Lo sciopero del clima apre una settimana di azioni e mobilitazioni fino allo sciopero transfemminista dell’8 marzo. Due movimenti in dialogo per una settimana ecotransfemminista

Torna in piazza in tutto il mondo il movimento ecologista per lo sciopero del clima e per il prossimo mercoledì Non Una di Meno ha chiamato lo sciopero transfemminista. Una settimana di lotta ecotransfemminista si apre nel nostro paese e a livello transnazionale. La vicinanza di queste due date è stata casuale e non ricercata, eppure questa coincidenza ha creato un meccanismo virtuoso che ha messo in dialogo movimento transfemminista ed ecologista, creando una base per costruire future date di mobilitazione condivise e comuni. 

A una settimana dalle mobilitazioni, con un comunicato comune, Fridays For Future e Non Una di Meno hanno sottolineato le profonde analogie che tengono insieme le due lotte, dalla critica al lavoro produttivo e riproduttivo fino alla consapevolezza che la crisi climatica è aggravata da disuguaglianze sociali e di genere.

Febbraio, però, sembra chiudersi con un governo pronto all’attacco frontale dei diritti sociali e civili del nostro paese: deciso a cancellare definitivamente il reddito di cittadinanza, lascia annegare le persone nel Mediterraneo, varando un decreto che limita di fatto i salvataggi, mentre combatte fantomatiche ideologie del gender, incurante della siccità dovuta al cambiamento climatico. In questo frangente, le mobilitazioni di inizio marzo si pongono inevitabilmente il complesso obiettivo di riuscire a scuotere un paese che a tratti pare intorpidito a tratti impaurito dalla gravità di quanto sta avvenendo.

Negli ultimi anni, il movimento ecologista e quello transfemminista hanno riattualizzato la pratica dello sciopero tentando di farlo fuoriuscire dalle ristrette regole delle indizioni sindacali, arricchendolo di nuovi significati e valore.

Hanno posto il tema dell’astensione dal lavoro di cura, dai consumi e dalla produzione, interrogandosi su come scioperare nell’epoca in cui questo diritto è rimasto formalmente valido ma sostanzialmente inapplicabile in molti settori e per molte forme del lavoro contemporaneo. Infatti, Non una di Meno scrive nella convocazione dello sciopero: «Ci appropriamo di uno strumento tradizionale di lotta per superarlo, reinventarlo insieme sulla base delle nostre necessità e farlo esplodere in tutti gli ambiti delle nostre vite. Facciamo di questa pratica una forza e una potenza collettiva. Ci fermiamo un giorno per imparare insieme a fermarci e a scioperare contro la violenza tutti i giorni dell’anno. Lo sciopero è il processo di liberazione per tuttә, è la rivoluzione dentro e fuori di noi, è urlare tuttә insieme che se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo».

L’Europa, però, è, in questi mesi, attraversata, da un ritorno alla pratica degli scioperi di massa, dalla Francia al Regno Unito, dove sono i sindacati confederali a convocare scioperi che contano centinaia di migliaia di aderenti e non sembrano volersi fermare.

Allora, lo sciopero del clima (non formalmente uno sciopero sindacale) e lo sciopero transfemminista potrebbero essere una spinta per una riapertura anche nel nostro Paese di uno spazio di dissenso e conflitto, in un momento in cui la stretta repressiva è sempre più forte. Ne sono prova la repressione delle manifestazioni contro il 41-bis, ma pure l’ondata di misure cautelari e arresti compiuti da varie procure anche per reati minori come nei casi dell’attivista No Tav Cecca (Francesca Lucchetto) a Torino o degli/delle attiviste bolognesi del CUA, di recente revocate.

Lo sciopero per il clima del 3 marzo è il primo durante il governo Meloni. Lo scorso si svolse due giorni prima della tornata elettorale che portò l’estrema destra al governo del paese.

In sei mesi il governo Meloni ha ampiamente dimostrato di essere a favore di politiche climaticide, supportando il fossile e l’industria delle auto, dimostrandosi contrario a provvedimenti semplici come i cappotti termici per gli edifici. L’opposizione a questo governo è pertanto senza appello e senza possibilità alcuna di mediazione. Per questo sono convocate decine di piazze in tutta Italia, e la manifestazione di Roma si è data appuntamento alle 9.30 a piazza della Repubblica. 

Lo sciopero transfemminista pone al centro l’astensione dal lavoro produttivo e riproduttivo: «La violenza di genere, la pandemia, la guerra, il disastro ecologico, l’inflazione: viviamo in un mondo di crisi continue che non sono emergenze ma segnali evidenti di un sistema che si sta sgretolando, un sistema ingiusto che ci costringe a vivere vite insostenibili e che vorrebbe chiuderci nell’isolamento e nell’impotenza». Una crescente povertà che sulle donne razzializzate e sulle libere soggettività pesa in maniera sempre maggiore. Problemi troppo lontani dai tetti di cristallo dove risiedono le femministe liberal, o le terf che strizzano l’occhio “al” Presidente del Consiglio Meloni. 

Per l’8 marzo sono convocate decine di azioni e piazze in tutta Italia, a Roma la manifestazione ha il suo concentramento alle 17.00 da Metro Piramide, per poi muoversi verso il Ministero dell’Istruzione a Trastevere. A Roma ma anche a Torino, Bologna, Pisa e altre città si sono cercate intersezioni concrete tra i due appuntamenti.

Tradurre la lotta intersezionale in pratica politica  non è facile per quanto l’immaginario di una società in rivolta ecotransfemminista sia spesso evocato e i nessi di congiunzione anche teorica siano evidenti.

A Roma si proverà a costruire un ponte tra le due istanze attraverso una passeggiata ecotransfemminista  Nel testo di convocazione si legge. «Come precar3, sfruttat3, vittime di disastri ambientali, responsabili del lavoro di cura, come corpi non conformi che subiscono violenza e femminicidi-lesbicidi-trans*cidi, come abitanti di un ecosistema sofferente e assoggettato, ci riprenderemo le strade con una passeggiata rumorosa che dia finalmente spazio alle voci multispecie che ogni giorno vengono silenziate. La crisi ecologica e climatica è sempre più pervasiva e gli agenti attivi che la incarnano rendono corpi e territori sacrificabili e muti».

Con la speranza, quindi, che convergenze come queste possano trovare spazio di crescita in termini di mobilitazione anche nei mesi a venire.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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