Paolo Andruccioli

Parla Roberto Artoni, uno dei massimi esperti di politiche fiscali in Italia. Per combattere la diseguaglianza è necessario intervenire sulla formazione delle grandi ricchezze e sulla redistribuzione basata sull’erogazione dei servizi pubblici. Non ripetere gli errori della tassa sulle fortune in Francia.

Professore, le diseguaglianze hanno cause diverse. Ma si può dire che un certo tipo di politica fiscale favorisce l’aumento dei divari sociali e delle ingiustizie?

Anche le tasse producono diseguaglianza? È indubbio. Perché le scelte che sta facendo questo governo, ma anche quelle che sono state fatte dai governi precedenti non contribuiscono certo a legittimare il sistema fiscale favorendo al contrario una serie di comportamenti inappropriati, tra cui l’evasione fiscale. Rimane però il fatto che la diseguaglianza si determina soprattutto sul piano del mercato del lavoro. È lì il punto centrale. C’è un problema di distribuzione del reddito sul mercato del lavoro e di redistribuzione legata all’assetto tributario. Il problema principale riguarda il fatto che nel corso degli ultimi venti anni non sono aumentati i salari, non ci sono stati praticamente aumenti salariali. 

La situazione attuale è quindi frutto di questa doppia causa sul piano distributivo e redistributivo?

Non si tratta solo di blocco dei salari. In questo stesso periodo è stato indebolito anche il mercato del lavoro. Sono stati fatti interventi pessimi da molti governi. C’è stata una diffusa precarizzazione del mercato del lavoro, ci sono stati contratti deboli e ora vogliono anche ripristinare i voucher. Tutte queste cose hanno effetti sul livello salariale e quindi sulla domanda di consumo e sulla dinamica del reddito. Le diseguaglianze sono il frutto di varie cose, sono multidimensionali. Le diseguaglianze si manifestano per territorio, tra i sessi, per età. Oggi la diseguaglianza più pesante colpisce le fasce più giovane della popolazione con i suoi effetti comportamentali. Si tratta della fascia più esposta a causa dei bassi salari e della difficoltà di accesso a diversi servizi. 

Ci sono varie campagne sulle tasse ai ricchi. Una è quella di Sbilanciamoci. Che cosa significa oggi tassare la ricchezza?

Prima di tutto bisogna essere d’accordo con il principio. Ci deve essere un accordo su un intervento di questo genere. Il problema però è che la ricchezza e i ricchi non sono statici come il monumento di Vittorio Emanuele in piazza del Duomo a Milano. Un monumento che è fermo, immobile. Se si tenta di colpire i ricchi, loro si muovono e inventano dei meccanismi di elusione che sono favoriti dagli assetti odierni relativi ai movimenti di capitali e ai paradisi fiscali. Per cui detto che in linea di principio tutti siamo d’accordo su interventi di questo genere, bisogna trovare degli strumenti giusti che siano efficaci e non producano effetti di ritorno negativi. Tipicamente grossi spostamenti di capitali. Da questo punto di vista abbiamo a disposizione strumenti antichi a cominciare dalle aliquote sui redditi molto alti. Oggi queste aliquote sono state abbassate e assistiamo così – tanto per fare un esempio – allo scandalo delle retribuzioni dei dirigenti d’impresa che si auto-fissano gli stipendi a livelli improponibili. C’è poi il problema del differimento dei redditi da capitale. Io posso aspettare molto tempo per recepirli e questa scelta porta inevitabilmente alla diminuzione sostanziale del credito fiscale. Nell’ultimo Rapporto dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) si sottolinea proprio il problema del differimento d’imposta che inevitabilmente riduce le entrate fiscali. In Italia abbiamo poi un terzo problema che incide sugli assetti del sistema fiscale che è la tassazione degli immobili che è ridicolarmente bassa. Detto tutto ciò, io sono a favore di una tassazione dei ricchi, ma ritengo difficilmente praticabile una imposta ordinaria sulla ricchezza complessiva delle persone, cosa che risulta difficile in tutto il mondo. Sono però convinto che bisogna intervenire sull’origine di queste ricchezze, come ho appena detto con i tre esempi precedenti. Al contrario in Italia le regole sulla formazione di queste ricchezze sono molto permissive. Ci sono tutti questi aspetti il cui smantellamento ha prodotto grosse concentrazioni di ricchezza. 

Quindi, se non ho capito male, lei non pensa ad una tassa unica sulla ricchezza che risolverebbe tutto, ma ad una serie di interventi da fare..

Sì, ci sono molti interventi possibili da fare, anche perché una tassa unica sulla ricchezza la ritengo appunto difficilmente praticabile a livelli significativi. L’abbiamo visto per esempio in Francia dove la tassa sulle fortune ha procurato solo qualche solletico ai ricchi. Non sono quindi interventi risolutivi.

Uno dei problemi più pesanti del sistema fiscale italiano riguarda però sicuramente l’evasione fiscale. Si tratta di una questione infinita senza soluzioni?

Quando io ero molto giovane il ministro Visentini diceva che l’evasione fiscale sarebbe sparita nel momento in cui si fosse cominciato ad utilizzare i computer. Eravamo nei primi anni Settanta. E in effetti se ci fosse una volontà politica oggi i meccanismi di controllo ci sarebbero. Se il salumiere mi vende del prosciutto possiamo accertare dove lo ha comprato. C’è però da specificare che in Italia l’evasione fiscale è favorita dalla frammentazione del sistema produttivo. Ma accanto all’evasione fiscale che è sicuramente un fenomeno da combattere, noi abbiamo anche un fenomeno di elusione molto grosso: paradisi fiscali, trasferimenti di residenza delle imprese. Fa indignare l’evasione fiscale, ma disturba anche moltissimo questa elusione. Possiamo dire che questa è l’evasione dei ricchi. Un altro aspetto che è molto importante dal punto di vista redistributivo è quello relativo alla spesa pubblica. Perché con le leve fiscali si può fare qualcosa, ma la vera questione rimane l’accesso ai servizi. Intere fasce di popolazione hanno difficoltà di accesso alle cure sanitarie. Ed è lì che scatta l’aspetto redistributivo in modo molto forte. Per questo, per combattere davvero le diseguaglianze, è necessario intervenire su più piani, quello fiscale, ma anche quello dell’accesso ai servizi che garantiscono l’effettiva applicazione dei diritti, come il diritto alla sanità. 

L’ultima domanda riguarda gli aspetti culturali. Nell’immaginario collettivo le tasse sono viste sempre come un elemento negativo. Vincenzo Visco ha parlato di “una guerra delle tasse”. Come si fa a ribaltare la logica che vede la tassazione come il nostro nemico principale?

In vari studi e in vari convegni pubblici a cui ho partecipato, (uno recente presso la Cgil di Milano) ho dimostrato come le tasse pagate ritornano ai cittadini sotto varie forme: o come trasferimenti pensionistici, o di servizi individuali, sanità e istruzioni in primis. È lo Stato che si occupa di erogare servizi e prestazioni che gli individui sarebbero comunque costretti a procurarsi. Ne consegue che combattere la pressione fiscale vuole dire combattere i servizi, ovvero combattere contro una formula molto efficace di redistribuzione del reddito. Ma oggi sembra si vada in una direzione opposta e non solo in Italia. Basta vedere quello che succede negli Stati Uniti. In un Paese in cui i servizi sono difficilmente accessibili a buona parte della popolazione, tutta la battaglia politica dei repubblicani è invece basata sulla riduzione delle imposte.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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