Ventiquattr’ore dopo l’attacco della Russia all’Ucraina poche sono le certezze sull’andamento della guerra, molte sono le analisi sulle vere ragioni del conflitto e infiniti sembrano i dubbi sulle reazioni a catena che tutto questo andrà scatenando in Europa e nel mondo intero.

Quelli che potevano sembrare meri pretesti a sostegno della bellicosità russa, come la riunificazione a Mosca di tutti i russofoni (e russofili) presenti in altre nazioni limitrofe, finiscono per avere molto più peso nelle cesto di ragioni che hanno condotto all’invasione rispetto ad una serie di considerazioni cui si tenderebbe a dare una maggiore prevalenza, perché essenzialmente di natura economica, e che invece recitano il loro ruolo ma non molto di più.

Esattamente come i rappresentanti della confindustria russa che interroga il presidente sulle reazioni occidentali per ora espresse tramite sanzioni che paiono molto poco destabilizzanti e per niente deterrenti nell’incedere della guerra.

Le minacce verbali della NATO, nei comizi quasi quotidiani di Stoltenberg dei giorni scorsi, hanno certamente finito col prendersi una parte di una scena già abbastanza infiammata, gettando benzina sul fuoco e non intimorendo affatto il vecchi orso russo. Ma le responsabilità dell’Alleanza atlantica non si limitano ad un solleticamento sui temi dell’allargamento ad Est del potere militare imperialista americano ed europeo.

Sono decenni che il sodalizio militare, vecchio arnese “difensivo” (le virgolette sono d’obbligo) eredità di una Guerra fredda consegnata alla memoria delle giovani generazioni, procede in una estensione del proprio territorio, del proprio spazio aereo, modificando, più o meno direttamente, i confini geopolitici degli equilibri mondiali. La crisi ucraina di queste ore non è un lampo di megalomania putiniana, un lampo di ipernazionalismo revanchista o un bisogno impellente di difendere gli interessi economici degli oligarchi che stanno attorno al presidente.

Conosciamo la politica estera di Putin da almeno trent’anni: dalla guerra in Cecenia ai conflitti in Georgia; dallo stesso conflitto in Donbass, vecchio di quasi due lustri, alla guerra in Crimea, strappata all’Ucraina nel 2014, anche in quel caso, con il supporto di ragioni storiche, accusando vecchi leader bolscevichi di aver commesso errori imperdonabili per un moderno patriota populista e sovranista russo.

Oggi Biden, Stoltenberg, il Pentagono, l’Unione Europea e le cancellerie governative di quasi tutto il Vecchio Continente vorrebbero far credere al mondo che le democrazie sono in pericolo per una sorta di impazzimento della potenza russa, per un sogno di espansionismo che ha tutte le responsabilità del caso. La ricerca di una verginità politica da parte dell’Occidente è imbarazzante due e più volte: per l’apparente ingenuità che ci vorrebbe far credere di aver avuto nel rapportarsi con Putin e, poi, per la presunzione nel voler affermare che la Russia sta praticamente facendo tutto da sola.

Ad una azione corrisponde sempre una reazione. La NATO, quindi gli Stati Uniti e i paesi europei confinanti con Mosca, hanno fino a ventiquattro ore fa, fino allo scoppio della guerra, preteso di arrivare ai confini del gigante russo con una alleanza militare che, dal momento della fine del blocco sovietico e del Patto di Varsavia, non aveva ragione di esistere eppure si è fatta gendarme del mondo, ha intrapreso guerre di ogni tipo dai Balcani al Medio Oriente, dai conflitti africani a quelli d’oltreoceano.

Facendo tutto questo, cambiando gli equilibri del dopo-Guerra fredda, avevano la pretesa che il resto del mondo stesse a guardare, come se gli unici interessi economici, politici e militari legittimi fossero quelli della Repubblica stellata.

Ma la narrazione di queste ore deve supportare questa tesi, perché altrimenti si dovrebbe raccontare di un Occidente che ha vellicato le aspirazioni da superpotenza tanto della Russia quanto della Cina ritenendosi così moralmente e militarmente superiore da riproporre la propria etica, la propria visione delle società e dell’organizzazione umana come unica regola universale.

Se Putin viene fatto somigliare ad un moderno Hitler che aggredisce l’Ucraina indifesa, non meno criminale è il cinico gioco politico imperialista degli Stati Uniti che hanno tirato troppo la corda facendola, alla fine, spezzare.

Le responsabilità della guerra sono materialmente di Putin e del suo governo, ma i mandanti immorali, incivili e disumani sono da ricercare anche ad occidente, nelle democrazie che si autocelebrano come modelli di perfezione nella coniugazione di un binomio tra mercato e politica, tra interessi privati e pubblici, incapaci di tanta aberrante crudeltà come quella mostrata dal presidente russo con grande stupore di Biden e dei suoi alleati.

Fingere di non avere avuto un ruolo nel favorire le condizioni di maturazione del conflitto esploso in queste ore è solo propaganda politica o, per meglio dire, propaganda bellica: perché la guerra ormai è sul campo e i punti di vista divengono tutte verità, annullandosi vicendevolmente. Saranno gli storici a tradurre le cronache in qualcosa di molto vicino all’oggettività che vorremmo oggi avere sotto gli occhi.

Al momento si fronteggiano due grandi poteri, due strategie geopolitiche differenti e molti tatticismi che puntano a supportarle. Tra questi vi è il racconto di Putin da un lato e quello di Biden e Stoltenberg dall’altro. La democrazia c’entra ben poco in questo ginepraio, mentre le colonne di fumo si levano dagli aeroporti bombardati, mentre i civili escono dalle case sanguinanti e la capitale Kiev aspetta il primo attacco, quello che, se non si risolverà in fretta, darà seguito ad un lungo assedio.

Se abbiamo ancora un po’ di affezione per i nostri valori costituzionali, dobbiamo essere consapevoli che la parte in cui ci troviamo, quella americana e della NATO, non è meno colpevole per questo conflitto di quanto lo sia chi lo ha realizzato plasticamente, con mezzi e uomini varcando i confini, violando trattati e convenzioni che conservano un valore solo se universalmente riconosciuti. Altrimenti divengono carta straccia, proprio come gli accordi di Minsk, mai veramente rispettati da entrambe le parti: dai paramilitari neofascisti (e neonazisti) ucraini schierati nel Donbass e dalle milizie indipendentiste delle attuali due repubbliche riconosciute da Putin. Nonché da un cyberspionaggio che ha giocato al gatto col topo in otto anni di guerra.

Una guerra di cui si era sempre sentito parlare pochissimo, perché non abbastanza destabilizzante, non sufficientemente minacciosa per gli interessi dell’Europa e dell’America. Adesso che il gigante russo si è svegliato dalla sua finta letargia, tutti ne scoprono improvvisamente la pericolosità, la minaccia per la stabilità mondiale, per i valori sacri delle democrazia importate ed esportate o nate grazie a rivoluzioni sostenute per conquistarsi sempre maggiori spazi nel continente scoperto da Colombo nel 1492.

Il dramma è che non sanno nemmeno mentire bene e sembrare credibili. Per lo meno Putin ci mette un pizzico di verità nella sua falsificazione dei fatti, nella creazione dei pretesti che sono serviti e serviranno agli attacchi: sostiene di voler difendere i russi del Donbass e di voler liberare l’Ucraina dai neonazisti e dal regime criminale che sta al governo a Kiev.

Ora, in tutta evidenza, non sventola la svastica sulla Verchovna Rada, questo obiettivamente no. Ma di bandiere del Terzo Reich se ne sono viste parecchie tra le milizie che fronteggiavano gli indipendentisti a Donetsk e Lugansk… Così come oggi è possibile vedere quelle rosse e nere di formazioni apertamente neonazi-onaliste lungo i confini e per le principali strade del paese.

Per questo è impossibile schierarsi, perché dall’una e dall’altra parte c’è chi parteggia per una nuova stagione imperialista a scapito dei popoli di un intero continente e con riflessi di non poco conto sull’intero pianeta. Non si può scegliere tra la voglia espansionista atlantica degli USA e quella della Russia putiniana. Il fatto che i primi si fregino impropriamente del titolo di “democrazia liberale” non fa di loro dei garanti proprio del liberalismo (sulle cui virtù taumaturgico-sociali vi sarebbe molto da dire…) e tanto meno della originalità della democrazia stessa.

Al seguito del racconto fattoci dalla Casa Bianca e dalla NATO sono la maggior parte dei mass media e, nemmeno a dirlo e a scriverlo, quasi tutte le forze politiche dei vari paesi europei: il pacifismo dilagante di queste ore, trasversale, da clima di fratellanza universale contro – come ha detto Biden – chi «sta dalla parte sbagliata della Storia», diventa un vaghissimo ricordo se a fare la guerra sono proprio gli Stati Uniti, anche se bombardano, devastano interi territori e inceneriscono letteralmente i civili con le bombe al fosforo bianco, con armi chimiche di ogni tipo, di cui hanno accusato opportunamente il governo o il leader dello Stato che erano pronti a “liberare”…

Non è facile conservare una autonomia di giudizio, una capacità di critica nel mezzo delle guerre: viene quasi naturale schierarsi e, se non lo si fa, se si dice che gli aggressori una volta e gli aggrediti un’altra sono, alla fine, corresponsabili dello scoppio di una tragedia come un conflitto bellico, allora si finisce per essere tacciati di fiancheggiamento del tiranno del caso che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti i braci democratici e liberali cittadini di questo mondo.

Purtroppo, anche nel caso della guerra in Ucraina, come ai tempi delle guerre del Golfo, è molto difficile distinguere tra pacifismo a tutto tondo e pacifismo a corrente alternata, a seconda di chi quella pace la vuole, la pretende e la rivendica come un valore che si può portare soltanto mediante la guerra.

Ci sono decine di aforismi per questo, per quietare un po’ le nostre coscienze, per regalarci un tantino di senso di colpa, per aprire per un attimo, soltanto per un attimo, un varco da cui entri un’autocritica che ci riveli le cotraddizioni in cui siamo completamente immersi e da cui se ne esce soltanto accettando di subire l’ostracismo dei contendenti sul campo e dei loro sostenitori più accaniti.

La guerra è della Russia, non c’è dubbio alcuno. Ma l’ipocrisia moralistica, politica, antisociale e incivile è in larghissima parte di fatto e di diritto nel grande Occidente democratico e liberale.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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