Riceviamo e pubblichiamo

 

di Franco Astengo

Scrive “Repubblica”

“La triste Piacenza che si è trasformata nella capitale del lavoro

Viaggio tra chi è fuori dalla crisi.

Arrivando da Milano o da Bologna, sulla A1, tra la via Emilia e la Caorsana verso Piacenza Sud, chilometri di capannoni annunciano l’enorme polo della logistica dentro i confini del Comune piacentino. Ikea, Gls, Xpo e molti altri snodi cruciali delle merci che viaggiano verso i grandi magazzini dell’Italia intera”

Un commento non stringato ma scheletrico:

Come si può giudicare “fuori dalla crisi” situazioni che rappresentano l’emblema della precarietà e dello sfruttamento, in un  Paese dove si trovano  3 milioni di persone in condizioni di povertà pur lavorando, per via dell’abbassamento del livello medio dei salari e della completa sparizione dello stato sociale, sostituito da illusori “bonus”, sconti contributivi, ecc, ecc.?

 Un Paese nel quale le condizioni di lavoro sono dettate dal “job act”.

Sono  giudicate “fuori dalla crisi” situazioni come quelle della logistica nelle quali le condizioni di lavoro sono simili a quelle ottocentesche, dove i camion delle piccole imprese di camionisti esasperati arrivano a schiacciare gli operai in sciopero (è successo, è bene ricordarlo: è successo per davvero).

Situazioni  di lavoro intollerabili, nelle quali vige l’instabilità più assoluta e le persone considerate numeri possono essere licenziate con messaggino sul telefono: ma questo fenomeno accade anche laddove dovrebbe trionfare la modernità, la super tecnologia, il lavoro dei cervelli proiettati verso il futuro.

Un destino che accomuna tutti: l’emigrato che ha l’obbligo di inscatolare almeno 120 pacchetti all’ora e la giovane laureata che si misura con la ricerca e la progettazione.

Un paese disossato della propria struttura industriale, spezzato in varie parti non comunicanti tra loro proprio dal punto di vista della struttura economica.

Un paese nel quale l’intervento pubblico non esiste se non per erogare mance o assecondare i padroni nei loro disegni, senza capacità di programmazione collettiva.

 L’articolo di Repubblica contiene svariati distinguo che non mutano però la sostanza del giudizio che è necessario esprimere : altro che fuori dalla crisi!

 Se non si riconosce subito l’estensione dello sfruttamento di classe e non si costruisce un’alternativa concreta e praticabile assisteremo semplicemente ad una frantumazione sociale molto più drammatica di quella che già stiamo tragicamente vivendo.

Servirebbe far crescere coscienza di tutto ciò a livello di massa, ma questo sarebbe il compito di partiti e sindacati: un altro capitolo molto complesso da affrontare.

 Limitiamoci,per adesso, a stimolare – per quanto possibile –una riflessione che dovrebbe risultare particolarmente attenta cercando di far rendere conto della realtà quanti stanno attorno a noi, attoniti, perplessi e magari pronti a dare fiducia agli illusionisti di passaggio.

Di AFV

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