E’ salito a diacesette il bilancio dei manifestanti palestinesi uccisi dai militari dell’esercito israeliano, in disordini scoppiati durante la ‘marcia del ritorno’, una manifestazione di protesta partita ieri mattina per ricordare i tanti palestinesi esuli all’estero dal 1948, quando fu costituito lo Stato d’Israele.

L’esercito ha aperto il fuoco in più occasioni con colpi di artiglieria, munizioni vere e proiettili di gomma vicino alla barriera di sicurezza davanti a cui hanno manifestato 17 mila palestinesi. Dalla folla sono stati lanciati sassi e bottiglie molotov verso i militari.

Secondo la ‘Bbc’, altre mille persone sono rimaste ferite. Le autorità israeliane nei giorni scorsi hanno autorizzato l’esercito a dotarsi di oltre cento cecchini esperti, assieme all’ordine di aprire il fuoco contro i manifestanti se necessario.

Una pratica condannata dalle ong per i diritti umani tra cui B’tselem, che in una nota ricorda che “sparare contro manifestanti è illegale”, e che “militari armati contro protestanti disarmati non possono considerarsi in guerra”.

L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha chiesto l’intervento della comunità internazionale. Yusef al Mahmoud, portavoce dell’Anp a Ramallah, ha chiesto “un intervento internazionale immediato e urgente per fermare lo spargimento del sangue del nostro popolo palestinese da parte delle forze di occupazione israeliane”.

La Striscia di Gaza è una fascia di terra larga appena due chilometri, compresa tra Israele, Egitto e il Mar Mediterraneo, in cui vivono in condizioni precarie quasi due milioni di palestinesi. In molti hanno deciso di organizzare una marcia lungo il muro che divide Gaza da Israele, per chiedere al governo israeliano di consentire il ritorno dei rifugiati, a 70 anni da quei fatti.

 

Barghouti: unità e mobilitazione popolare

intervista di Michele Giorgio – Il Manifesto

Esponente di spicco della società civile palestinese e storico sostenitore della resistenza ‎popolare contro l’occupazione, Mustafa Baghouti vede nella massiccia partecipazione a ‎Gaza alla Grande Marcia del Ritorno il nuovo orizzonte al quale la popolazione e le forze ‎politiche palestinesi dovranno guardare da oggi in poi. Lo abbiamo intervistato mentre da ‎Gaza giungevano continue notizie di morti e feriti.‎

 

Sangue e politica, Gaza dimostra ancora una volta la sua centralità nella questione ‎palestinese

Non è stato solo un giorno di morte e dolore di cui è responsabile solo Israele. Ci sono due ‎punti molto importanti emersi dalla Grande Marcia del Ritorno. Il primo è che oggi ‎‎(ieri,ndr) abbiamo visto sul terreno una manifestazione concreta dell’unità palestinese. ‎Uomini , donne, ragazzi, bambini hanno partecipato a un’iniziativa che per giorni gli ‎israeliani hanno etichettato come violenta, aggressiva, minacciosa e che invece voleva solo ‎commemorare la Nakba e il Giorno della terra e ribadire che i palestinesi non ‎dimenticheranno mai i loro diritti. L’unica aggressione è arrivata da Israele che ha schierato ‎carri armati, blindati e tiratori scelti contro civili disarmati che manifestavano per i loro ‎diritti e per difendere la loro memoria storica. Il secondo è che tutte le formazioni politiche ‎palestinesi, incluso Hamas, hanno adottato la resistenza popolare non violenta. Il ‎movimento islamico al di là dei suoi proclami e delle sue manifestazioni di forza, in realtà ‎ora comprende che solo la mobilitazione popolare, non violenta, può raggiungere gli ‎obiettivi che sono di tutti i palestinesi. A cominciare dalla fine dell’assedio di Gaza. Sono ‎sicuro che vedremo sempre di più (nei Territori palestinesi occupati) manifestazioni con ‎migliaia e migliaia di persone.‎

 

Chiedete alla comunità internazionale di intervenire

Condannare Israele è il minimo che è chiamata a fare ciò che definiamo come la comunità ‎internazionale. L’Europa, ad esempio, a parole difende diritti e democrazia e poi resta in ‎silenzio davant ai crimini e agli abusi che commette Israele. Non fiata e quando lo fa è solo ‎per ripetere slogan e formule sterili che non servono a nulla in una situazione regionale e ‎internazionale profondamente mutata in cui, peraltro, gli Stati Uniti hanno adottato ‎apertamente la politica (del premier israeliano) Netanyahu proclamando Gerusalemme ‎capitale di Israele e disconoscendo la storia della città e le rivendicazioni palestinesi.

 

Donald Trump probabilmente sarà di nuovo a Gerusalemme a metà maggio, per ‎partecipare all’apertura dell’ambasciata Usa nella città.‎

E quando sarà qui si renderà conto che i palestinesi non si arrendono e continuano la lotta ‎per i loro diritti malgrado debbano fare i conti con un Paese molto potente come Israele e ‎con la superpotenza mondiale, l’America. Sono certo che la resistenza popolare vista a Gaza ‎e in Cisgiordania in queste ore non solo andrà avanti fino al 15 maggio, quando Trump ‎dovrebbe essere qui, ma proseguirà dopo quella data. Si trasformerà in un movimento di ‎massa, pacifico ma molto determinato contro l’occupazione. Questa è l’unica strada che ‎abbiamo per resistere all’oppressione israeliana e per liberarci di essa. Il resto si è dimostrato ‎fallimentare.

 

Ritiene l’Autorità nazionale palestinese ai margini, non importante per la lotta ‎popolare che lei si aspetta nelle prossime settimane

Non dico questo ma certo l’Anp dovrà cambiare radicalmente la sua strategia e rinunciare al ‎suo attaccamento agli Accordi di Oslo del 1993 e alla formula negoziale degli ultimi venti ‎anni. Non ci crede più nessuno e il governo Netanyahu utilizza quelle vecchie intese per ‎proseguire indisturbato le sue politiche di occupazione e colonizzazione. La prima cosa che ‎l’Anp dovrà fare è mettere fine alla frattura (con Hamas, ndr) perché nessun palestinese la ‎vuole e può ancora tollerarla.