Il Kuwait viene spesso considerato come un esempio da imitare per le altre monarchie del Golfo Persico. Inoltre, ricopre un importante ruolo all’interno dell’OPEC, il cui nuovo segretario generale è proprio un kuwaitiano.

Il Kuwait e un piccolo emirato del Golfo Persico situato tra l’Iraq e l’Arabia Saudita, noto soprattutto per essere stato al centro del conflitto con Baghdad nel 1990 e per essere un importante produttore di idrocarburi, figurando al decimo posto tra i produttori di petrolio del pianeta. Ma il Kuwait viene considerato per molti versi anche come un esempio da seguire per le altre monarchie del Golfo Persico, venendo indicato spesso come quella con un regime politico più aperto al cambiamento.

Al contrario di quello che accade negli altri Paesi con un sistema politico simile, infatti, il Kuwait ha una lunga storia di elezioni legislative, iniziata nel 1962. Da allora, il Paese ha tenuto venti tornate elettorali, di cui l’ultima ha avuto luogo lo scorso 29 settembre, dopo lo scioglimento anticipato delle camere da parte del Principe della Corona, Misha’al Al-Ahmad Al-Jaber Al Sabah.

Secondo la Costituzione kuwaitiana, il parlamento, denominato Assemblea Nazionale, ha un mandato di quattro anni, ma per l’appunto esiste la possibilità di elezioni anticipate nel caso di contrasti tra il governo, guidato dal primo ministro, e l’organo legislativo. Infatti, l’Assemblea Nazionale kuwaitiana, composta da cinquanta membri, ha una vera e propria funzione legislativa, al contrario di quello che avviene in altri Paesi, come il Qatar, dove gli organi eletti dal popolo hanno solo funzione consultiva. Ciò non deve comunque occultare il fatto che il centro del potere resta nelle mani dell’ottantacinquenne emiro Nawaf Al-Ahmad Al-Jaber Al Sabah (in foto), al quale spetta sempre l’ultima parola.

Dal 2005, il Kuwait ha anche concesso in forma definitiva il diritto di voto alle donne, dopo averlo già garantito tra il 1985 ed il 1999, prima di una sospensione provvisoria. Anche in questo caso, il Paese ha preceduto alcuni vicini come gli Emirati Arabi Uniti (2006) e l’Arabia Saudita, che ha concesso il voto alle donne solo nel 2016. Le donne rappresentano oggi la maggioranza dell’elettorato kuwaitiano (51,2%), anche se l’unica parlamentare donna, Safa al-Hashem, ha perso il proprio seggio in occasione delle elezioni del dicembre 2020.

Tornando alle recenti elezioni, l’Assemblea Nazionale era stata scelta dopo che l’ex primo ministro Sabah Al-Khalid Al-Sabah si era trovato in una posizione di forte contrasto con il parlamento. L’organo legislativo è anche stato accusato dal Principe della Corona di “pratiche e comportamenti che minacciano l’unità nazionale” a causa della “sovrapposizione tra il potere legislativo ed esecutivo“. Il principe ereditario aveva allora aggiunto che la scena politica interna è “dilaniata da disaccordi e interessi personali“, riferendosi soprattutto alle faide tribali che caratterizzano la politica kuwaitiana.

In effetti, sono ancora molte le questioni da risolvere nella politica dell’emirato. Ad esempio, la legge locale vieta la creazione di partiti politici, per cui tutti i candidati partecipano come indipendenti. Intervistato da Al Jazeera, l’analista politico Abdelrahim Hussein ha affermato che l’assenza di partiti politici non permette al popolo di votare sulla base di un programma politico o di un manifesto: “Nessuno dei candidati ha condotto una campagna che parlasse delle proprie opinioni su un progetto economico, sulla questione abitativa o sugli argomenti caldi che circondano la nostra regione”, ha detto Hussein. Il voto viene generalmente dominato dalle logiche tribali o dalle reti di conoscenze personali, senza prestare attenzione alle agende elettorali dei candidati. Tuttavia, alcuni miglioramenti si sono visti proprio in occasione delle elezioni di quest’anno: dopo dieci anni, i leader dell’opposizione alla famiglia reale hanno infatti deciso di prendere parte alla tornata elettorale.

Oltre alle questioni locali, il Kuwait ha anche un grande peso nelle questioni regionali e mondiali grazie al suo ruolo di importante esportatore di petrolio. L’emirato è uno dei membri fondatori dell’OPEC, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ed esprime l’attuale segretario generale dell’organizzazione nella persona di Haitham al-Ghais, entrato in carica lo scorso 5 luglio in seguito all’improvvisa morte del suo predecessore, il nigeriano Mohammed Barkindo. Al-Ghais è il terzo kuwaitiano a guidare l’OPEC dalla sua fondazione, ma potrebbe diventare il primo a farlo per più di un anno.

Come noto, l’OPEC sta acquisendo un ruolo di grande rilievo nell’attuale contesto di crisi energetica mondiale, e l’organizzazione, unitamente ad altri Paesi produttori, come la Russia, che compongono la cosiddetta OPEC+, ha concordato di ridurre la produzione di due milioni di barili al giorno appena prima dell’alta stagione invernale. Molti commentatori hanno letto questa mossa come una presa di posizione dell’OPEC in favore della Russia e contro gli Stati Uniti e l’Europa.

È chiaro che l’OPEC+ si sta allineando con la Russia con l’annuncio di oggi“, è stata la reazione stizzita della segretaria stampa della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre. La scomposta reazione statunitense si deve soprattutto alla posizione dell’Arabia Saudita, considerata come un fedele alleato di Washington in Medio Oriente, ma che secondo gli USA avrebbe effettuato un vero e proprio voltafaccia sostenendo una tale decisione.

Il segretario generale, il kuwaitiano al-Ghais, ha tentato, dal canto suo, di smentire le accuse di Washington: “Questa non è stata una decisione di un Paese contro un altro“, ha detto il leader dell’organizzazione. “Voglio essere chiaro nel dire questo, e non è neppure una decisione di due o tre Paesi contro un gruppo di altri Paesi“. Il ministro del Petrolio ad interim del Kuwait, Mohammed al-Fares, ha aggiunto che mentre l’alleanza comprendeva le preoccupazioni dei consumatori per l’aumento dei prezzi, la loro preoccupazione principale era “mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta“.

Indipendentemente dalle ragioni che hanno spinto i Paesi produttori di petrolio verso questa decisione, ovvero la speranza in un aumento dei prezzi e conseguentemente dei propri profitti, è indubbio che la mossa dell’OPEC+ potrebbe portare importanti vantaggi alla Russia e grandi svantaggi agli Stati Uniti, ma soprattutto all’Europa, che si avvia sempre più a vivere un difficile inverno senza gas e senza petrolio.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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