A conclusione della possibile ma poco probabile ultima udienza della Commissione sugli eventi del 6 gennaio 2021, la vicecapo Liz Cheney ha lodato calorosamente per il loro coraggio le donne che si sono presentate ad offrire testimonianze. La Cheney, parlamentare repubblicana del Wyoming, ha usato parole specialmente incoraggianti per Cassidy Hutchinson, 26 anni, ex assistente di Mark Meadows, l’ex braccio destro di Donald Trump alla Casa Bianca. La Hutchinson ha fatto testimonianze eclatanti che hanno aggiunto colori molto vivi al quadro delle colpe di Trump nell’insurrezione degli assalti al Campidoglio.

La Cheney non ha etichettato la Hutchinson eroina ma altri lo hanno fatto, includendola con altri ex collaboratori dell’ex presidente che hanno “tradito” il loro capo dicendo la verità sui tragici eventi del gennaio 2021. In realtà semplicemente dire la verità dovrebbe essere responsabilità civica ma nel clima politico creato da Trump ci vuole coraggio ad andare contro l’ex presidente. Ne va di mezzo il futuro politico e in non pochi casi la propria incolumità poiché una volta attaccati verbalmente dall’ex presidente spesso comporta minacce da alcuni fedelissimi sostenitori di Trump.

Mike Pence, fedelissimo vice di Trump per quattro anni, è l’esempio più noto di questi individui. Per non avere collaborato a ribaltare l’esito elettorale del 2020, mantenendosi dentro i parametri tradizionali, Pence è stato attaccato ferocemente da Trump nei giorni prima del 6 gennaio e persino poche ore prima della certificazione di Joe Biden a presidente. Con la riunione della certificazione già in corso, Trump inviò un tweet accusando Pence di non avere avuto il coraggio di bloccare la procedura. Subito dopo i rivoltosi cominciarono le loro grida di “impiccare Pence” per il suo “tradimento a Trump”.

Se tanti altri che hanno fatto il loro dovere civico sono stati attaccati ferocemente da Trump, Pence è quello che è arrivato vicinissimo a perdere la sua vita con quella di alcuni membri della sua famiglia. Dalle testimonianze venute a galla durante le indagini della Commissione del 6 gennaio sappiamo che i rivoltosi erano arrivati vicinissimi a Pence nel Campidoglio. Le sue guardie del copro riuscirono con grande difficoltà a salvargli la vita. Il pericolo non era solo vicino per Pence ma anche le sue guardie del corpo riconobbero l’imminente pericolo per se stessi poiché alcuni di loro inviarono messaggi di disperazione ai loro famigliari.

Trump sapeva che le sue insistenti richieste a Pence gli avrebbero potuto causare seri problemi, e persino la morte. Sapeva anche che alcuni dei rivoltosi erano armati ma non era preoccupato dalla loro presenza poiché non “erano lì per fare del male” a lui. A chi potrebbero fare del male? Tutti i poliziotti che stavano difendendo la linea per impedire ai rivoltosi incitati da Trump di entrare nel Campidoglio e raggiungere i parlamentari e senatori le cui vite sarebbero state messe in pericolo. Che a Trump importasse poco della vita del suo fedelissimo vice presidente ci è stato confermato. Alla Casa Bianca, dopo avere sentito che i riottosi gridavano “Impicchiamo Pence”, Trump avrebbe detto che forse lo meritava e non fece nulla per salvarlo.

Pence sapeva che non poteva avere completa fiducia conoscendo le macchinazioni di Trump e mentre era nascosto dopo l’interruzione della certificazione, alcuni membri delle sue guardie del corpo gli avevano indicato di entrare in una limousine per portarlo al sicuro. Pence si sarebbe rifiutato sospettando che lo avrebbero portato lontano dal Campidoglio per impedirgli di completare il suo lavoro di certificare l’esito dell’elezione presidenziale e completare i suoi doveri costituzionali del trasferimento pacifico da un’amministrazione a un’altra.

Resistendo alle pressioni di Trump anche a rischio della sua vita dovrebbe qualificare Pence per l’etichetta di eroe. Pence la merita ma solo in piccolissima parte la quale continua sempre a diminuire. Dopo gli eventi del 6 gennaio Trump e Pence hanno fatto la pace anche se hanno preso strade diverse. A volte, però, quasi quasi si incrociano. Recentemente i due hanno fatto discorsi a Washington D.C. in due luoghi diversi a solo un miglio di distanza. L’ex vicepresidente ha parlato al gruppo Young America Foundation, asserendo che il 6 gennaio 2021 “è stato un giorno tragico” ma adesso bisogna guardare avanti. Ciononostante ha passato in rassegna quello che lui vede come i grandi successi dell’amministrazione Trump-Pence. L’ex vicepresidente ha ricordato la riduzione delle tasse, il controllo della politica con i russi e la giusta politica con la Cina. Poi, parlando come un possibile candidato politico alle presidenziali del 2024, ha attaccato la politica di Biden asserendo che ha offerto “un disastro dopo l’altro, il grande governo socialista, la tirannia dell’estrema sinistra”. Nella sezione dell’evento di domande e risposte con i giovani presenti, Pence ha dichiarato che lui e Trump “non hanno diverse opinioni politiche”. Ha aggiunto che il loro movimento non è diviso. Ha dimenticato ovviamente il fatto che per poco il suo capo non gli ha causato la morte.

Di Domenico Maceri

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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