Il governo Meloni, durante il suo primo consiglio dei ministri, il 31 ottobre scorso, ha varato il decreto legge 162, riguardante le occupazioni abusive e l’organizzazione di raduni illegali, la cui natura repressiva e discrezionale ha stupito (almeno a parole) anche giuristi e “opposizione” parlamentare. Il casus belli per un decreto simile è stato lo sgombero di un rave nel modenese alla fine di ottobre.

Pur prendendo a pretesto un free party nello specifico, il testo, presentato dal ministro degli interni Matteo Piantedosi (già prefetto delle province di Lodi e Bologna, nonchè capo di gabinetto durante la gestione ministeriale di Salvini e Lamorgese, quando è stato condannato per abuso d’ufficio per aver impedito lo sbarco della nave Alan Kurdi, al bordo della quale si trovavano 44 migranti) contiene al proprio interno tutti gli strumenti per assottigliare ulteriormente le libertà di espressione e di dissenso, e in generale dare in mano alle istituzioni nuove possibilità di repressione inasprendo di molto le condanne per manifestazioni e occupazioni, quindi atti non necessariamente collegati a eventi come quello di Modena, che è stato usato come pretesto per giustificare la necessità di questa legge.

Nel suo punto saliente, il decreto precisa:

“L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.”

Risulta lampante anche ad una prima occhiata che il reato contestato dal decreto legge non è esplicitamente legato a rave o eventi culturali non autorizzati, e quindi che possa essere utilizzato per qualsiasi tipo di occupazione o raduno (pensiamo all’occupazione della facoltà di scienze politiche della Sapienza di Roma avvenuta gli scorsi giorni, per esempio). In secondo luogo, non si può ignorare la palese arbitrarietà nel giudizio sul pericolo per l’ordine, la salute e l’incolumità pubblica. Non essendo specificato chi dovrebbe constatare obiettivamente la presenza di un effettivo pericolo, viene naturale pensare che qualsiasi tipo di raduno, in qualsiasi condizione, potrebbe portare all’utilizzo di tale decreto.

Proseguendo nella lettura del testo, si minacciano pene sproporzionate: dai tre ai sei anni di reclusione e multe fino a 10000€ per chi organizza tali tipi di raduni, oltre che condanne minori per chi invece vi partecipa soltanto. Immaginare che un’occupazione, anche solo simbolica, magari di poche ore di una piazza pubblica, con più di 50 partecipanti, possa divenire motivo di condanne di anni e migliaia di euro di multa per organizzatori e partecipanti, ci da una stima  della torsione securitaria e repressiva che porta con sé questa norma, che davvero poco ha a che vedere effettivamente con il singolo caso da cui è stata prodotta.

Non un decreto “contro i rave” ma un’arma repressiva (anche) contro la gioventù

Il problema dei decreti legge, che vengono proposti “alla cittadinanza” posando i riflettori su un’unica problematica specifica, per poi includere al proprio interno anche altre questioni che con quella stessa problematica poco c’entrano, poteva essere riscontrata anche nei tristemente famosi “decreti sicurezza” che, tra le tante misure liberticide e repressive che disponevano, inasprivano anche le pene per i blocchi stradali, pur non essendo questi il loro punto focale. Effettivamente, entrambi i decreti, sia quelli “sicurezza” che quello “anti rave”, utilizzano una formulazione larga tanto da far pensare che sia difficile non ci sia premeditazione di qualche sorta da parte delle istituzioni. Il meccanismo utilizzato è palesemente lo stesso, ed in quest’ultimo caso si mantengono le definizioni così vaghe che le multe che le condanne possano essere utilizzate per reprimere o minacciare praticamente ogni manifestazione o atto collettivo anche, se non soprattutto, politico.

Rimane evidente l’ipocrisia che si è portata dietro per una settimana tutta la vicenda specifica, in cui un rave è stato additato come un flagello per salute, sicurezza, ed ordine pubblico, con un utilizzo cospicuo di paternalismo verso i giovani, sempre e comunque dipinti come degli scriteriati, incapaci di difendersi da qualsiasi pericolo e che mettono a rischio tutta la società. Non si tratta tanto di difendere un rave in quanto tale, nonostante l’attacco a questa forma di socialità sia esemplificativa di un tipo di bersaglio ideologico e culturale verso il quale il reazionario governo Meloni intende rivolgere i suoi attacchi; si tratta più che altro di considerare che ogni tipo di aggregazione possa essere potenzialmente pericolosa. A tal scopo è servito un rave autorganizzato e fuori da canali “ufficiali” per partorire un decreto repressivo così imponente. Non è stato usato a pretesto un altro tipo di assembramento più “presentabile”, perché magari autorizzato e spinto dalle istituzioni (spesso in barba alla sicurezza) o direttamente collegato a interessi economici forti. Un paio di semplicissimi esempi recenti e meno recenti? I concerti super affollati in luoghi pubblici come le spiagge di Jovanotti e le feste dei milionari nel billionaire di Briatore (tra l’altro in piena pandemia questi ultimi), non sono forse entrambi dei rischi acclarati? Nonostante questo, mai sono stati messi in discussione.

Infine, non dovrebbe poi più di tanto sorprendere il fatto che un rave, ovvero una festa particolarmente legata all’immaginario giovanile, sia stato messo all’indice. Il tentativo è stato quello di utilizzare un’antipatia diffusa dai media verso la gioventù, soprattutto negli ultimi anni, per rendere meno traumatico e polemico il passaggio ad un decreto simile. Con ancora il ricordo del clamore mediatico creato ad arte dopo il free party di Viterbo dell’anno scorso (quando venne addirittura messo in mezzo al circo un morto nel lago adiacente alla festa, nonostante si trattasse di una persona andata in vacanza e tristemente rimasta annegata, con nessun collegamento reale), è stato facile inserirsi in uno sforzo di propaganda contro la gioventù, facendosi forza poi dell’antipatia sollevata per le proteste che si sono susseguite nell’ultimo periodo per le cariche poliziesche nelle facoltà, per quelle che hanno preso piede in seguito agli incidenti anche letali avvenuti nel corso dell’alternanza scuola lavoro. ma anche, ad esempio, agli strali lanciati dai giornali più prestigiosi durante il periodo più acuto della pandemia in cui “i giovani” sono stati spesso e volentieri messi all’indice come gli untori, quelli che non volevano starsene a casa e rispettare le leggi.

Il bersaglio giovanile, quindi, non è affatto casuale: in un momento storico che richiede il consolidamento delle forze di destra al governo, affinchè possano effettivamente portare avanti il proprio programma di dilapidazione sociale e oppressione sistemica, colpire la sfera giovanile vuol dire colpire chi, storicamente, ha sempre cercato i propri spazi d’indipendenza culturale e politica, per esprimere opposizione concreta proprio a quella linea politica di cui il governo si avvale. La vitalità del mondo giovanile, specie nei suoi settori più precari economicamente e stimolanti culturalmente, è sempre stata il sentimento di fondo che ha animato grandi spinte di resistenza alla destra più becera e violenta, ed il ruolo dei giovani nel fare barricata contro la barbarie repressiva è ben noto a chi necessita di un controllo pedissequo verso ogni forma di espressione del dissenso. Se si pensa, poi alla fase storica in cui ci troviamo a destreggiarci, il fatto che il governo si armi di dispositivi di questo tipo fa pensare all’importanza del mettere in connessione gli spazi di autorganizzazione giovanile con tutti quelli dove si possa elaborare un’alternativa (politica, ma non solo) al sistema che tutto ciò permette, e che quindi, per questo motivo, verrà bersagliato duramente e a più riprese da decreti simili.

In più, il “bersaglio rave” rientra anche alla perfezione con la visione di socialità e diffusione culturale ritenuta accettabile non solo da Meloni & co., ma anche da tutti i partiti dall’arco istituzionale: la turistificazione delle realtà urbane ed il rifacimento di sempre più vasti spazi della periferia a “zone dormitorio” per la classe lavoratrice non ammette la possibilità di spazi alternativi, laboratori di produzione artistico/culturale di qualsiasi tipo. Non serve andare a un rave per vedere il disastro compiuto dalle amministrazioni di tutta Italia nel proprio sforzo di gentrificazione, che spinge all’esterno delle città milioni di persone e rende inagibile qualsiasi sforzo di ripensamento della vita collettiva. Se è vero che non si possa pensare ad isole felici nel capitalismo, l’esistenza di luoghi di aggregazione autorganizzata è uno stimolo costante all’elaborazione di forme di resistenza alla repressione ed allo sfruttamento, e su questa offensiva si nascondono infinite forme di orientamento ideologico volte a marginalizzare sempre più gli oppressi e le oppresse: dall’ulteriore stigmatizzazione del consumo di droga, all’obbligo di accettare un costo della vita sempre più inaccessibile per tutt*, fino alla standardizzazione di qualsivoglia espressione culturale: c’è un elemento profondamente ideologico nell’attaccare i free party e chi li anima, e anche se non vi si partecipa, è di fondamentale importanza rendersi conto della linea che viene data con un attacco così frontale e al tempo stesso generico.

Non solo, ma anche, quindi, si vanno a colpire i rave party. Si cerca in qualche modo di porre nuove premesse per limitare qualsiasi tipo di “venire assieme” potenzialmente scardinante del modo di fare accettato dalla borghesia; ci è voluto solo un consiglio dei ministri per mettere in chiaro che il governo Meloni si adopererà per dare ancor più strumenti alle istituzioni per reprimere il dissenso e isolare eventuali sacche di “resistenza” al vecchio che avanza (in tutto e per tutto). Ciononostante, sarebbe  ipocrita, infine, non sottolineare che tutto ciò avviene  in continuità perfetta con i precedenti governi, tutti sempre più spinti verso il soffocamento di ogni possibile svolta di lotta in un paese che si prepara ad affrontare e affronta anche oggi, una tempesta fatta di impoverimento, inflazione, crollo dei salari e, contemporaneamente, arricchimento di pochissime grandi aziende.

CM

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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