La definitiva scomparsa della memoria del Pci, ivi comprese le sue trasfigurazioni postume dura ormai da tre lustri e la sua memoria volge ormai non solo alla rimozione ma alla dannazione.

Di Fausto Anderlini*

Terre dissodate

Il Pci fu il ‘900. Nacque, visse e mori in circostanze eccezionali. Straordinaria fu la sua durata: oltre settanta anni con un lascito la cui traccia si è estesa per altri venti anni nella storia nazionale. Cioè fino alla nascita del Pd, che in parte voleva esserne l’erede e che invece ne segnò la totale rimozione.

Il Pci rappresentò l’idea, sociale e morale, di un’altra Italia. Pur non riuscendo mai a salire al governo, il suo più grande successo fu di riuscire a imprimere questa idea nella Costituzione repubblicana. Il Pci fu innanzitutto comunista, una variante peculiare del socialismo.

La sua ideologia e il suo programma ne definivano l’identità, non la mera dislocazione a sinistra di una topologia convenzionale.

La sua definitiva scomparsa, ivi comprese le sue trasfigurazioni postume dura ormai da tre lustri e la sua memoria volge ormai non solo alla rimozione ma alla dannazione.

Cionondimeno il vuoto lasciato dalla sua dipartita permane. Sicchè ancora si manifesta, sebbene per vie contorte e tutt’altro che nitide, la domanda di riempirlo con una idea e una forza che riprenda il filo rosso di quella ‘riforma’, sociale e morale.

La Costituzione ancora resiste. Per quanto manomessa nella sua seconda parte, non è ancora riuscito il tentativo di svellere da essa la prima parte, quella dei valori e delle finalità.

Esaurite le circostanze storico-sociali eccezionali nelle quali si è riprodotto è impossibile che il Pci possa rinascere. Come pure una forza socialdemocratica classica. Molti indizi indicano però che in quel ‘vuoto’ sono in corso sommovimenti.

In qualche misura e con molte contraddizioni non c’è dubbio che il M5S vada ivi collocandosi. Del resto diverse delle idee del suo programma anarchico delle origini non erano estranee al primo comunismo. Non solo quello a matrice utopistico proudhoniana e/o blanquista riattualizzato dall’epoca post-moderna.

Lenin fu il primo teorico di una ‘democrazia deliberativa diretta’. Nella loro prova di governo se gli ‘scappati di casa’ (come è in uso malignamente citarli) hanno dato prove di confusione e dilettantismo, nessuno di loro è stato preso con le mani nella marmellata. Segno che il professato intransigentismo legalista e giacobino non era un camuffamento.

Articolo Uno è stato l’ultimo, piccolo, cristallo sedimentatosi nel lungo e diasporico processo di dissoluzione della ‘cultura politica del comunismo italiano’. L’ultima congregazione riunita in abbazia. La sua missione era tatticamente ubiqua ma chiara negli scopi. Cercare di contribuire a riempire quel ‘vuoto’ dislocandosi in prossimità delle sue frontiere segnaletiche.

Sul bordo del ‘bosco’ dell’apatia astensionista e dell’esclusione, sul bordo di un Pd forse passibile di una riconversione, sul bordo di quanto veniva evolvendo a lato del Pd. Ivi immettendo elementi della ‘cultura politica’ della quale Art. 1 ha preteso d’essere testimone. Partito piccolo, ma con grande valore aggiunto: il fertilizzante identitario per accompagnare un processo necessariamente inedito di riforma sociale e morale. E per ripristinare la continuità con la storia nazionale dell’emancipazione

Per questo a un certo punto, almeno da quando ha preso corpo la ‘riforma’ contiana del M5S, ho pensato che il posizionamento naturale di Art. 1, rotti gli indugi e soppesate le tendenze evolutive in atto, fosse nei pressi del M5S. Perché lì, in quel maggese politico, in quella parte del campo, erano in corso i mutamenti più rilevanti per colmare il ‘vuoto’.

Lì avremmo dovuto seminare, con tutta la sapienza contadina della quale Bersani è capace. La scelta di un reingresso nel Pd è invece la sciagura di un nuovo ramo morto. La rinuncia alla missione, sebbene tenuamente rivendicata in una sorta di saragattismo neo-centrista.

Un errore. E tanto varrebbe dichiarare che avevamo torto, che sbagliammo a uscire dal Pd e che bene fece il Pd renziano stesso ad espellerci. Una contraddizione quasi comica.

Torrido pensiero di mezza estate. Terre dissodate è il titolo di un romanzo del grande Scioloohov, massima espressione del realismo socialista.

Fausto Anderlini

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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