenza a porre fine al terrore e alle rappresaglie. Chiede inoltre il rilascio di tutti i prigionieri politici. Altre organizzazioni hanno mostrato solidarietà. L’ISACOM (Istanza Saharawi contro l’occupazione marocchina) ha chiesto la formazione di un comitato investigativo internazionale indipendente per chiarire quanto accaduto, lamentando il silenzio dell’ ONU e della Croce Rossa Internazionale sulla realtà dei diritti umani nelle città occupate, e ha chiesto l’istituzione di un meccanismo internazionale indipendente per proteggere i civili Saharawi nei territori occupati. Condanna del crimine anche la CONASADH (Commissione Nazionale Saharawi per i Diritti Umani). Il CODESA (Collettivo dei Difensori dei Diritti Umani Saharawi) a sua volta chiede un’ indagine da parte dell’ONU e della Croce Rossa Internazionale, e ritiene responsabili dell’accaduto le forze di occupazione marocchine.

Donne saharawi a Dajla

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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