Lunga intervista esclusiva e inutile del boss pentito Felice Maniero a due giornali veneti del gruppo Espresso

da Treviso, Enrico Baldin

Che esista un modo approssimativo di fare giornalismo non lo si scopre certamente ora, e forse qualche volta ci siamo caduti pure noi. Ma l’intervista esclusiva a Felice Maniero, pubblicata in due puntate mercoledì e giovedì dai quotidiani veneti del gruppo Espresso (La Nuova di Venezia, La Tribuna di Treviso e Il Mattino di Padova), lascia sbigottiti.

Innanzitutto va ricordato di chi si sta parlando. Felice Maniero era da tutti considerato il capo di una organizzazione mafiosa, la cosiddetta Mala del Brenta, attiva nel nordest e non solo dagli anni ’70 a metà anni ’90. Furti, rapine, traffico di stupefacenti, sequestri di persona, traffico d’armi, racket di estorsioni e di bische clandestine. La banda di Maniero è arrivata a contare 500 sodali a diversi livelli oltre ad alleanze con altre organizzazioni criminali mafiose. La Mala del Brenta poté contare anche su rapporti con esponenti collusi delle Forze dell’ordine e con la famiglia dell’allora presidente croato Tudjman nel periodo della guerra dei Balcani. Alla banda sono associati anche 19 omicidi, buona parte dei quali “sistemici”, come definiti in gergo tecnico quelli mirati alla conservazione del sodalizio criminale.

La storia dell’organizzazione mafiosa nordestina è sostanzialmente conclusa nel 1995, col calcolato pentimento del boss (tornato in libertà nel 2010 con altro nome e altre sembianze) e con l’ondata di arresti seguiti al maxi processo.

Di sentir parlare Felice Maniero, sinceramente, non si sentiva il bisogno. A meno che la raccolta dell’eloquio dell’ex boss non fosse finalizzata ad ottenere qualche elemento utile per ricostruire qualche vecchia storia ancora non chiarita. E invece le quattro facciate concesse a Maniero dai quotidiani del gruppo Espresso non solo non ci consegnano nulla di nuovo, nulla di interessante, nulla di risolutivo; ma toccano i punti più bassi del giornalismo nel momento in cui a “Felicetto” si concede spazio aperto e libero per tutto quel che gli pare. Spazio che peraltro Maniero si era già concesso in un libro autobiografico pubblicato qualche anno fa.

Così Maniero – praticamente senza contraddittorio – diviene un imprenditore irreprensibile, un gran lavoratore, una vittima del sistema fiscale e di quello mediatico, un amorevole padre di famiglia, un uomo che affronta le difficoltà poste a sé stesso e alla sua famiglia dagli altri, un cittadino offeso pronto a brandire gli strumenti della legge per difendersi da quel mondo che ce l’ha con lui. Ma il Maniero di oggi non si fa problemi a guardare al Maniero di ieri: un uomo pentito (di alcuni omicidi pare meno pentito rispetto ad altri), un uomo coraggioso che in virtù di tale dote era riconosciuto come capo, un bandito che nell’adrenalina viveva il piacere delle sue attività criminali; Maniero trova anche il tempo di irridere alcuni suoi compagni non abbastanza coraggiosi e di darsi arie per il suo “codice d’onore” e per il buon cuore verso le persone alleate che ha protetto in un mondo – quello criminale – pronto a non perdonare.

Poi, come non bastasse, Maniero diventa anche un po’maestro di vita, un po’saggio e consigliatore, quando parla di come vede il Veneto e le sue maglie criminali, il sistema penale e carcerario, il cancro della corruzione. A tutto campo Maniero elargisce consigli, mette in guardia le autorità dai pericoli criminali che osserva, indica la via alle Forze dell’ordine e al legislatore. Infine nei quotidiani di venerdì si prosegue in gazzarra, con alcuni suoi ex sodali che – direttamente o tramite i loro avvocati – mandano anche più o meno velati messaggi all’ex boss.

Insomma nulla di nuovo sotto il sole: un’insulsa autocelebrazione, una commistione di vittimismo e saccenza, un’opportunità regalata ad un vanesio per autoalimentare il proprio ego, pratica a cui, peraltro, il boss di Campolongo Maggiore è sempre stato fedele. Se proprio non riesce a porre freno alla sua incontinenza verbale, Maniero, lontano e fuori dai giochi, dica ciò che oggi avrebbe ancora senso dire: dalle coperture che gli vennero riservate ai tesori nascosti, fino ai rapporti coi servizi segreti di questo Paese. Non per fame di complottismo o per voglia di trovare una via diversa rispetto a quella ufficiale, ma ci verrà concesso – fatti alla mano – di nutrire dei dubbi sulla completezza della “comoda” collaborazione di Maniero. In mancanza di questo si faccia la carità di evitare di dare voce a questo (purtroppo) indimenticato “galantuomo”.

 

http://popoffquotidiano.it/2018/03/18/le-cortesie-della-stampa-del-nordest-per-il-boss-del-brenta/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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