Cavia è il nome scientifico che alla fine del Settecento lo zoologo tedesco Peter Simon Pallas diede a quel piccolo roditore che in italiano è conosciuto come porcellino d’India. A dire il vero questa prolifica famiglia di animali non è originaria della terra del Gange, ma dell’America meridionale, e infatti in inglese la cavia si chiama Guinea pig, probabilmente per una storpiatura del termine Guiana. Diciamo che, almeno linguisticamente, a questi simpatici animaletti è successo quello che è capitato ai nativi americani, che noi continuiamo ancora a chiamare indiani, per quell’antico errore di Cristoforo Colombo che voleva buscar el levante por el poniente. Prima della classificazione di Pallas in tedesco questo animale si chiamava soltanto Meerschweinchen, letteralmente piccolo maiale di mare, perché probabilmente la carne di questi animali serviva a sfamare gli uomini che compivano la traversata dell’oceano.
Le cavie, grazie alla loro prolificità, sono diventate nel corso dell’Ottocento e per tutto il Novecento gli animali su cui con più frequenza venivano fatti gli sperimenti scientifici, erano testati i nuovi farmaci ed erano valutate le risposte fisiologiche a degli stimoli. Questi piccoli animali sono stati i protagonisti sconosciuti e inconsapevoli dell’incredibile progresso scientifico di cui oggi tutti noi godiamo gli effetti, anche quando ne temiamo le possibili conseguenze e ne critichiamo i metodi (ad esempio per l’utilizzo delle cavie); e infatti questa parola è diventata di uso comune per indicare tutti gli animali – compresi gli uomini – oggetto di sperimentazione animale.
Grazie alla scoperta di alcuni quotidiani tedeschi abbiamo saputo che gli scienziati dell’università di Aquisgrana hanno testato gli effetti dei gas di scarico su una serie di persone, che avevano accettato consapevolmente di fare quel lavoro. Ora quel laboratorio non è più in attività e i responsabili delle più importanti case automobilistiche tedesche – destinatari di quei test – hanno recisamente smentito di sapere che erano state utilizzate cavie umane.
Una volta, quando facevo un altro mestiere, ho avuto l’occasione di vedere uno di questi esperimenti con i roditori. Credo che in quel caso – come ormai avviene oggi nella grande maggioranza dei laboratori scientifici – si trattasse di topi, visto che questi animali sono più facili da trovare delle cavie. Quei piccoli topi bianchi “abitavano” in tante piccole cellette poste una sull’altra a formare una sorta di grattacielo e quei loro piccoli “appartamenti” erano sottoposti, ovviamente in scala ridotta, allo stesso livello di onde elettromagnetiche che arrivano quotidianamente, a ogni ora del giorno e della notte, nelle nostre case. Quei topini, che stavano sicuri e al caldo in quelle loro tane artificiali e ricevevano ogni giorno la giusta dose di acqua e di cibo, eravamo noi che abitiamo nelle nostre case, sostanzialmente ignari di tutto quello che ci gira intorno, ci colpisce senza che lo percepiamo e lentamente ci uccide. Si trattava di un esperimento molto serio, condotto da scienziati che lavoravano – e lavorano – per il nostro benessere, che serviva per capire quanto siano pericolose le onde elettromagnetiche e quanto debbano essere ridotte per non danneggiarci.
Al di là delle ottime intenzioni di quegli scienziati, continuo a ricordarmi di quei topi. Di quanti esperimenti noi siamo cavie ignare, tutti i giorni?
Ogni giorno su di noi, mentre siamo chiusi nelle nostre cellette così confortevoli, vengono testati nuovi prodotti, ogni giorno veniamo sottoposti a nuovi stimoli – a volte elaborati, a volte elementari – affinché decidiamo di comprare quello shampoo o di votare per quel partito. Ogni giorno vengono fatti su di noi degli esperimenti. Quegli scienziati vedono quanto possiamo sopravvivere dopo averci inquinato l’acqua e l’aria e come ci adattiamo a un ambiente sempre meno ospitale. Sperimentano quanti di noi possono stare in una barca prima che questa affondi, fino a che punto la disperazione della nostra condizione ci fa dimenticare i pericoli che un viaggio su quelle barche può comportare, dove siamo disposti a spingerci pur di salvare le persone a cui vuole bene, cosa siamo disposti a vendere – il nostro corpo, il nostro lavoro, la nostra intelligenza, la nostra dignità – pur di garantire un futuro diverso per i nostri figli, quante ingiustizie possiamo sopportare senza chiederne conto. Ma sperimentano anche quanto odio possiamo provare verso i nostri simili, quanti altre cavie come noi siamo disposti a sfruttare, a tradire, a uccidere; mentre aspettiamo tranquilli la nostra porzione di fieno.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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