Non starò a guardare e permettere ai pazzoidi professori marxisti dell’Università del Texas di avvelenare le menti dei giovani con la Teoria critica della razza”. Così il vice governatore Dan Patrick mentre commentava la risoluzione del Senato accademico dell’università di Austin, capitale del Lone Star State, che auspica l’opposizione a “qualunque tentativo che limiti” il contenuto e il curriculum degli studi universitari.

L’università statale di Austin ha una certa reputazione di essere un’isola liberal in uno Stato considerato conservatore, dominato dal Partito Repubblicano. La risoluzione del Senato accademico dell’ateneo mirava ad alzare la voce contro i recenti movimenti di una ventina di Stati conservatori di limitare la libertà delle scuole di insegnare, specialmente per quanto riguarda la Teoria critica della razza (TCR).

La TCR è un concetto accademico che si rifà agli anni 70 ma che in tempi recenti è divenuto parte del linguaggio comune e specialmente in politica dove è stato semplificato dalla destra come un pericolosissimo spettro. Questa ottica di studiare la storia sostiene che il razzismo può esistere non solo al livello individuale ma forma anche parte integrale del sistema legale e politico. Si scontra con la visione superficiale della destra di una nazione perfetta ma specialmente bianca alla quale Donald Trump aveva promesso di ritornare con il suo slogan MAGA, Make America Great Again (Rifare la Grandezza dell’America). L’esclusione di questa ottica accademica è per la destra la miglior maniera per ritornare “all’età dell’oro americana”, quella degli anni 50. Le scuole possono insegnare dunque che gli schiavi sono esistiti senza però includere un approfondimento dettagliato sulla loro tragica situazione che in un certo senso continua tutt’oggi per i loro discendenti.

Il problema delle ingiustizie però si presenta spesso alla luce del giorno, come ci testimoniano le continue morti per mano di poliziotti che sparano su afroamericani, spesso abusando del loro potere. Se in passato queste venivano solamente riportate a voce degli afro-americani, adesso è facile vederle a causa dei video che spesso vengono diffusi tramite i social media. In passato i poliziotti responsabili di questi abusi venivano scagionati da giurie tipicamente composte da bianchi, soprattutto nel Sud del Paese. Negli ultimi tempi però alcuni casi eclatanti hanno visto poliziotti condannati come nella vicenda di George Floyd. Anche i tre poliziotti presenti all’uccisione di Floyd sono stati condannati per avere violato i diritti civili della vittima negandogli il pronto soccorso. In un altro caso eclatante tre individui sono stati condannati in Georgia per l’uccisione di Ahmaud Arbery l’anno scorso e proprio di questi giorni sono stati condannati persino di omicidio basato sull’odio razziale. La seconda condanna si raggiunge con notevoli difficoltà perché la giuria deve accettare l’evidenza dell’intenzione razziale come motivo per il reato.

La TCR si collega a una rivalutazione della questione razziale non solo responsabile per avere tolto la dignità a migliaia di esseri umani ma anche per spiegare la situazione economica e sociale dei loro discendenti. La teoria critica della razza spiegherebbe almeno in parte queste continue disuguaglianze fra bianchi e afroamericani. Il fatto che gli afro-americani rappresentino solo il 13% della popolazione statunitense ma il 40% di tutti i carcerati dovrebbe fare riflettere.

I bianchi di adesso, che consistono della grande maggioranza dei sostenitori di Trump e della destra in generale, si oppongono a questa rivalutazione critica della storia e della realtà. Per loro il passato americano è semplicemente glorioso e lo vogliono mantenere tale senza preoccuparsi dei diritti dei gruppi minoritari. Gli antenati bianchi responsabili per la creazione del Paese vanno glorificati. Gli eroi bianchi non si toccano, nemmeno i traditori confederati che lottarono contro l’unione del Paese nella sanguinosa Guerra Civile. Le statue degli eroi sudisti rimosse in non poche città americane in tempi recenti vengono osannate dalla destra. Il passato poco glorioso della schiavitù, del voto solo per i bianchi agli inizi del Paese, che escludeva anche le donne, e tanti altri “peccati” dell’America vanno ignorati. Non si insegnano nelle scuole dove potrebbero sconvolgere la sensibilità degli studenti bianchi. Si accettano dunque gli aspetti positivi della storia ma quelli negativi vanno nascosti.

Insegnare la storia americana incorporando la TRC va dunque contrastato. Ecco come si spiega la recente ondata di leggi promulgate in una ventina di Stati americani che proibiscono l’uso di certe teorie educative. In effetti, le legislature repubblicane mirano a nascondere concetti che potrebbero essere divisivi specialmente se potrebbero suggerire l’esistenza del razzismo. Si è arrivati persino a mettere alcuni libri al bando per non “indottrinare” gli studenti con idee “anti-americane”.

Questa censura dell’insegnamento legata alla politica ha forzato la mano a parecchie altre università in diversi Stati oltre a Austin, che hanno alzato la voce per mantenere l’indipendenza degli insegnanti, specialmente nelle scuole primarie e secondarie dove i docenti sono più vulnerabili. Ma anche nelle università pubbliche la politica ci mette del suo poiché le legislature controllano i bilanci degli atenei. Il vice governatore Patrick ha persino parlato di eliminare la “tenure”, i contratti a tempo indeterminato ai docenti per metterli ancora di più in soggezione nel seguire le direttive poco illuminanti dei politici conservatori.

La TRC riflette in grande misura un concetto accademico indispensabile per gli studenti come futuri cittadini e futuri elettori. James Grossman, direttore esecutivo della American Historical Association, ha giustamente sottolineato “l’opportunità degli studenti di imparare la storia americana insegnata con integrità professionale” che esclude influenze politiche. “Nessuno Stato vuole studenti diplomati ignoranti”, ha continuato Grossman. Eccetto quelli che vogliono indottrinare i loro studenti mediante la censura mettendo libri al bando.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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