Le Nazioni Unite si trovano di fronte alla «più grande carenza di fondi mai affrontata», che da alcuni mesi sta costringendo l’organizzazione ad operare tagli ai rifornimenti umanitari nelle zone del mondo più colpite dalle crisi, come lo Yemen. Dall’inizio dell’anno, infatti, è stato racimolato appena un terzo della cifra necessaria per aiutare oltre 200 milioni di persone che in tutto il mondo vertono in situazioni di grave urgenza umanitaria. Tuttavia, tale situazione appare fortemente sbilanciata a favore dell’Ucraina: se, infatti, zone di conflitto di lunga data ed impellente emergenza, come lo Yemen, la Siria e l’Afghanistan, le donazioni non arrivano a coprire nemmeno la metà della cifra richiesta per far fronte all’emergenza, uno dei progetti a favore dell’Ucraina si è chiuso raccogliendo una cifra ampiamente superiore a quella richiesta, ed anche il secondo si sta muovendo rapidamente verso il raggiungimento dell’obiettivo.

Per far fronte a tutte le emergenze umanitarie nel mondo sono richiesti per il 2022 48,7 miliardi di dollari. Ad oggi, a otto mesi dall’inizio dell’anno, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) ne ha raccolti appena un terzo (16,2 miliardi). A beneficiare maggiormente delle donazioni sono stati i programmi istituiti per aiutare l’Ucraina, per la quale erano stati chiesti oltre sei miliardi di aiuti: il primo appello ha superato l’importo richiesto, mentre il secondo sta per raggiungerlo. Nel frattempo, zone di emergenza estrema come lo Yemen, martoriato da una guerra pluriennale che ha scatenato la più grave emergenza umanitaria al mondo – che ha colpito il 70% della popolazione, ovvero 20,7 milioni di persone – non raggiungono nemmeno la metà del budget richiesto per far fronte alla crisi. Per questo motivo, nel dicembre 2021 l’ONU aveva dichiarato di dimezzare la razione di cibo alla popolazione bisognosa. Altri contesti di estrema emergenza, come il Burundi e Haiti, superano di poco il 10% dei finanziamenti totali richiesti.

I finanziamenti provengono principalmente dagli Stati Uniti d’America – che coprono il 53% delle donazioni totali -, Unione Europea, Germania, Regno Unito e Canada, seppur in misura molto minore. Come dichiarato al New York Times da Kathryn Mahoney, portavoce globale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, «La guerra in Ucraina ha mostrato chiaramente come sia possibile mobilitare rapidamente ed in maniera estesa il sostegno ai rifugiati e rispondere ai bisogni umanitari – quando esiste un impegno politico». E di volontà politica sembra infatti trattarsi: basti pensare che in Italia, dove l’accoglienza di poche migliaia di migranti ogni anno è diventata il cavallo di battaglia di una certa parte della politica che inneggia alla chiusura delle frontiere e all’”invasione”, in pochi mesi si è riusciti ad organizzare l’accoglienza di centinaia di migliaia di profughi ucraini.

Come rilevato dal NYT, il 43% delle persone assistite dall’Agenzia per i rifugiati vive in una dozzina di Paesi – Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Iraq, Etiopia, Sud Sudan, Ciad, Yemen, Bangladesh, Giordania, Libano e Colombia – dove i finanziamenti non raggiungono il 30% della cifra totale. Come nel caso dello Yemen, questo comporta tagli a servizi fondamentali per la popolazione, come cibo, medicine e infrastrutture. In un contesto del genere, a conti fatti, la valenza geopolitica della guerra tra Russia e Ucraina non è un fattore che può essere escluso dall’equazione, anche quando si parla di aiuti umanitari.

[di Valeria Casolaro]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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