Enrico Letta e Carlo Bonomi

Il Partito democratico dice, coram populo da parte della attuale dirigenza mezza dimissionaria, di volersi rinnovare, di voler ritrovare una connessione con quelle fasce di popolazione che non ne percepiscono più la vicinanza soprattutto sociale e, di conseguenza, anche politico-elettorale.

Questa affermazione, col passare dei giorni che ci separano dalla disfatta del 25 settembre, sembra veramente sempre più avere i contorni del principio enunciato piuttosto che la seria intenzione di elaborare quanto avvenuto, gli attuali rapporti di forza economici e sociali del Paese e, di conseguenza, darsi finalmente un obiettivo politico netto e preciso: scegliere se essere una forza laburista oppure se concorrere alla formazione di un neocentrismo nel cui settore, peraltro, la calca concorrenziale alla rappresentanza dei privilegi delle classi più abbienti è piuttosto dinamica e già ricca di protagonisti.

E’ di queste ore, infatti, dopo la dichiarazione del presidente di Confindustria Carlo Bonomi sul respingimento della “flat tax” delle destre e la riaffermazione della famigerata “Legge Fornero“, il plauso arrivato proprio dal Partito democratico.

Ci sono cento e più ragioni per dichiarare una opposizione netta alla tassa piatta che vorrebbero Salvini, Berlusconi e Meloni (seppure con dei distinguo di lana caprina per marcare le opportune differenze reciproche e accattivarsi una parte del mondo di mezzo, del ceto medio e di quello padronale), ma è davvero necessario che il PD sposi le stigmatizzazioni degli imprenditori per fare questo?

Davvero in questo modo il PD pensa di riorganizzare la sua immagine prima, e la sua sostanziale visione politica poi, mettendosi a disposizione di una ricalibratura neo-riformista che guardi a sinistra? Se così fosse, alla miopia lettiana che ha contribuito alla sconfitta, decisa ancor prima che si aprisse la campagna elettorale con scelte veramente suicide, si aggiungerebbe la presbiopia di un tutto un gruppo dirigente che si appresta a partecipare alle primarie per la scelta di un nuovo segretario, a fare un congresso magari con la parola d’ordine del “rinnovamento” e del “progressismo democratico“.

Esattamente nel momento in cui il PD sostiene non un proprio rifiuto della “flat tax“, bensì quello di Confindustria, si schiera, inevitabilmente, anche dalla parte di chi accetta un ritorno della “Legge Fornero“, dell’allungamento dell’età pensionabile che si va a sommare ai tanti disagi sociali che gli strati più deboli della popolazione hanno manifestato appena pochi giorni fa con un voto ad una delle peggiori destre continentali.

Se esiste un emblema delle controriforme antisociali portate avanti tanto dai governi tecnici (Mario Monti docet) quanto da quelli politici (Matteo Renzi altrettanto docet con Jobs act e alternanza scuola – lavoro), ebbene questo è proprio rappresentato plasticamente dalla legge che porta il cognome della professoressa Fornero e che è sinonimo di destrutturazione dei diritti tanto di chi deve entrare nel mondo del lavoro quanto di chi dovrebbe avvicinarsi a quello del trattamento di fine rapporto e poi alla meritata pensione.

Implicitamente, il PD che plaude a Bonomi quando si scaglia contro la tassazione piatta, che è la negazione della progressività di un fisco anche solo timidamente vicino alla giustezza delle imposte, finisce per subire un seducente processo di osmosi economico-politica, una ennesima lezione liberista da una Confindustria che ha tutto da guadagnare dall’avere in Parlamento una opposizione moderata, non così intransigente come invece dovrebbe essere quella del maggiore partito del campo avverso (tutt’altro che largo…) alla maggioranza di governo.

Bonomi lo afferma con chiarissima nettezza: siccome non è realisticamente possibile avventurarsi in previsioni, anche timidissime, sulla crescita generale e, nello specifico, su quella delle imprese, serve – citiamo – «una vasta convergenza sulle scelte da fare, anche con le forze di opposizione, per affrontare le due grandi emergenze che sono l’energia e la finanza pubblica».

Quindi l’obiettivo del padronato è evidente: consentire alle destre di governare con quella legittimazione democratica che hanno ottenuto, grazie ad una legge elettorale incostituzionale e ad una serie di promesse di cambiamento irrealizzabili, e al contempo fare dell’opposizione (almeno di una larga parte di essa, da Calenda al PD almeno…) una appendice della maggioranza su temi prettamente inerenti la crisi economica contingente e l’emergenza sociale che ne deriverebbe, intervendo quindi con provvedimenti di finanza pubblica che vadano a tutelare i sommovimenti nei confronti della stabilità dei profitti e dei dividendi aziendali.

Non bisognerebbe, in fondo, stupirsi più di tanto dello sperticamento di applausi da parte del PD come forma da far prendere ai primi atti di opposizione verbale contro le destre. La rivendicazione della cosiddetta “agenda Draghi” è stata un leit motiv tanto del di Azione e Italia Viva quanto dei democratici, appena un attimo dopo la caduta del governo e l’apertura delle crisi istituzionale.

Se vogliamo vedere una qualche linea di coerenza in tutto questo, non possiamo non constatare come questa sia, sempre e soltanto, quella del matrimonio tra un centrosinistra che favoleggia di diritti sociali unitamente a quelli civili e un liberismo che pretende la solida difesa dei privilegi innestati su pratiche privatizzatrici che non fanno altro se non lasciare il campo libero alle destre in materia di difesa dei beni comuni e del cosiddetto “interesse nazionale“.

La supposta staffetta tra Bonaccini e Schlein alla guida di un PD rinnovato, se osservata alla luce di tutto questo, rischia di apparire davvero soltanto un compromesso utilitaristico tra due (o più) anime del partito: quella già renziana e più centrista e quella che guarda ad una sinistra da reinventare partendo da presupposti veramente poco edificanti.

Che speranze ha una sinistra moderata, riformista nel senso più vero e nobile del termine, di riuscire a rinascere dalle ceneri dell’anomalo bicefalo nato dal veltronismo unificatore tra socialdemocratici dei DS e popolari de La Margherita a suo tempo? Alla fine, hic Rhodus, hic salta!: se davvero il PD vuole superare sé stesso per riaversi dallo sfracello elettorale e, soprattutto, dalla progressiva lontananza che ha autogenerato nei confronti delle frange più deboli della popolazione, del mondo del lavoro e di quello del disagio sociale in senso lato e multiforme dei tempi moderni, deve avere coraggio proprio nella scelta da compiere.

La sinistra di alternativa potrebbe contribuire alla ridefinizione complessiva di un quadro progressista nel Paese e anche nelle istituzioni. Ma il cammino intrapreso da Sinistra Italiana e Verdi rischia, in questo frangente e con queste premesse, di rimanere monco e di non trovare una sponda nei democratici nelle lotte parlamentari che si produrranno a breve termine, e nemmeno in Unione Popolare se non si dinamizzerà il tutto e se non si abbandonerà il dualismo tra centro e sinistra e, quindi, una logica esclusivamente maggioritaria e governista.

Un logica che ha impedito la vera pluralitù di posizioni e, appena poche settimane prima del voto, ha determinato, nella scelta di Letta di tenere “al centro” il PD, di costruire, nell’emergenza sociale, economica e politico-istituzionale dell’Italia di oggi, dalla fisiognomica di estrema destra meloniana, la costituzione di un fronte progressista che includesse anche i Cinquestelle, oltre magari a SI, Verdi e UP.

Ma, per l’appunto, se le premesse sono quelle degli applausi a Confindustria e al sostegno, diretto o indiretto, ad un ritorno della “Legge Fornero“, non si pone nemmeno una minima ragione di dialogo tra sinistra di alternativa e la “cosa” del nuovo millennio che sarà ciò che seguirà un PD in balia delle proprie contraddizioni. Tutte da superare, tutte da eviscerare per bene, così da non ripetere errori che hanno azzerato in Italia un ruolo politico, culturale e sociale del progressimo moderato e di quella alternativa di società, egualitaria e libertaria che ci ostiano, indegnamente (questo è certo), a voler rappresentare.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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