Le elezioni legislative boicottate massicciamente da partiti e cittadini sono solamente la punta dell’iceberg di una profonda crisi che affligge il Paese nordafricano.

Le elezioni legislative in Tunisia si sono tenute su due turni tra il 17 dicembre ed il 29 gennaio, palesando la profonda crisi che vive il Paese nordafricano. In entrambi i turni, infatti, alle urne si è presentato poco più dell’11% della popolazione, dimostrando come i cittadini abbiano perso ogni fiducia nelle istituzioni. La maggioranza dei partiti ha del resto boicottato la tornata elettorale, accusando il presidente Kaïs Saïed, in carica dall’ottobre 2019, di aver messo in piedi una dittatura mascherata. A partecipare sono stati infatti solamente il Movimento 25 Luglio (Mouvement/Harak du 25 Juillet), principale partito che sostiene l’attuale governo, ed il Movimento Popolare (Mouvement du Peuple).

Oltre ad una crisi di delegittimazione politica, la Tunisia vive un momento molto difficile anche dal punto di vista economico, mentre a livello internazionale ha perso molti punti d’appoggio. Gli Stati Uniti, che precedentemente avevano sostenuto il Paese dopo la cosiddetta “primavera araba” che, nel 2011, aveva portato alla destituzione del presidente Zine El Abidine Ben Ali, si stanno progressivamente allontanando da Tunisi, facendo mancare gli importanti aiuti economici corrisposti in passato.

Secondo la vulgata main stream, dopo la destituzione di Ben Ali nel 2011 la Tunisia sarebbe divenuta “la più solida democrazia nordafricana”, e questo aveva portato grande sostegno al governo di Tunisi da parte del blocco occidentale. Ora, le accuse di autoritarismo rivolte al presidente Saïed sono state utilizzate come pretesto per far mancare l’appoggio a Tunisi. Sebbene la riforma costituzionale promossa da Saïed e le sue politiche possano effettivamente essere criticate, sappiamo bene che i Paesi occidentali non si muovono mai per questioni di principio, ma unicamente per interesse. Secondo Al Jazeera, gli Stati Uniti hanno finanziato la Tunisia con 88,9 milioni di dollari nel 2021, scendendo a 55,2 milioni nel 2022, ed ulteriori tagli dovrebbero essere registrati quest’anno. Da notare tuttavia che il 60% della spesa statunitense in favore della Tunisia è in realtà rivolta al finanziamento del solo esercito, dimostrando come Washington consideri ancora il Paese come un proprio alleato militare.

Comprendendo di essere stato in gran parte abbandonato dagli occidentali, Saïed ha tentato di rivolgersi alle monarchie mediorientali, ma anche in questo caso non ha ottenuto risultati positivi. A dicembre, il presidente tunisino ha visitato Riyadh, ma l’Arabia Saudita non ha promesso finanziamenti al Paese nordafricano. Molti analisti pensano che l’ultima spiaggia della Tunisia sia il ricorso ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, unico modo per salvare il Paese dalla bancarotta.

Tuttavia, la realtà ci dice che una delle principali ragioni che hanno portato la Tunisia alla crisi economica odierna risiede proprio nell’adesione dei governi precedenti alle misure imposte dal FMI: “Dodici anni dopo la sua rivoluzione, la diffusa insoddisfazione economica e la cieca adesione alle misure di austerità controproducenti dettate dal Fondo Monetario Internazionale sono ancora le sfide principali per le prospettive della Tunisia di costruire una democrazia resiliente e progressista” ha scritto l’accademico tunisino Haythem Guesmi sul portale di Al Jazeera. “Dalla rivoluzione del 2011, alimentata dal malcontento economico, nessuna delle amministrazioni salite al potere è riuscita a prendere provvedimenti concreti per affrontare i persistenti problemi economici del Paese”.

Quando Saïed è salito al potere, nel 2019, l’economia tunisina era già al collasso, dunque l’attuale presidente non può essere considerato l’unico responsabile della drammatica situazione odierna. Eppure, i suoi governi non sono stati in grado di intraprendere le azioni richieste per risollevare il Paese: “Sul fronte economico, il suo regime autoritario non è riuscito a trovare un’alternativa al prestito dal FMI per mantenere a galla il Paese. Ripetendo gli errori dell’era Ben Ali, Saïed sembra disposto a fare tutto il necessario per rimanere nella lista dei buoni del FMI”, scrive ancora Guesmi.

Secondo l’analista, il governo si prepara ad attuare nuove devastanti misure di austerità per soddisfare le richieste del FMI e poter avere accesso ad un prestito di 1,9 miliardi di dollari che permetta al Paese di superare il 2023, il tutto – come al solito – a discapito delle classi lavoratrici: “Queste politiche ovviamente non saranno in grado di salvare l’economia tunisina e porre fine alle sofferenze del suo popolo. Dopotutto, anche gli esperti del FMI ammettono che le politiche di austerità spesso fanno più male che bene alle persone che le subiscono. Aumentano le disuguaglianze e aggravano la povertà, rendono le crisi economiche più frequenti, aumentano la disoccupazione e limitano le prospettive di crescita economica, creando le condizioni perfette per un’esplosione sociale”.

A più di un decennio dall’ondata delle cosiddette “primavere arabe”, sostenute dall’Occidente e propagandate dalla stampa occidentale come la svolta democratica del mondo arabo, possiamo notare come i Paesi nei quali si sono verificati gli agognati cambi radicali sono oggi i più instabili. Limitandoci alla sola Africa mediterranea, la Tunisia e l’Egitto sono oggi Paesi instabili i cui governi riescono a mantenere il potere solo con l’uso del pugno duro, mentre la Libia, ridotta ad un non-Stato, risulta essere l’emblema del fallimento delle politiche imperialiste occidentali. Al contrario, pur nelle loro aporie il Marocco e l’Algeria, i due Paesi nei quali le “primavere arabe” si sono risolte senza rovesciamenti di governo, restano gli Stati più stabili e affidabili, come dimostra il fatto che i governi occidentali, Italia in testa, facciano a turno per elemosinare idrocarburi ad Algeri.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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