Lorenzo Palaia 

Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica è iniziato con la consueta formula “cari concittadini e care concittadine”, ma in realtà il Presidente avrebbe voluto dire “cari alleati americani ed europei, cara commissione, cari tesoro americano e banca centrale europea, cari JP Morgan, Moody’s, Goldman Sachs, Standard & Poor’s ecc.”; essendo tuttavia la lista molto lunga e poco popolare, e dovendo ancora salvaguardare l’apparenza facendo credere al mondo di essere in una democrazia, ha preferito optare, lui stesso o il suo spin doctor, per il classico appello agli italiani. Non uno di quelli calorosi, sinceri e spontanei, fatti a braccio e quasi scusandosi del Presidente Pertini – “vi confesso che non volevo introdurmi nell’intimità delle vostre case in questo giorno di festa in cui celebrate il sorgere dell’anno nuovo” – ma un appello tronfio, fatto in piedi leggendo un prodotto preconfezionato, a tratti retorico e ancor di più falso e autocelebrativo; celebrativo non, ovviamente, della personalità del Presidente, ma della società capitalistica europeo-occidentale, rappresentata come la via giusta e santa che avrebbe portato pace e prosperità, un mondo globale, la fine della storia, se solo tale speranza non fosse stata macchiata dall’aggressione russa al fiero popolo libero e democratico ucraino. Stando così le cose, questo popolo va necessariamente sostenuto alimentando la guerra con l’invio di armi, salvo poi invocare la pace per l’anno venturo con tanto di ringraziamenti per l’impegno in tal senso del Papa: non con la stessa umiltà bensì con la faccia tosta di chi non ha mai aperto bocca verso le guerre degli americani e degli stessi italiani. E come avrebbe potuto, avendo assunto il Ministero della difesa subito dopo il bombardamento di Belgrado, in cui in rappresaglia per l’uccisione di 40 civili albanesi furono uccisi migliaia di civili serbi? Ma anche se non avesse voluto infastidire gli alleati, il presidente avrebbe potuto essere più realistico ed empatico nei confronti degli italiani, mostrando vicinanza ai loro problemi quotidiani; invece sembra che le sue preoccupazioni principali siano la conversione ecologica e la modernizzazione, cui allusivamente ha fatto riferimento spronando questi poveri trogloditi che proprio non ne vogliono sapere e preferiscono recarsi in un ufficio pubblico di persona, magari anche facendo la fila, piuttosto che spendere soldi al CAF perché non hanno lo SPID o non sanno usare il computer. Progresso suona come una beffa nelle orecchie di chi l’ha sempre visto usare contro di sé e i propri cari, per azzerarne i diritti, cancellarne i posti di lavoro sostituendoli con le macchine e lasciarlo in balia del mercato. Non una parola invece sull’inflazione che galoppa e saluta i salari da lontano; non una parola sui prezzi dei carburanti e dell’energia. Ma se anche non avesse voluto scomodare le istituzioni finanziarie europee e criticare il mercato dell’energia, avrebbe almeno potuto spendere una frase sul problema del lavoro, che riguarda giovani e non giovani, almeno nel giorno in cui 500 lavoratori Almaviva venivano messi in cassa integrazione a zero ore perché il Ministero della salute (sic!) non aveva più bisogno di loro. E ammesso che fosse inopportuno riferirsi all’episodio per non macchiare l’etichetta istituzionale, avrebbe almeno potuto simpatizzare con chi si sente ormai inutile alla società perché essa sembra non avere un posto da riservargli; lo avrebbe potuto fare, nel caso non ne fosse riuscito a trovare di proprie, con le parole del compianto Luciano Gallino:

vi rendete conto di che cosa significa per un giovane non riuscire, per anni di seguito, a non trovare nemmeno il primo lavoro dopo la scuola, quello che non si scorda mai, la porta di ingresso nella vita? Magari pagato poco, ma ragionevolmente interessante, passabilmente stabile. Non riuscire a trovare per tempi lunghissimi il primo lavoro non è soltanto una umiliazione. È un logoramento del carattere, un lento sprofondare nella convinzione che nella società non c’è più spazio per i nuovi arrivati, che per qualche oscura ragione si è venuti al mondo essendo già etichettati come esuberi.[1]

Ma se ancora così il Presidente avesse ritenuto di pestare i piedi a qualcuno di scomodo, almeno avrebbe potuto parlare di chi è talmente negletto che non potrebbe suscitare critiche: dei poveri che dormono al freddo, di quelli che frequentano le mense sociali, di coloro che ancora muoiono in mare. Niente. L’unico terreno di confronto con i giovani è stato l’appello a fare attenzione al volante. Quello con il popolo, l’appello ad accogliere il progresso. Ma quale progresso? Quello dell’inflazione? Quello della guerra? Quello dei trattamenti sanitari obbligatori? È solo questione di tempo perché la continua perdita di legittimazione di queste istituzioni provochi conseguenze difficili da prevedere. Ma la buona notizia è che dalla distruzione di qualcosa nasce sempre qualcosa di nuovo, sperando che quest’anno ce ne faccia vedere i contorni.


[1] L. GALLINO, Come (e perché) uscire dall’euro, ma non dall’Unione Europea, Laterza, 2016, p. 124

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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