Vivere e sorridere dei guai nella scuola 4.0 (o quasi). Lo spiega “Il prof fannullone”, libro scritto a quattro mani da Chiara Foà e Matteo Saudino

di Diego Giachetti

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Chiara Foà e Matteo Saudino, autori del libro Il Prof fannulone, (Torino, Il mio Libro, 2017), sono due insegnati precipitati nel mondo della scuola proprio quando stava per iniziare la furia riformatrice dei vari Ministri dell’istruzione. Cominciò Berlinguer con la scuola dell’autonomia, poi venne la scuola delle tre I (Internet, Inglese, Impresa) della Moratti, quella della scuola azienda con Gelmini, infine la buona scuola dell’alternanza lavorativa di Renzi-Giannini. Ognuno vuole lasciare traccia di sé accanto a Gentile. Infatti nel pieno dell’estate la nuova ministra Valeria Fedeli, annuncia la sperimentazione del liceo di 4 anni, da tempo desiderata e agognata da Forza Italia nelle persone di Gelmini e Aprea. Centinaia di pagine hanno sostenuto, con giustificazioni pedagogiche e didattiche, spesso incoerenti e in contrasto fra loro, le riforme via via proposte e attuate. Tutte però hanno in comune un’anima liberista che prevede la contrazione della spesa pubblica per l’istruzione e il cambiamento della didattica considerata troppo frontale e contenutistica. Per realizzare tale progetto – scrivono – era indispensabile superare la scuola italiana del Novecento, la quale, con tutti i suoi limiti, poggiava su un’architettura costituzionale egualitaria e solidaristica, finalizzata all’emancipazione della persona.

Così la scuola negli ultimi 25 anni è stata presentata, dalla classe dirigente italiana all’opinione pubblica, come un costo da ridurre e un’auto vecchia da rottamare e da sostituire con una più smart e cool. Questo è il contesto nel quale si colloca l’avventura narrativa dei due protagonisti, una sorta di autobiografia professionale che racconta dall’interno vita e umori dei vari soggetti che vivono, per lavoro o per studio, nel mondo della scuola. La descrizione fa sorridere amaramente, trascina il lettore all’interno di paradossi quotidiani che ricordano il miglior Fantozzi. E’ un viaggio in una selva oscura sulla quale tutti hanno un’opinione. Non a caso il libro prende spunto dal dialogo che i due autori colgono su una spiaggia ligure che ripropone il non nuovo stereotipo dei prof. fannulloni e dei loro privilegi lavorativi e vacanzieri.

Con una scrittura snella, ricca di immagini, metafore, rimandi alla cultura pop mescolata con richiami filosofici e letterari, il libro si presenta come un dizionario antropologico composto da varie voci: perché e come si diventa prof., tre mesi di vacanze, insegnare nei diplomifici privati e/o parificati, le classi pollaio. Con questo termine si indicano le classi con più di trenta alunni dove la qualità della didattica, della partecipazione e dell’attenzione sono destinate a scemare, frutto dei numerosi tagli operati nella spesa pubblica per l’istruzione. Una parte consistente delle voci è costituita da una descrizione critica dei meccanismi interni al mondo del lavoro della scuola, che si celano spesso dietro sigle e acronimi di vecchia e nuova invenzione, col prevalere smisurato di quest’ultima specie. Così il lettore non addentro alla questione, potrà leggere paragrafi indimenticabili sull’Invalsi, sul PNSD: Piano Nazionale Scuola Digitale, sul progetto mai realizzato del portfolio, sulla scuola dei bollini, sul Mini PON e il PTOF, sul “parentone”, sull’ASL (da non intendersi come Azienda Sanitaria Locale, ma come Alternanza Scuola Lavoro), sulla “destituzione” del Preside, chiamato ora Dirigente scolastico, sommerso di incombenze ammnistrative e burocratiche.

Fidandosi dell’esperienza di lunghi anni di precariato hanno stilato una tipologia di sei diversi modi di funzionamento del Collegio docenti; similmente hanno fatto per il corpo docenti, raggruppato in vari gruppi ideal-tipici di comportamento e atteggiamento. Insegnanti inseguiti dallo spettro che si aggira tra le mura degli istituti scolastici, quello della lezione frontale attaccata frontalmente dai sostenitori del cooperative learning, del learning by doing, del problem solving. Al latinorum si è sostituito l’inglesorum con effetti esilaranti nel lessico pop circa la pronuncia di parole che con l’inglese proprio non hanno nulla a che fare. Allo spettro della lezione frontale si contrappone l’angelo salvatore della gelminiana didattica per competenze, arricchita dai patti formativi per l’alternanza scuola lavoro della coppia Renzi-Giannini, dalla meritocrazia. Parola sacra, che educa alla competizione gli studenti e gli stessi insegnanti, al prevalere sull’altro, non alla collaborazione e all’aiuto reciproco per superare le diseguaglianze.

Divertente e allo stesso tempo impietosa è la disamina degli atteggiamenti dei docenti di fronte agli scioperi di categoria, rispetto ai quali, per un atteggiamento già remissivo in partenza, essi non sono certo 2 dei cuor di leone. Anche se a volte i don Abbondio provano ad alzare la testa, come accadde nel 2015. Il 9 luglio, in un Parlamento circondato da migliaia d’insegnanti, da mesi impegnati in una lotta contro la riforma Renzi-Giannini-Faraone, il governo, ricorrendo per l’ennesima volta al voto di fiducia, fece approvare la legge 107 denominata “Buona Scuola”. I docenti italiani subirono una dura sconfitta. E dire che, rispetto ad altre volte, i prof si erano impegnati in una battaglia comune, dando vita ad assemblee e coordinamenti presenti in molte città e a scioperi, forse tardivi, ma molto partecipati. Nonostante tutto, dicono gli autori, nella scuola è ancora possibile vivere e lavorare con dignità purché si mantenga un’onestà di pensiero, unità allo scetticismo intelligente e contrastivo (insegnanti contrastivi sono definiti quelli che pretendono di capire i dettagli, criticare per approfondire). Purché si continui a praticare una metodologia d’insegnamento che difenda il diritto all’istruzione, basata sulla collaborazione fra i colleghi e il dirigente e che tale comportamento sia alla base della formazione educativa del gruppo classe.

 

http://popoffquotidiano.it/2017/09/07/come-sopravvivere-nella-scuola-4-0/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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