Riceviamo e pubblichiamo

di Franco Astengo

Un vero e proprio segno dei tempi: la campagna elettorale comincia con una formidabile polemica, addirittura sviluppatasi all’interno dell’area di governo, sul tema del canone RAI. Con tanto di opinionisti che si affannano a spiegare il senso del servizio pubblico radiotelevisivo (e quindi della necessità del canone stesso) e Berlusconi che grida alla concorrenza sleale.

Da tener conto che a tener banco nei giorni immediatamente precedenti è stata la “vitale” questione della raccolta delle firme dei radicali: una vera e propria pagliacciata mediatica con un davvero “triste y solitario final”.

Siamo ridotti a questo quadro desolante cui sono dedicate inopinatamente le prime pagine, mentre la grancassa strepita all’insegna della “fine della crisi” con l’aumento del potere di acquisto e la riduzione del rapporto /feticcio tra debito e PIL.

Nessuno tra i grandi e piccolo mezzi di comunicazione di massa, TV, giornali, siti web, ecc, ecc, cerca di riprendere in testa i fili di un ragionamento incentrato sul reale: sulla drammaticità della condizione generale.

Tutti seguono l’onda e nessuno pare accorgersi della distorsione del reale, della vera e propria” torsione della verità” che si cerca di imporre nell’idea di fondo che elettrici ed elettori non siano altro che semplici destinatari di uno show cui sono chiamati ad assistere per poi schiacciare il testo verde del telecomando oppure il “ like” di Facebook.

Era già accaduto, ricordate, con gli 80 euro e prima ancora con il “miracolo italiano” i vari milioni di posti di lavoro, il “meno tasse per Totti” e “l’Italia è il paese che amo”.

La politica italiana dall’inizio del secolo come sede dell’interpretazione più banale della “democrazia del pubblico”, percorsa da imbonitori da fiera con il modello di Dulcamara a fare da riferimento.

E’ importante allora partecipare alla campagna elettorale muovendosi in senso contrario, risalendo le rapide e non ritraendosi dalla necessità di stabilire una possibilità per un’idea alternativa della rappresentanza politica rispetto a quella che si vuol concepire come completamente orientata al possesso del potere.

Ed è necessario rifuggire dal gran trambusto del coro vociante dei corifei di regime per portare avanti le istanze concrete sollevate dalle dure contraddizioni che pesano sul quotidiano vivere di gran parte della popolazione.

Nello stesso tempo: si potrà fare compagna elettorale non solo allo scopo (sacrosanto) di denunciare la materialità della condizione sociale vigente ma anche proponendo una visione di trasformazione radicale delle cose presenti, di un’idea di alternativa di sistema sviluppata in nome della capacità di affrontare ciò che brutalmente “è” ma anche di una storia del movimento operaio che, nelle sue diverse articolazioni, non può essere dimenticata e messa da parte.

Negli ultimi dieci anni, a fronte di una formidabile innovazione tecnologica destinata però per lo più ad alimentare l’individualismo e una visione quasi “solitaria” più che egocentrica del pensare e del vivere, si sono tremendamente estesi i confini dell’insicurezza materiale e dello sfruttamento incrementandosi, non soltanto sul piano planetario ma qui e ora nella giornaliera fatica del vivere, le disuguaglianze non solo sul piano economico, ma anche su quello culturale e della possibilità di convivenza civile.

Nel frattempo l’agire politico ha subito una torsione evidente in favore della concentrazione di potere nelle sedi occulte dei gruppi multinazionali e delle espressioni dei loro centri di potere che decidono direttamente ormai la politica a dimensione sovranazionale.

 Tutto questo mentre com’è sempre stato da che mondo è mondo le superpotenze decidono la loro politica estera sulla base delle esigenze dell’industria energetica e di quella bellica: tanto per ricordare quelle che dovrebbero essere ovvietà.

Sono questi i punti da sviluppare nell’articolazione del discorso proponendo con grande nettezza fuori e dentro le istituzioni una “opposizione di sistema” sviluppata in funzione di una proposta di alternativa.

La sola risposta fin qui circolante a questa vera e propria sopraffazione dell’esercizio democratico è stata quella falsa e illusoria della già definita “antipolitica” che pare proprio abbia fatto presto a trasformarsi in “politica per il potere”, lasciandosi già dietro una scia che è stata definita della “inpolitica” nella quale si muovono fasce sociali ormai invisibili e apparentemente irrecuperabili a un concerto di partecipazione e impegno.

Deve essere possibile rispondere in positivo a questo quadro inquietante anche nel corso della campagna elettorale, comprendendo bene tutti i limiti di quest’appuntamento, senza paura di apparire catastrofisti, evidenziando con forza contraddizioni e soluzioni possibili, rifuggendo la propaganda spicciola senza aver paura di rivolgersi soltanto ai “frati che condividono le nostre buone ragioni”: utilizzando cioè l’occasione per riaggregare una realtà insieme sociale politica sicuramente minoritaria sul piano dei grandi numeri ma in grado di rappresentare una base e un punto di riferimento di lotta e di riflessione sull’oggi, ma soprattutto sul domani in una proposta di rinnovamento nell’espressione della soggettività politica di massa.

Di AFV

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