Di Jeff Mackler

 

Durante un discorso tenuto il 17 gennaio all’Università di Stanford, il Segretario di Stato Rex Tillerson, ha annunciato che i militari statunitensi armeranno, addestreranno, finanzieranno e in altri modi appoggeranno – per un tempo indefinito, una nuova forza sul confine nella Siria nordorientale, costituita da 30.000 soldati Curdi e della nazione araba alleata con gli Stati Uniti. Questa forza in formazione, che in effetti mira alla spartizione della Siria, sarà appoggiata da almeno 5000 soldati statunitensi installati nelle tre nuove basi militari americane permanenti in Siria. Altre migliaia di soldati sono collocate su delle portaerei e su altre navi da guerra al largo della costa mediterranea della Siria, mentre altre migliaia operano dalla importante base dell’aeronautica militare degli Stati Uniti in Qatar.

Il discorso di Tillerson sulla spartizione, è stato il primo di un altissimo funzionario

dell’amministrazione Trump o Obama. Questo ex amministratore delegato della Exxon-Mobil ha, essenzialmente, dichiarato che cosa è stata la politica degli Stati Uniti fin dal 2011, quando l’attacco del governo siriano contro dimostranti in gran parte pacifici che chiedevano i diritti democratici e aiuti per i contadini colpiti dalla siccità, ha involontariamente fornito agli Stati Uniti un pretesto della guerra imperialista oramai al settimo anno orchestrata dagli Stati Uniti per cambiare il regime, e che è costata la vita a circa 500.000 siriani e che ha fatto trasferire quasi metà della popolazione.

Nel 2011, il compiacente governo turco del Presidente Recep Tayyip Erdogan, alleato degli Stati Uniti e della NATO, ha aperto le sue basi militari agli Stati Uniti per facilitare l’ingresso in Siria di circa 70.000 terroristi dell’ISIS e fondamentalisti a loro associati provenienti da 70 paesi che cercavano di abbattere il governo di Assad e di installare un califfato islamico. The New York Times ha  notato questo a metà gennaio 2018, affermando: “Nel 2011 Mister Erdogan ha allora finanziato i gruppi ribelli siriani e in seguito ha permesso alle reclute straniere dello Stato islamico e ad altri gruppi militanti jihadisti di affluire in Siria attraverso la Turchia.”

Ci si aspettava che Assad, come era successo nel caso del Presidente della Libia, il Colonnello Muammar Gheddafi, anni prima, sarebbe fuggito per salvarsi la vita, lasciando  la zona del Medio Oriente ricca di petrolio aperta come mai prima alla dominazione e allo sfruttamento degli Stati Uniti.

Oggi, dato che l’ISIS è stato in gran parte sconfitto per mano dell’esercito del governo siriano, che ha perduto 50.000 soldati in questa prova, cioè un quarto della sua forza combattente, aiutato dai suoi alleati invitati – Russia, Iran ed Hezbollah – il pretesto degli Stati Uniti  è quasi del tutto svanito. Contrariamente all’arrogante  sbruffone  imperialista, per Tillerson,  l’imminente sconfitta delle forze di l’ISIS era qualitativamente più un prodotto della resistenza del governo siriano e dei suoi alleati invitati di quanto lo fosse per gli invasori statunitensi non invitati e per le loro campagne di bombardamenti selettivi. In effetti, fino a quando le forze di l’ISIS hanno proceduto verso sud con lo scopo di prendere la capitale della Siria, Damasco, è stato loro permesso di procedere praticamente non ostacolati dalle forze alleate degli Stati Uniti.

Analogamente, fino al novembre 2015, secondo il New York Times del 16 novembre 2015, “Gli Stati Uniti si sono astenuti dall’attaccare la flotta dell’ISIS usata per trasportare il petrolio, e che si pensava contenesse più di 1000 autocisterne  , a causa delle preoccupazioni di poter causare vittime civili. Di conseguenza, il sistema di distribuzione dello Stato Islamico per esportare il petrolio, era rimasto in gran parte intatto.” Intatto, sicuramente, dato che l’ISIS fino a pochi anni fa ha pompato petrolio dalle stesse identiche  aree petrolifere che gli Stati Uniti oggi cercano di suddividere sotto il controllo americano in Siria.

Tillerson non ha risparmiato colpi nel dichiarare he né all’Iran, né al Presidente Basahar al-Assad sarebbe stato permesso di prendere il controllo di zone che sono state “da poco liberate” con i bombardamenti americani.

Nei servizi sul discorso di Tillerson a Stanford, il 17 gennaio il New York Times ha riferito: “Restare in Siria, ha detto Mister Tillerson, aiuterà ad assicurarsi che l’amministrazione Trump non ripeta ciò descrive  come gli errori dell’ex Presidente

Barack Obama che ritirò le truppe dall’Iraq prima che si spegnesse la minaccia estremista e non riuscisse a stabilizzare la Libia dopo gli attacchi aerei della NATO che portarono al rovesciamento del Colonello Muammar el-Qaddafi.”

In realtà, gli Stati Uniti hanno creato la minaccia “estremista” in Iraq, cioè l’ISIS, con l’obiettivo di ribaltare il governo di quel paese. Analogamente, anche i bombardamenti a tappeto in Libia che hanno distrutto le infrastrutture della nazione,

hanno facilitato i mercenari del Qatar appoggiati dagli Stati Uniti, i quali successivamente hanno invaso e preso il controllo della capitale della Libia, Tripoli.

Il Segretario di Stato John Kerry ha proceduto poi a installare un nuovo governo libico che subito dopo precipitò nel caos e nella corruzione e che oggi è contrassegnato dalla aperta istituzionalizzazione della schiavitù dei Neri.

L’annuncio di Tillerson ha toccato un nervo scoperto on Turchia, la cui aviazione militare ha quasi immediatamente colpito le forze Curde appoggiate dagli Stati Uniti nella Siria nord-occidentale, allo scopo di impedire la formazione di una regione contigua lungo il confine della Siria con la Turchia, che si estende per 804 km. da est a ovest. Per alcuni giorni dopo l’annuncio di Tillerson sulla spartizione, umo scontro militare diretto tra questi due alleati nella NATO sembrava in programma, specialmente nella città nordorientale di Manbij, dove le truppe degli Stati Uniti hanno addestrato ed equipaggiato le forze turche.

In modo analogo, l’impatto più importante di un ininterrotto attacco turco, ha preso di mira il confine nordoccidentale della città di Afrin che è controllata dalle Forze Democratiche Siriane. Descrivendole, il capo dell’Agenzia del New York Times, a Beirut, Anne Barnard, il 24 gennaio ha scritto: “Il partner ufficiale delle forze armate degli Stati Uniti in Siria è una milizia nota come Forze Democratiche Siriane che comprende combattenti arabi e assiri, ma è dominata delle YPG (Unità di protezione  popolare). Gli Americani danno meno importanza a questi dettagli.”

Le YPG mantengono stretti legami con il capo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Abdullah Ocalan recluso, che è considerato dalla Turchia come il diavolo in persona a causa della sua lotta di lunga data per uno stato curdo indipendente. Gli Stati Uniti e la Turchia hanno designato da lungo tempo il PKK un’organizzazione terrorista.

The Times ha aggiunto: “Gli Stati Uniti hanno effettivamente dato il via libera all’attuale offensiva turca contro Afrin, spingendo alla moderazione, ma evidenziando che non funziona con le YPG là.”

A complicare ulteriormente l’equazione, c’è il fatto che i resti del Libero Esercito Siriano, in precedenza e ancora sostenuto dagli Stati Uniti e che è una larga coalizione dei cosiddetti ribelli anti-Assad, la maggior parte dei quali molto tempo fa ha disertato per unirsi all’ISIS o ad al-Qaida, che ora combattono insieme all’esercito turco contro le forze statunitensi organizzate, guidate dai Curdi.

Nawal Khalil, un ex ufficiale del governo locale siriano-curdo, ha descritto il discorso di Tillerson “un’ovvia visione americana della situazione in Siria. Finalmente sembra che la Casa Bianca e il Pentagono la pensino allo stesso modo riguardo alla Siria.” Inutile dire che qualsiasi concezione di un futuro stato curdo non prenderà mai forma con gli auspici delle truppe imperialiste. Il diritto all’autodeterminazione per i Curdi a lungo oppressi e dispersi geograficamente, può essere immaginato soltanto con il ritiro completo di tutte le truppe imperialiste degli Stati Uniti.

Malgrado le illusioni curde rispetto all’imperialismo degli Stati Uniti, una dichiarazione di James F. Feffrey, ex-ambasciatore americano in Turchia e in Iran, fatta il 22 gennaio 2018, ha reso inequivocabile la posizione degli Stati Uniti. “Abbiamo detto ai Turchi che i Curdi erano provvisori, tattici e transazionali per sconfiggere l’ISIS. Ora abbiamo bisogno che contengano l’Iran. L’intero scopo di questo è di dividere i Russi dai Siriani dicendo che continueremo a forzare una soluzione politica in Siria.”

Con l’appoggio degli alleati del governo siriano, cioè Russia, Iran ed Hezbollah di base in Libano, le forze appoggiate dagli Stati Uniti, compreso l’ISIS, oggi hanno perduto il controllo della maggior parte dei valutati due terzi della Siria che avevano occupato precedentemente. La quasi imminente caduta del governo di Assad, progettata dagli Stati Uniti, non c’è stata.  In senso reale questa piega presa dagli eventi, rappresenta un’importante sconfitta per l’imperialismo statunitense, i suoi alleati nella NATO  e la “coalizione” associata.

Oggi, le minacce di Trump/Tillerson di stabilire una presenza militare a lungo termine in Siria, mirano, tuttavia, a ottenere tante concessioni riguardanti il futuro della Siria, quante ne permette l’attuale rapporto di forze. L’ovvia conquista della Siria è oggi messa nel dimenticatoio dell’imperialismo americano. Al suo posto ci saranno i negoziati a Ginevra da una parte e, dall’altra i negoziati appoggiati dai Russi nella località turistica russa di Sochi.

Qui, gli Stati Uniti sperano di ottenere, almeno in parte, ciò che non hanno potuto ottenere sui campi di battaglia della Siria. Questo include, forse, un accordo per un futuro processo elettorale siriano nel quale il Presidente Assad sarà d’accordo, alla fine, di dimettersi e forse di accettare un accordo collegato per una maggiore autonomia curda in parti della Siria settentrionale, eventualità che il Governo di Assad ha, almeno nominalmente accettato. Indubbiamente, il controllo sulle zone petrolifere della Siria e i futuri tracciati degli oleodotti saranno importanti nell’agenda dell’imperialismo come anche l’inclusione delle forze favorevoli agli Stati Uniti in un futuro governo siriano ricostituito.

Il diritto storico della Siria all’autodeterminazione, che delle significative parti della “sinistra” pensavano erroneamente che si fosse estinto, oggi è stato ripristinato, almeno in parte. La     conquista della Siria da parte dell’imperialismo statunitense e dei loro alleati, in tutte le sue varie manifestazioni, è stata sventata, ma un’occupazione appoggiata dagli Stati Uniti verrà indubbiamente usata per ricavarne future concessioni.

La responsabilità fondamentale degli Stati Uniti e del movimento pacifista mondiale oggi, è di mobilitarsi nelle strade per chiedere: Stati Uniti, Fuori Adesso! A queste condizioni, cioè senza una presenza imperialista/coloniale degli Stati Uniti, i Siriani saranno in un’ottima situazione per trattare in maniera efficace con i loro governanti capitalisti.

Jeff Mackler è un cronista for Socialist Action. Può essere contattato su jmackler@lmi.net socialist action.org

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://www.counterpunch.org/2018/02/09/the-us-plan-to-partition-syria

Originale: non indicato

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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