La partita della presidenza di Camera e Senato, che ha visto il grillino Roberto Fico eletto a Montecitorio e la pasdaran berlusconiana Elisabetta Casellati essere proclamata a Palazzo Madama come seconda carica dello Stato, ha dato ufficialmente il via alla XVIII legislatura della Repubblica italiana.

di Adriano Manna

 

Il primo dato che emerge da questo passaggio è la completa estraneità del Partito democratico da qualsiasi tipo di dialettica parlamentare volta a creare un qualche tipo di maggioranza, fosse anche solo per l’elezione delle cariche istituzionali.

Pensare che la partita dei presidenti dei due rami del Parlamento sia totalmente indipendente dalla dialettica in corso per creare un nuovo esecutivo è pura fantasia, a cui siamo certi nessuno al Nazareno potrà credere sul serio.

La scelta di Renzi, già il giorno dopo il disastroso esito elettorale del 4 marzo, è stata quella di relegare il Pd all’opposizione, il tempo che basta per far “bruciare” Di Maio e riproporsi per la prossima legislatura (non si sa quanto lontana). Cosa rimarrà del Pd al termine di una legislatura passata nell’irrilevanza più totale (difficile reinventarsi forza di opposizione per un partito plasmato dallo stesso Renzi a immagine e somiglianza dell’establishment che ha provato in tutti i modi a rappresentare) è difficile a dirsi. Ma Renzi è consapevole che un’apertura del Pd al M5S rappresenterebbe il suo definitivo tramonto politico, oltre che la riproposizione dello schema bersaniano che molto probabilmente lui stesso fece saltare con “la congiura dei 101” nel 2013.

Dalle parti del M5S si guarda a destra, in primo luogo sistemando la componente “oltranzista” del Movimento, che vede in Roberto Fico uno dei suoi massimi esponenti. Come accade a Bertinotti ai tempi del centro-sinistra, o a Gianfranco Fini nel Popolo della Libertà, la presidenza di Montecitorio è sempre la “prigione dorata” prediletta per confinare le componenti più scomode. Detto fatto, ma non finisce qui.

Luigi Di Maio prepara il campo in vista delle consultazioni col Presidente della Repubblica: nei punti programmatici per il nuovo governo sparisce la proposta “bandiera” del M5S in campagna elettorale, ossia il Reddito di cittadinanza, notoriamente materia indigesta negli ambienti della destra. Dal canto suo Salvini risponde a mezzo stampa glissando sulla Flat Tax.

Per il Movimento, il ragionamento che sembra prevalere in casa della Casaleggio è il seguente: non è tanto un problema trattare con la Lega di Salvini, quanto “stringere la mano” agli esponenti della “vecchia politica”, come Renzi e Berlusconi. La contrapposizione “alto-basso”, che nella narrazione grillina sostituisce l’ormai vetusta “destra-sinistra”, rende in qualche modo compatibile con essa la proposta politica ultra-reazionaria espressa dal nuovo ciclo della Lega, rappresentata come espressione di una rivolta “più rozza” dei cittadini contro le èlite politiche corrotte, ma rende impossibile una trattativa diretta col vecchio Caimano.

Salvini questo lo ha capito perfettamente, infatti si è subito prodigato per garantire a Berlusconi (e alle sue aziende) una solida copertura istituzionale tramite l’elezione della Casellati al Senato, chiedendo in cambio il via-libera per trattare a nome di tutto il centro-destra con Di Maio. I malumori in seno a Forza Italia sono ben comprensibili, Berlusconi con questa mossa si è garantito una copertura per sè, ma ha pericolosamente certificato la subalternità del suo partito nei confronti della Lega in occasione delle prossime consultazioni. D’altro canto, per lo stesso Salvini tirare ancor di più la corda (non concedendo per esempio a FI la presidenza del Senato) avrebbe voluto dire mettere a rischio la tenuta della coalizione, ipotesi non augurabile sia per una conseguente subalternità della sola Lega al M5S, sia in ottica di una futura egemonizzazione portata avanti dallo stesso leader leghista sul tutto il campo largo del centro-destra italiano.

Se queste sono le tendenze in atto, le variabili sul campo sono innumerevoli quante sono le possibilità che tutto il disegno vada in frantumi nel giro di pochi giorni o settimane.

Tuttavia la domanda più urgente che si dovrebbe porre un elettore di sinistra dinanzi a questo quadro surreale potrebbe essere la seguente: come può una forza che ha attinto a piene mani dall’elettorato tradizionale di centro-sinistra e sinistra, aprire un dialogo per l’esecutivo con l’estrema destra senza aver paura di perdere già nell’immediato una parte consistente del proprio elettorato?

La risposta potrebbe essere che in un quadro politico completamente smottato a destra, come mai era successo nella storia repubblicana, la dialettica politica con la Lega vorrebbe essere rappresentata al proprio elettorato come un gesto di “realpolitik” volto alla creazione di una sorta di governo di “unità nazionale” tra le forze anti-establishment per disarticolare definitivamente il vecchio sistema politico.

Si tratta ovviamente di un artifizio narrativo, che regge fintanto che a sinistra latita una forza politica in grado di interpretare lo stesso livello dialettico. Alla Casaleggio sanno bene che per il Pd assumere questo ruolo è strutturalmente impossibile, e non intravedono nel breve periodo un rischio del genere provenire da nuove proposte politiche di sinistra in grado di interpretare in chiave progressiva la dialettica “alto-basso”.

http://www.sinistraineuropa.it/approfondimenti/i-vertici-m5s-puntano-tutto-su-incapacita-sinistra-rigenerarsi/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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