Guido Hauser

Fabio Fazio, salutato come un totem della Rai, ha sempre fatto una televisione media per ceti medi acculturati ma non troppo. Il suo modo di accostarsi al mondo vellicandone le superfici, lo rende più consono a una emittente commerciale, dunque onestamente pop.

Fabio Fazio, o sulla televisione in formato mp3

Fabio Fazio ha sempre fatto una televisione media, quella che gli anglosassoni chiamano mainstream: la corrente principale del fiume, dove fluiscono senza intoppo le acque e non si incagliano i rami; niente pericolosi mulinelli, ristagni a margine dove galleggiano lattine di Fanta e bambolotti senza testa.

Televisione media per ceti medi acculturati ma non troppo, gente che se deve ordinare a ristorante un vino chiede Brunello di Montalcino, così non sbaglio aggiungono. E non sbaglia neppure Fazio nell’accompagnare le libagioni con bocconi sapidi e di già acquisita fama – prima regola del consenso: evitare ogni rischio.

Un menu variamente composto ma sempre rassicurante, specie quando gli ospiti vengono riesumati da memorie in bianco e nero, secondo lo schema consolidato della citazione postmoderna: tra il nuovo artista emergente e Bobby Solo sempre scegliere il secondo, a meno che il primo abbia già venduto un milione di copie; copie di qualsiasi cosa, la forma prevale sul contenuto e l’identità è un concetto superato.

Un pubblico coetaneo e in tutti i sensi complice – ah te le ricordi le biglie di plastica con cui giocare sulla spiaggia, all’interno l’immagine colorata di Merx e Gimondi – al quale si rivolge con garbo nostalgico e ironia, leggerezza che non è sinonimo di stupidità.

Tutto ciò costituisce a un tempo limite e virtù, a seconda che si intenda la conduzione svago o strumento di conoscenza, conferma del noto o scoperta del nuovo. Eliminiamo dunque anche lo sforzo costituito dalla curiosità.

Di certo il suo modo, credo naturale, di accostarsi al mondo vellicandone le superfici, lo rende più consono a una emittente commerciale, dunque onestamente pop. Sempre che nel termine servizio pubblico sia ancora implicita una sfumatura pedagogica; pratica ambigua e arrischiata, quando Fazio non ci è mai sembrato un cuor di leone.

Lui stesso ci scherza sulla propria assenza di coraggio, in ciò confermandosi una persona intelligente.

Ma c’è intelligenza e intelligenza. Paolo Conte offriva alla lei di una sua canzone “l’intelligenza degli elettricisti”, mentre quella di Fazio è piuttosto un’intelligenza da taxista – Dove vuole andare signora, dove la porto? – oppure da crooner che vuole piacere a tutti, più che da cantautore impegnato e spigoloso. E il gioco del se fosse potrebbe andare avanti all’infinito: se fosse un animale Fazio sarebbe un’iguana, che si adatta e mimetizza all’ambiente.

Peccato che il giornalismo sia un’altra cosa. Insieme a ogni argomento od ospite, un cosa potremmo dire, nel giornalismo viene infatti veicolato un come, ossia un’interpretazione discrezionale e moralmente situata del mondo.

E questo come, per Fazio, è sempre stato un come non scontentare nessuno, come essere quella persona per bene che probabilmente è: non offende, non disturba, non mette in imbarazzo l’interlocutore.

Se penso a due conduttori che gli somigliavano mi vengono in mente Corrado e Raimondo Vianello. Entrambi erano lievi e spiritosi, ma, come giusto, furono tra i primi a dirottare sulle reti Mediaset, dove il loro talento leggero trovò riconoscimento popolare e solido successo. Anche Claudio Lippi possiede qualcosa che lo ricorda, ed è un peccato che non faccia più televisione.

Perciò l’imminente congedo dalla Rai di Fabio Fazio non mi sembra la tragedia epurativa di cui molti tuonano, ma può essere rubricato tra le notizie irrilevanti. Come irrilevanti, per informazione e cultura, sono stati i suoi numerosi anni in Rai, in cui bisogna aggiungere che non ha mai preteso niente che non gli spettasse.

Poco importano infatti i suoi compensi a molti zeri, il suo lavoro l’ha sempre fatto con zelo geometrico, non lasciando mai nessun numero al caso. E venendo così ripagato da ascolti e pubblicità.

Ricorderemo con simpatia i siparietti satirici con Luciana Littizzetto, o alcune belle stagioni di Quelli che il calcio, dove lo svago era messo a tema senza ulteriori ambizioni. In quel caso la medietà stava nel registro discreto, più che in un’informazione sul modello dei file musicali nel formato MP3, dove vengono sfrondate le frequenze più alte e più basse. Rimane nuovamente ciò che sta nel mezzo, ma basta e avanza quando vuoi sparare nei timpani del mucchio.

D’altronde non è una perdita, un lutto, e piuttosto una ricollocazione all’interno di un possibile televisivo ampliato negli anni, complici le piattaforme di streaming e altre diavolerie tecnologiche che hanno nel frattempo moltiplicato i canali. Su uno si questi, probabilmente Discovery, quando lo incroceremo lo guarderemo sempre con piacere. Per svagarci. Non per capire un po’ di più il mondo e la sua complessità.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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