Pochi giorni fa sono state pronunciate le sentenze a riguardo dei 9 imputati accusati di essere coinvolti nell’incendio di una macchina della polizia durante una “manif sauvage” a Parigi a maggio 2016, nel pieno del movimento contro la legge sul lavoro.

Solo due assolti, gli altri 7 sono condannati a 29 anni di carcere in tutto e a 5000 euro di multa, con la pena più alta di 7 anni per un ragazzo, ancora latitante. Le pene sono pesantissime malgrado le incoerenze dell’accusa e la fragilità delle prove messa in luce durante le udienze. Per alcuni condannati il giudice ha addirittura sorpassato le richieste del pm, offrendo cosi ad Alliance, il sindacato di polizia più destrorso di Francia, una vittoria politica.

Ricordiamo che i fatti sono accaduti durante la contestazione a un presidio che proprio Alliance aveva chiamato per protestare contro “l’odio anti-polizia” sviluppatosi durante un movimento che ha subito fin dagli albori una repressione fortissima proprio da parte delle forze dell’ordine. Il sindacato aveva ottenuto l’autorizzazione di riunirsi in Place de la République, vera e propria provocazione considerando che la piazza da mesi era occupata da Nuit Debout ed era scenario di scontri quotidiani con le forze dell’ordine. L’appello per l’organizzazione di un contro-presidio era stato accolto da numerose associazioni che lavorano contro le violenze della polizia, da militanti, da gruppi auto-organizzati e da moltissime persone che in quei giorni partecipavano alla mobilitazione contro la riforma del mercato del lavoro dell’allora premier Francois Hollande. Qualche centinaia di persone era poi partita in un corteo spontaneo che, sulla sua strada, aveva incontrato la famosa volante della polizia.

Le immagini del poliziotto che scende dalla macchina e con mosse da professionista di arti marziali fronteggia il manifestante fa il giro dei media, il governo chiede sanzioni esemplari e la posta in gioco si fa subito alta: tentativo di omicidio. Poche ore dopo scattano i primi arresti preventivi di militanti antifascisti particolarmente attivi nel movimento. Nei mesi successivi altre persone vengono arrestate, perquisite e ricercate. La maggior parte inizia a scontare le misure cautelari in carcere. Da segnalare in particolare la situazione di Kara, ragazza trans, che è costretta a permanere in una prigione per uomini.

Il resto dell’inchiesta è basato essenzialmente su reati di opinione e la principale testimonianza dell’accusa si rivela essere quella di un agente della BAC. Il poliziotto in questione appartiene alla stessa brigata che aveva redatto le famose “notes blanche”, appunti della polizia politica che servivano per dare fogli di via temporanei con l’obiettivo di vietare la partecipazione ai cortei ad alcune persone. Il fatto che il giudice durante l’udienza si sia chiesto retoricamente che interesse avrebbe avuto il poliziotto in questione a mentire, così come il PM durante le richieste sottolinei la fortuna dei manifestanti ad essere vivi grazie al self control degli agenti, dimostra la valenza tutta politica del processo.

Il processo di “quai de Valmy”, il canale lungo il quale sono successi i fatti, è diventato quindi il processo simbolo di un movimento che ha fatto di “Tout le monde détest la police” il suo slogan più cantato. Anche se le prove non quadrano o sono fondate sul nero di un k-way non importa, la sentenza parla chiara. Gli imputati sono condannati perché “odia[no] manifestamente visceralmente la polizia” o perché, pur dichiarandosi innocenti, rifiutano di condannare l’accaduto. Per concludere in bellezza il presidente della corte ha afferamto durante la sentenza : “avete aggredito due persone perché sono poliziotti, un po’ come altri aggrediscono i neri perché sono neri”, in barba alle decine di giovani morte, per davvero, sotto i colpi razzisti della polizia francese.

A seguito del processo è girato un appello a ritrovarsi in serata per manifestare la propria solidarietà ai compagni e alle compagne in carcere tramite un corteo selvaggio che ha attraversato i quartieri settentrionali di Parigi colpendo banche, negozi e commerci.

https://www.infoaut.org/conflitti-globali/parigi-alla-ricerca-di-un-capro-espiatorio-29-anni-di-carcere-nel-processo-simbolo-del-movimento-contro-la-loi-travail

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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