di Maurizio Guccione

Bisognerebbe andare più spesso nei nostri luoghi dove una settantina di anni fa, menti folli e perverse hanno compiuto le stragi di cui, ogni anno, si parla per non dimenticare. Andare a Sant’Anna di Stazzema, per esempio, fa bene. E fa male, malissimo. E’una lama che ti senti sul petto, un singhiozzo che trattieni. E’ una debolezza che ti senti addosso perché sei lì e provi a immaginare. Sei lì che guardi quel luogo minuscolo e non ti immagini – invece – che inferno deve essere stato quel 12 agosto del 1944 quando la mano assassina nazista, firmò una strage enorme di civili, senza risparmiare donne e bambini. Ci sono andato, ritornato, anzi, con mia moglie e i miei figli: Giulio e Livia di 8 e 4 anni. Con le mie prime due figlie non l’ho fatto e me ne pento. C’è un silenzio che fa essere composto anche il respiro: quella piccola piazza – sai che scena, riempita di corpi uccisi dalla rappresaglia nazista, e sai che luce data dalle fiamme che appiccarono per dar fuoco ai corpi -; sai che dolore, che senso di impotenza. Che umiliazione. Non esiste un perché. Non se lo colleghiamo alla follia della barbarie nazifascista. E ammiro, leggendo le testimonianze di chi si è salvato ma è magari rimasto senza nessuno, che parla (anche) di perdono. “Perdono chi ha commesso quei fatti ma non quelle idee”, si legge nel bellissimo Museo della Memoria realizzato a Sant’Anna di Stazzema. Ci vuole coraggio, ci vuole di essere davvero scevri da qualsiasi tentazione di maledire quei criminali. Uccisero per il gusto di farlo: come non pensare ancora a Marzabotto? In un brano contenuto in un mio libro, ho inserito una prosa dedicata alla vittima più piccola di quella strage: si chiamava Anna Pardini. Aveva 20 giorni. “Tu che sei la più piccola/tu che non hai visto i colori/ma solo lo sforzo di una madre/morta prima di te. Tu che le sei andata incontro/troppo presto/mandaci i versi dell’amore/ispira l’uomo giusto/e urla la rabbia dell’umanità/in faccia ai tuoi assassini. Avresti ascoltato/da chi aveva amore/per te/ una ninna nanna tutta per Anna”. Andare a Sant’Anna di Stazzema, risveglia la memoria e credo che farebbe bene a tutti coloro che oggi – seppur senza agitare le armi meccaniche – rievocano con troppa disinvoltura gesti e simboli che hanno avuto un significato distruttivo. A chi oggi, di nuovo, parla e addita il diverso, a chi agita braccia alzate, a chi scrive sugli striscioni esposti in luoghi pubblici come gli stadi dobbiamo, ancora una volta, dire di no. No con forza da parte di chiunque si senta ancora offeso da quello che ha rappresentato il nazifascismo, nel tentativo, oggi, di legittimare nuove pratiche, edulcorate, di intolleranza e violenza. E lo Stato non può essere quello della doppia morale: se lo Stato va a Sant’Anna di Stazzema ogni anno, lo Stato deve combattere senza sosta i nuovi fascismi striscianti nel Paese: per onorare i nostri morti ammazzati come la piccola Anna, per onorare coloro che sono sopravvissuti; per dare un futuro alle idee sane e democratiche dei tanti Giulio e Livia.

Di Maurizio Guccione

Ha svolto attività sindacale nella Cgil negli anni Novanta, nel comparto sanità. Ne è uscito volontariamente perché sostiene che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e quel mare si stava intorbidendo. E’ stato iscritto al Pci, Rifondazione Comunista e al PdCI: rimane fedele a quelle idee, mantenendo quale stella polare Antonio Gramsci, la Resistenza e la Costituzione anche in assenza di una tessera in tasca. Giornalista pubblicista , ha collaborato con i quotidiani toscani, una tv privata e con la rivista dell’Università di Pisa “Scienza e Pace”. Ha scritto quattro raccolte di poesie e altre ne pubblicherà se le giornate saranno meno frenetiche (“…nemmeno dentro il cesso possiedo un mio momento…” di F. Guccini). Lavora nella sanità pubblica, ormai sempre meno pubblica e giusta.

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